Capitolo 16

Bacino di San Marco. Quello stesso giorno.

Quattro ore dopo l’alba.

 

Sotto il sole impietoso di metà luglio, il bacino di San Marco brulicava di imbarcazioni alla fronda. Non tirava un alito di vento e le decine di vascelli, golette e brigantini incastonati tra ragnatele di cime e alberi di vele, erano immobili come in un dipinto del Canaletto.

La Mısır Piramitleri, uno sciabecco egiziano a vela latina e dall’aspetto innocuo, si trovava a circa metà strada tra il molo e la chiesa di San Giorgio. Ondeggiava placido attorniato dalle imbarcazioni più varie, quando una bissona a otto remi lo abbordò.

Poiché trasportava caffè – prodotto che a causa dei divieti di rifornirsi, imposti dai turchi ai cristiani, era estremamente pregiato – i marinai erano pronti a ricevere ispezioni. Ironia della sorte, l’armatore del mercantile era proprio un turco, che ritto come un fuso accolse i responsabili dei dazi della Repubblica.

«Vi attendevamo», bisbigliò, in un veneto passabile, appena tre uomini imboccarono il ponte. Era un omino basso e pasciuto, di carnagione olivastra, e parlava con voce talmente flebile che il funzionario dovette chinarsi in avanti per udirlo. Indossava un kaftan maschile di velluto di seta viola e un turbante bianco che gli cingeva il capo, evidenziando la barba nerissima e curata.

«Abbiamo necessità di visionare i registri di trasporto», esordì Cesare Trevisan, formale, avanzando sull’assito del trialbero. A pochi passi da lui, alcuni marinai erano chini a pulire il ponte e altri sistemavano le vele. «E naturalmente il carico».

Il turco, che Trevisan conosceva con il nome di Murat Uçar, annuì convinto e fece strada. «Mentre voi consultate i registri, forse i vostri uomini potrebbero prendere visione della merce», propose. «Hasan è a disposizione per mostrarvi la stiva».

Trevisan annuì e ordinò ai funzionari che l’avevano accompagnato di seguire il collaboratore del turco. Lui invece, da solo, si accodò a Uçar lungo un’angusta scaletta a pioli. Saliti alcuni gradini procedette verso il cassero, dritto nella cabina del capitano.

Appena entrarono, Uçar si richiuse la porta alle spalle e cambiò espressione. «Ananı sikiyim», lo offese, imprecando in turco contro sua madre. «Dov’è? Devo ricordarvi che vi ho già anticipato una cospicua somma?».

Trevisan indugiò prima di rispondere. In piedi al centro della cabina, era più interessato all’opulenza a cui si trovava di fronte. Tutto era sulle tinte del rosso, dal tappeto a forme geometriche sotto la grande scrivania fino alle sedie a rocchetto di velluto. I candelabri d’argento, le decorazioni dai colori accesi, il timone d’oro affisso alla parete, le quattro grandi finestre ad arco, affacciate sul bacino: ogni oggetto richiamava alla sua mente le stanze di un sultano, solo era tutto più in piccolo, per poter essere stipato all’interno della cabina di una nave.

«Francesco Grimaldi», balbettò poi, timoroso, «non si trova. È come scomparso nel nulla».

Uçar rimase impassibile, con il naso puntato su uno degli oblò laterali. Seguendo il lieve beccheggio della nave, comparivano e scomparivano le strutture mobili del ponte votivo in costruzione per la Festa del Redentore.

«Ho mandato uomini fidati a cercarlo e ho attivato alcuni confidenti», aggiunse la spia. «Lo troveremo e lo costringeremo a collaborare».

Il turco non parve affatto convinto. «Mal!», idiota, lo insultò ancora. «Mi dicono che due notti fa è stato ucciso il gondoleire della Dama nera».

«È vero», ammise Trevisan, carezzandosi la parrucca candida adagiata sul sago.

«E per voi è una semplice casualità?».

La spia fece un respiro profondo prima di rispondere. «Ovviamente no».

«Non mi fido di Grimaldi e, mi duole ammetterlo, neppure di voi», lo sferzò, con malagrazia. «Una voce mi ha riferito che l’Omphalos fosse in possesso proprio del gondoliere e non più del barnabotto».

«Ne sono a conoscenza… La cosa spiegherebbe la sua morte e la scomparsa del nostro amico».

«Come credete che Sandei l’abbia avuto? L’ha rubato a Grimaldi?». Il turco si interruppe, prestando attenzione a uno scricchiolio sul ponte. Ipotizzò stesse arrivando qualcuno ma non fu così. «Mi domando se la Dama nera ne sia già rientrata in possesso. L’uccisione del gondoliere mi dà da pensare».

Trevisan raddrizzò le spalle. «Questo lo escludo! Come vi ho riferito, ho sguinzagliato alcuni confidenti: la donna lo sta tutt’ora cercando». Tacque su un’altra ipotesi che lo affliggeva. Grimaldi. Non lo conosceva così bene, ma passava per un filibustiere. Poteva aver venduto il libro ad altri? Quello poteva essere il vero motivo della sua scomparsa?

«Cosa avete intenzione di fare, quindi?»

«Continueremo a cercare…». Trevisan raccolse le idee e subito dopo illustrò il piano, così come se l’era preparato prima di salire a bordo dello sciabecco. «Oggi il corpo di Sandei sarà portato a palazzo dei Camerlenghi per la camera ardente. Il padre è un ufficiale degli zaffi, quindi le magistrature hanno ritenuto fosse un atto di rispetto tributargli l’ultimo saluto come si deve». La spia si fermò. «Se davvero aveva lui l’Omphalos, potrebbe essere ancora addosso al cadavere, visto che nessuno ha l’autorizzazione di toccarlo. Alla peggio, potrebbero trovarlo durante la pulitura del corpo. In ogni modo, cercherò di avere gli abiti che indossava e di parlare con le suore che si occuperanno di prepararlo per la sepoltura».

«Non mi pare che i vostri intendimenti ci assicurino garanzie di successo», sbuffò. «Sandei potrebbe averlo consegnato a qualcuno prima di essere ucciso. O peggio, potrebbe averlo nascosto da qualche parte».

Troppe ipotesi e nessuna certezza. Tanto valeva concentrarsi su ciò che appariva più probabile stando ai fatti. «Stiamo vagliando tutte le alternative possibili», lo rassicurò, deciso. «Abbiamo spie ovunque: lo troveremo e ve lo porterò personalmente. Avete la mia parola».

Uçar non parve affatto persuaso. Accese una piccola pipa ricurva e rimase per lunghissimi istanti completamente muto, il viso nascosto dal fumo acre.

«Mal!», lo offese ancora in turco per non essere inteso. «Vi do due giorni, dopodiché considererò il nostro accordo sciolto».