Capitolo 9

Riello di San Bastiano, sestiere Dorsoduro. Poco dopo.

Metà mattina.

 

Le spoglie mortali di Naso, al secolo Zuanne Sandei, erano state adagiate sulle fondamenta, all’imbocco del canale della Giudecca. Poco lontano, un crocchio di perdigiorno si era assembrato sul ponticello della Salizzada dell’Anzolo e rivolgeva domande ai militari di guardia.

Si trovavano in una zona popolata da case modeste, basse e con le facciate scrostate. Tra gli edifici sbucavano qua e la piccoli campi, costruiti attorno a isolate vere da pozzo, e approdi di fortuna.

Quando la gondola con a bordo Lodovico Van Axel e Mattio Mellan attraccò, non lontano dalla riva delle Zattere, la luce del sole era abbagliante. Tirava una lieve brezza, ma per nulla sufficiente ad alleviare la pesante afa estiva.

«L’hanno trovato questa notte», chiosò il capitano degli zaffi, scendendo dalla gondola. La legò con perizia a una briccola e poi tese la mano a Mellan, impacciato dalla marsina nera gallonata d’oro. «Siamo stati chiamati da una mendicante, che, come vi dicevo, afferma che l’assassino fosse un ottomano».

Mentre scendeva, il Missier Grande si guardò attorno curioso, facendo frullare nell’aria il mantello. Il fatto che fosse andato personalmente sul luogo del delitto non era per lui troppo insolito, anche se per qualcuno era stravagante. Ma Mellan, pur nel rispetto dei ruoli e quanto più possibile dell’etichetta, era uomo dei Lumi: gli piaceva solleticare il suo intelletto, cercando di sincerarsi personalmente del perché delle cose. Oltretutto, stimava molto Van Axel. Anche se il giovane capitano lo chiamava confidenzialmente barba, zio, non erano affatto parenti. Avevano però una rapporto speciale e quindi gli consentiva quella specie di appellativo che ai più sembrava irriguardoso. Visto che il giovane gli aveva esposto alcune stranezze del delitto, aveva ritenuto di doversi accertare di persona della situazione.

Si avvicinarono al portone di un’abitazione, nel punto ombroso in cui le guardie avevano sistemato il corpo di Sandei. Era pudicamente coperto da un drappo bianco e due zaffi da barca lo presidiavano. Altri tre fanti della Quarantìa criminale, il tribunale penale, si affrettarono a salutare il comandante.

«Pietro Sandei, il padre del ragazzo, è distrutto dal dolore». Van Axel si accosciò accanto al corpo e scostò un lembo di stoffa, affinché il comandante potesse vedere la vittima. La salma era composta, con le palpebre chiuse. All’altezza del costato, sotto la velada di broccato, presentava un taglio profondo che aveva imbrattato di rosso gli eleganti abiti. «Ci ha però riferito che in attesa di entrare negli zaffi, il figlio aveva trovato lavoro da una gran signora come gondoliere; gli ho chiesto se sapeva chi fosse e mi ha risposto con un nome tanto noto quanto inaspettato».

«Il nome che conosciamo?». Mellan posizionò le mani sui fianchi come un’anfora.

«Anne-Marie Stéphanie Brûlart», confermò il capitano, alzandosi in piedi.

«E dunque, Sandei era il gondoliere di Madame d’Aumale?»

«Proprio così, zio». Van Axel gli portò un foglio di carta pergamena. «Subito dopo avere udito quel nome, abbiamo poi trovato questo, bagnato ma ben leggibile. Era infilato nel panciotto del ragazzo, piegato in due parti».

Mellan restò titubante per alcuni istanti e prese a studiare il disegno:

 

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«Cosa rappresenta a parer vostro?», domandò infine, dopo una lunga riflessione.

«Un’ala. Un artiglio. A prima vista ipotizzerei sia il simbolo di una casata patrizia», azzardò Van Axel. «Ma ha qualcosa di insolito, ricorda un po’ la forma di un due o di un punto interrogativo: la parte sottostante, poi, richiama alla memoria simboli runici dell’alfabeto germanico».

Mellan studiò ancora il foglio. Nella parte alta c’erano aloni d’umidità e alcune macchie di sangue, probabilmente dovute alla ferita all’addome di Zuanne Sandei. «Non credo abbiate ragione, Lodovico: non mi pare di riconoscere rune germaniche. Simboli in qualche codice, forse…».

«È possibile, zio. È proprio per questa ragione che ci tenevo a farvelo vedere». Il capitano degli zaffi si carezzò la guancia, indeciso se portare le sue riflessioni all’attenzione del capo del satellizio. «Ho pensato che prima di coinvolgere il triunvirato degli inquisitori, sarebbe stato preferibile potergli offrire una ricostruzione completa dell’accaduto».

A quel punto Mellan si lasciò andare a una tiepido sorriso. Van Axel era sveglio: il suo non era affatto un atto di rispetto nei confronti degli inquisitori di Stato. Piuttosto, sapeva che se il caso d’omicidio fosse stato trattato direttamente dalle loro guardie, difficilmente avrebbero potuto rimetterci il naso.

«Forse il buon vecchio Padoan ci può aiutare a decifrare il significato del disegno», ipotizzò ancora Van Axel. «Il fatto che il nome di Madame d’Aumale sia comparso di nuovo dopo la morte di ser Gerolamo non può essere casuale». Si fermò, come se avesse dell’altro sulla punta della lingua. «Ci sarebbe poi un’altra cosa».

«Dite pure».

«La gondola in calle Longa, quella dalla quale la testimone dice di aver visto scendere il povero Sandei: non appartiene a Madame d’Aumale e non risulta che lui ne avesse di sua proprietà».

«L’aveva rubata, ipotizzate? Se è così, non dovrebbe essere difficile trovare il proprietario…».

«Capitano!», lo chiamò in quel momento un ufficiale in uniforme. «La donna è arrivata».

«Quale donna?», si incuriosì Mellan.

«La mendicante, zio: ho mandato i birri a prelevarla; la sua storia è quantomeno contraddittoria ma volevo che la sentiste con le vostre orecchie».

Si spostarono di qualche passo e la raggiunsero sotto una pianta di oleandro, all’ombra di un pòrtego.

«Ripetete al Missier Grande quanto avete detto questa notte. Com’era l’assassino?»

«Vostra signoria», borbottò timorosa la donna, con un filo di voce. «L’ho visto solo per pochi istanti». Era la vedova di una carpentiere, coperta di stracci e con due bambini miserandi al seguito. Fino a che il marito era stato in salute, aveva spiegato, avevano vissuto bene. Anche quando non c’era lavoro alla bottega, i carpentieri veneziani avevano infatti il diritto di presentarsi all’Arsenale e farsi pagare comunque la giornata. Alla morte del marito, per dar da mangiare ai suoi figli, non aveva però avuto altra scelta che mettersi a mendicare.

«Cosa aveva di così speciale?», intervenne Mellan.

«Una grande spada arrotondata».

«Una daga», la corresse Van Axel.

«Sì. Sì, una daga dalla lunga lama».

«E dite al comandante com’era l’assassino».

«Un turco, grande e grosso. Un pezzo di uomo. Molto più alto di vostra signoria».

«Come fate ad affermare che fosse un turco?», le chiese Mellan, autoritario. «Indossava forse abiti ottomani?»

«Oh no, vostra signoria. Non ho visto bene gli abiti, perché indossava un mantello nero. Ma era senza cappuccio e dietro la maschera tutta rosa si vedevano i capelli biondi». La donna si fermò, come se stesse raccogliendo le idee. «La spada, però, era sicuramente turca…».

Un turco grande e grosso e con una maschera rosa…

Altro che turco: poteva essere chiunque. Un pezzo di uomo alto e con i capelli biondi poteva assomigliare persino a un alemanno…

 

 

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Dieci minuti più tardi, Van Axel accompagnò il Missier Grande alla gondola, ondeggiante sulla Giudecca.

Il comandante era perplesso: quel delitto aveva più di un punto inspiegabile. Il gondoliere morto, casualmente, lavorava per una donna sospettata di altri delitti. L’arma era una daga turca. L’assassino uno straniero, ottomano o alemanno che fosse. E poi c’era quello strano disegno. Era un bene che Van Axel non fosse andato subito dagli inquisitori di Stato.

«Vi autorizzo», sentenziò alla fine Mattio Mellan, accomodandosi sotto il felze. «Parlate con il cancelliere Padoan. Vedete se può aiutarvi con quello stemma».

Van Axel accennò una riverenza soddisfatta sotto il sorriso.

«Sono coinvolti dei foresti, quindi non potremo ritardare troppo il rapporto al Consiglio dei dieci», aggiunse Mellan. «Nel frattempo, però, scoprite quanto più vi riesce. Rintracciate il proprietario della gondola in calle Longa e cercate di ricostruire gli ultimi spostamenti di Zuanne Sandei».

«E Madame d’Aumale?»

«È giunto il tempo di fare la sua conoscenza».