Capitolo 56
Ca’ d’Aumale, sestiere San Marco. Contemporaneamente.
Due ore dopo l’Ave Maria.
«Se n’è andata!».
Lodovico Van Axel issò la lanterna per illuminare l’androne deserto del palazzo. I marmi lucenti dello scalone e le colonne con nervature gotiche baluginarono nel buio.
Si erano diretti a Ca’ d’Aumale subito dopo aver finito di parlare con Francesco Grimaldi. Non avevano dato troppo credito alle sue parole sullo strano libro in grado di prevedere il futuro. Evocavano imposture di magia e avrebbero anche potuto comportare il coinvolgimento dei Savi all’Eresia. Erano sembrate però più un affollamento di pensieri sconnessi che delle riflessioni precise e circostanziate. Dal colloquio, a ogni modo, erano emersi elementi importanti, che avevano rinsaldato la convinzione di Van Axel e Mellan sul ruolo di Madame d’Aumale.
«Non è la prima volta né sarà l’ultima che la contessa uccide o fa uccidere per quella pietra», aveva rivelato il barnabotto, prima di avventurarsi nei suoi vaneggiamenti. La sua intenzione era parsa quella di spostare l’attenzione dal furto della gemma, che aveva definito imponderabile, ai delitti. Il racconto non aveva fatto altro, però, che alimentare sospetti sulla nobile francese.
«Voi, di sopra», alzò la voce il capitano, istruendo gli armigeri che avevano forzato il grande portone d’acqua. Si mossero in tre, che divorarono i gradini in una sinfonia di tacchi e tintinnii di spade. «Prestate attenzione a qualunque cosa possa fornire informazioni su dove può essere andata: documenti, gioielli, abiti, borse, bagagli».
Mentre impartiva gli ordini, il capitano si spostò nel mezzanino. Alla luce danzante della fiamma, tutto sembrava in perfetto ordine: non era una casa abbandonata in tutta fretta e neppure un immobile sistemato nella previsione di rimanere chiuso per molto tempo. Piuttosto, sembrava che gli occupanti fossero usciti temporaneamente, con l’intenzione di rientrarvi dopo poco.
Gli uomini lo seguirono all’interno del locale, ammobiliato con splendidi arredi dorati, stoviglie d’argento che brillavano sulle credenze e panneggi pregiati alle pareti. Alcuni sollevarono i cuscini del divano a pozzetto e spostarono mobili, altri cominciarono a perquisire i cassetti di un trumeau laccato.
«Dobbiamo trovare le scale che portano al seminterrato», precisò ai birri. Le parole di Grimaldi, circa l’esistenza del cosiddetto marchingegno, per quanto folli, lo incuriosivano. Era davvero possibile che esistesse un macchinario in grado di poter leggere un libro in miniatura tramite un sistema di specchi? A prescindere dal contenuto del libro, era proprio su questo che rimaneva più scettico…
Il capitano si spostò ai tendoni che oscuravano i finestroni e li aprì tutti. L’ambiente assunse la colorazione bluastra della luna che si affacciava sul Canal Grande.
«E questo cos’è…?», mormorò a un certo punto uno dei birri. Armeggiando con la vetrinetta nella quale erano custodite brocche e vasi greci, aveva inavvertitamente sfiorato un meccanismo. La credenza si era mossa di una mezza tesa dalla parete.
«È una porta», constatò Van Axel, avvicinandosi con un balzo. Dietro il mobile si intravvedeva ora un passaggio. «Forza, spostiamo il trumeau».
Con l’aiuto dei suoi uomini fecero scorrere il mobile, rivelando in effetti una porticina bianca, che luccicò al buio. Non era chiusa a chiave: la aprirono facendo girare la maniglia e si trovarono di fronte a una scala a chiocciola di legno, che scendeva nelle profondità del palazzo.
«Fate luce, presto». Il capitano si precipitò giù e dopo una breve discesa si trovò in una specie di laboratorio con il soffitto a volta: addossate alle pareti grezze troneggiavano ingombranti armadi, con strumenti di vario tipo: provette, boccette e flaconi. Per quanta immaginazione ci avesse messo, non avrebbe saputo indovinarne la funzione.
Si mosse incerto, con l’effetto di far scricchiolare frammenti di vetro sotto i suoi stivali. Davanti a lui un mobiletto era rovesciato e alcuni alambicchi erano sparsi sul pavimento, come se ci fosse stata una colluttazione e nessuno avesse riordinato. Continuò a camminare lentamente e infine, dietro una colonna, nel punto in cui il seminterrato si apriva in una sala più ampia, lo vide.
«Attraverso un complicato apparato di luci e di specchi, con il marchingegno si può leggere il libro». Le parole di Francesco Grimaldi gli tornarono prepotentemente in mente.
Van Axel deglutì, socchiudendo gli occhi. Chissà perché, aveva immaginato che nel caso l’avesse trovato realmente, il marchingegno avrebbe avuto la forma di uno strano imbuto. Il macchinario che aveva di fronte, invece, oltre a essere sensibilmente più grande, appariva come una specie di telaio per la tessitura. Una ragnatela di funi e catenelle lo percorreva sui lati e alle estremità erano sistemati pesi e spolette. Si vedevano poi due grosse lampade e diversi specchi di varie misure.
«Capitano». Una voce lo chiamò dalla cima delle scale. «Forse abbiamo trovato qualcosa».
«Non toccate niente», ingiunse, muovendosi di buon passo. Facendo luce davanti a sé tornò sui suoi passi, attraversò il piano ed entrò nella biblioteca: le pareti erano tutte coperte di scaffalature traboccanti di volumi e incunaboli con i dorsi dorati. Il soffitto era invece affrescato con scene di caccia e dalle finestre ad angolo si scorgeva uno scorcio del ponte di Rialto. «Cosa avete trovato?»
«Sembrano documenti simili a quelli che ci avete chiesto di cercare». Il birro indicò tre fogli di carta pergamena, sistemati ordinatamente sul lucente tavolo da consultazione.
«Ipotesi 21: G.V. ubriaco precipita», lesse ad alta voce Van Axel, prendendo tra le dita il primo. Rimase interdetto. A una prima occhiata, in effetti quel foglio appariva simile alla tabella fatta consegnare al Missier Grande da Grimaldi. C’era in calce anche la stessa data, l’11 luglio. Vi era però una sostanziale differenza: nel documento che aveva davanti, in alto campeggiava una scritta, “IPOTESI 21”, seguita da una breve spiegazione.
«Valutazioni probabilistiche su singole ipotesi». Van Axel ripeté a memoria la giaculatoria pronunciata dal barnabotto durante l’interrogatorio. Afferrò un’altra pagina e anche su quella c’era un’indicazione, diversa: “IPOTESI 23: C.V. SPINGE G.V.”.
Il capitano fu assalito da una ridda di emozioni. Fu come se avesse ricevuto una frustata. Aveva davvero compreso ciò che gli stava davanti? Era possibile che avesse bene interpretato il significato dei fogli e del marchingegno nel seminterrato? G.V. e C.V. evidentemente stavano per Gerolamo e Cristina Venier. Sembrava che qualcuno avesse descritto la morte del nobile, precipitato dal suo palazzo proprio l’11 luglio.
Valutazioni probabilistiche su singole ipotesi.
Di cosa si trattava? Di probabilità matematiche? Su quel tavolo ce n’erano solo tre, ma a quel punto voleva saperne di più.