Capitolo 35
Nei pressi di Mira, sulle rive del Brenta, mercoledì 15 luglio 1761.
Un’ora dopo l’alba.
Raggiungere l’entroterra così di buon’ora non era stato affatto agevole.
Van Axel aveva lasciato palazzo Ducale quando era ancora notte fonda e a bordo di un burchiello aveva risalito il Brenta. Il periodo estivo era il più affollato per l’intera riva del fiume, da Fusina fino a Stra, dove si ammassavano le ville vacanziere dei patrizi più facoltosi. Ma il capitano non era diretto in uno dei sontuosi palazzi che contendevano lo sfarzo a quelli cittadini, bensì in un casale isolato nei pressi di Mira.
Giunto a Oriago aveva quindi lasciato l’imbarcazione e assieme a un nugolo di uomini era montato su cavalli freschi. Da lì si erano lanciati al galoppo su un sentiero fangoso e, nel silenzio umido del mattino, avevano attraversato campi ingialliti da quella torrida estate.
«Il posto dev’essere questo», constatò Van Axel, raggiunto un bosco di pioppi non lontano dal greto del fiume. Durante il tragitto non avevano incontrato briganti, eventualità che, nonostante gli sforzi della Serenissima, era ancora piuttosto comune in quella zona; poté quindi riporre le armi, che aveva tenuto a portata di mano fino a quel momento, e smontò da cavallo affondando nel terreno umido.
La costruzione che cercava era lì, addossata sull’orizzonte grigio, tra i salici piegati della palude e acacie spelacchiate. A dispetto della vicinanza con i fasti della Riviera, trasudava povertà e stenti: già da lontano si notava il tetto della stalla pericolosamente imbarcato e uno scheletrico pennacchio di fumo che si innalzava dal comignolo annerito.
«Chi va là?», imprecò un omino ingobbito, mimetizzato tra le sterpaglie secche. Aveva il viso segnato dal tempo e teneva in mano un forcone con aria minacciosa.
«Buongiorno», si annunciò Lodovico, alzando la voce. Indossava l’uniforme con pistola e coltello bene in vista. «È qui che abita la famiglia Pinelli? Sto cercando Beata».
«Chi la desidera?»
«Sono il capitano degli zaffi da barca della Repubblica di Venezia».
A dispetto del titolo così roboante, l’uomo sbuffò. «Mia figlia si è già scusata! Per tutta risposta me l’hanno rimandata indietro come un frutto avariato».
Udendo quelle parole, Van Axel ebbe la certezza di aver trovato il posto giusto: il coadiutore di palazzo dei Camerlenghi era stato estremamente preciso. Messo di fronte a una possibile accusa, aveva rivelato anche ciò che non gli era stato chiesto: «Proprio questa mattina», aveva raccontato, «una serva, un certa Beata Pinelli, mi ha confessato di avere smarrito la sua chiave». Era venuto fuori che l’aveva immediatamente licenziata e che lei era ritornata a Mira, nel casale dei suoi genitori. Trovare il luogo non era stato poi così complicato.
«È possibile parlare con lei?», provò ancora Van Axel.
«Se riuscite a farla smettere di piangere…».
Pochi minuti più tardi erano stati introdotti in una spoglia cucina con paioli di rame che pendevano dal soffitto tarlato. Nel complesso, Van Axel ebbe l’impressione che in quella casa ci fosse più dignità che zecchini.
Attorno al tavolo di legno erano sistemate quattro sedie e su una, con in mano un fazzoletto, piagnucolava una donna non troppo giovane.
«Buongiorno, Beata». Con il tricorno in mano, il capitano avanzò sul pavimento di legno scricchiolante. Si sedette a capotavola, congiungendo le mani sul piano.
«Piange da quando è tornata dalla città», spiegò un’anziana ingobbita, probabilmente la madre. Stava in piedi dietro alla donna, aveva il viso attraversato da profonde rughe e i capelli candidi raccolti in una coda. «Anche suo marito, quando ha saputo che non aveva più il lavoro, non l’ha più voluta in casa».
Van Axel sfoggiò un’espressione di rammarico, più di facciata che reale. «Mi volete raccontare cosa è accaduto a palazzo dei Camerlenghi? Che fine hanno fatto le chiavi che avete detto di avere smarrito?».
Beata arrossì. Gli occhi erano pieni di lacrime. «Se siete qui è perché lo sapete già…».
«A cosa vi riferite?»
«All’alchimista. A cos’altro?»
«Avete dato a lui le chiavi? Lo avete aiutato a fuggire?».
Beata rovistò in una piega della gonna e, afferrato un sacchetto di stoffa, rovesciò il contenuto sul tavolo: conteneva alcune pietre preziose verdi e rosse.
«Gemme alchemiche. Ve le ha date lui in cambio del vostro aiuto?»
La donna annuì. «Non l’ho aiutato a fuggire… Gli ho solo prestato la chiave in cambio di queste; l’ho incontrato una volta sola, l’altra sera».
«A cosa dovevano servire le pietre?»
«Mia figlia non è stata ancora benedetta da un bambino», si intromise la madre, che offrì al militare un piatto di biscotti secchi. «Si dice che quell’uomo la possa aiutare…».
Van Axel si grattò la fronte, perplesso. Prima di concentrarsi sulla domanda successiva osservò meglio Beata. Se non aveva ancora avuto un figlio dipendeva probabilmente dal fatto che non fosse più tanto giovane: zampe di gallina erano abbastanza evidenti sopra le guance cadenti e anche a giudicare dalle mani grinzose era ben oltre i vent’anni. Non era bella, era rimasta senza lavoro e, per rincorrere un sogno vano, ora era anche senza marito.
«Conoscevate già l’alchimista?», le chiese ancora.
«Ne avevo sentito parlare».
«Chi ve ne aveva parlato?»
«La mia amica Lucia. È l’ancella da una gran dama francese. Affermava che l’alchimista fosse in grado di compiere prodigi indicibili…».
«Avete detto di averlo visto una volta sola: chi ha organizzato l’incontro? Dove si è svolto?»
«Sentite, mia figlia ha fatto uno sbaglio», chiarì l’anziana in piedi, con atteggiamento protettivo. «L’ha conosciuto pochi giorni fa e non sapeva che quell’individuo fosse un truffatore. Non sapeva neppure che intenzioni avesse».
Van Axel contemplò le due donne in silenzio. «Torniamo a parlare della chiave: era un prestito, avete detto. Avevate solo quella e, se vi avessero scoperto senza, avreste passato un guaio… è giusto?»
«La mia amica, Lucia Oldrini, avrebbe dovuto riportarmela a palazzo dei Camerlenghi. Ieri sera».
«Ma non ha potuto restituirvela, perché voi…». Con un gesto della mano Van Axel indicò la stanza. «Siete tornata qui dai vostri genitori; e cosa avreste dovuto fare nel malaugurato caso in cui le pietre alchemiche non avessero funzionato?».
La donna singhiozzò. «Dovevano durare tre settimane… ma adesso, senza mio marito…».
«Capisco», fece notare Van Axel, che nel frattempo si era alzato. «Pensandoci bene, forse c’è un modo per farvi ottenere qualcuna delle cose che desiderate».