Capitolo 42
In navigazione sul Canal Grande, giovedì 16 luglio 1761.
Prime luci del giorno.
Quella mattina fu il riflesso argenteo del Canal Grande a rendere strepitosa l’alba, con i palazzi ancora bui a fare da semplice contorno silenzioso.
Un gabbiano volteggiò nel cielo grigio, in direzione di San Geremia, proprio mentre il faro della gondola di Madame d’Aumale sbucò dal rio dell’Isola. Non faceva ancora troppo caldo, ma il sole nascosto dietro le nuvole minacciava l’ennesima giornata afosa.
«Supera quelle peote», ordinò la contessa da sotto il felze a Rudolf, che governava abilmente l’imbarcazione. Indossava un elegante abito in due pezzi di seta color corallo e un corpetto dorato. Sul capo, sopra la parrucca incipriata, portava un grande cappello a falde larghe che le nascondeva il viso affilato. «Voglio essere al Fontico prima che si riempia dei burchi del mercato».
L’uomo non rispose, come era suo solito, ma il ritmo con cui il remo cominciò ad aggredire l’acqua si intensificò. Davanti a loro annaspavano tre bagnarole colme di merci, precedute da uno stormo di gondolini più piccoli. La gondola beccheggiò più vigorosamente e se li lasciò alle spalle: in pochi minuti affrontò la curva e si immise sotto il ponte di Rialto. Anche lì c’erano molte zattere straboccanti di verdure delle isole e bragozzi di Pellestrina e Chioggia spinti a remi. E anche lì, Rudolf dovette dare fondo alle sue energie per superarle. Gli schiamazzi, i richiami dei venditori e qualche voce stonata che intonava canzoncine sconce strapparono per un istante la contessa dai suoi pensieri.
«Dai», lo spronò, alzando per un istante il viso dal foglio di pergamena e sbirciando da sotto le falde del cappello. Subito dopo però tornò a infilare il naso impreziosito da un neo posticcio nel disegno.
La ragazza che lo aveva vergato, Cecilia, la figlia dell’oste, era stata decisamente brava nel riprodurlo. Più lo osservava, però, più la sua mente, abituata a calcoli probabilistici, postulati e dimostrazioni, la metteva davanti a conseguenze difficili da digerire. A conseguenze che, fino al momento in cui si era trovata davanti al fatto compiuto, aveva rifiutato di accettare: uno, di Francesco Grimaldi, il suo Francesco, non si poteva più fidare. Quell’aspetto purtroppo era fin troppo chiaro: anche il cane più fedele a volte si ribella al suo padrone, e a quanto pareva era successo proprio così; due, l’ipotesi più probabile avvallata da quel disegno era che fosse proprio Francesco il ladro dell’Omphalos e che Sandei fosse solo una sua pedina; tre, se Francesco era davvero il ladro, il disegno che teneva tra le dita era una mappa destinata a qualcuno, per arrivare alla sua gemma.
Ammettendo a denti stretti che i punti uno, due e tre fossero veri, era necessario identificare il luogo rappresentato dal disegno. Il simbolo alato, dopo una veloce verifica, si presentava simile a quello della famiglia Malipiero, che lo esponeva sopra la porta del suo palazzo sul Canal Grande; la parte sottostante invece era di più difficile interpretazione. In termini di probabilità era ragionevole ritenere che rappresentasse una sorta di indicazione concreta per trovare il suo prezioso. Probabilmente all’interno dell’edificio. Ma quale edificio? Una delle casupole sulla corte Malipiero, oppure il palazzo bizantino di proprietà della famiglia? Conoscendo Francesco, abituato a pensare in grande e con un ego smisurato, la seconda opzione era decisamente più probabile. Aveva così deciso di andarci di persona.
La gondola si lasciò alle spalle la riva del Carbon e procedette spedita in direzione di volta de Canal. Madame d’Aumale non sapeva ancora cosa avrebbe fatto una volta davanti a palazzo Malipiero, ma era certa che avrebbe avuto un’illuminazione. Aveva così lasciato Eliardo nel suo palazzetto della Giudecca e, prima di decidere come utilizzare le sue doti, voleva sincerarsi di persona della situazione.
«Ci siamo quasi», fece notare a Rudolf, quando dal centro del canale affollato cominciò a essere visibile la polifora del piano nobile.
La gondola virò leggermente a sinistra per avvicinarsi e dar modo di scorgere meglio l’edificio bizantino: si presentava di un colore ambrato, tre piani in tutto, di cui l’ultimo – con uno stile più sobrio, diverso dal resto – doveva essere stato edificato successivamente. Si affacciava su campo San Samuele, formando un angolo retto con la chiesa della quale si scorgeva la facciata essenziale e il campanile slanciato. Dal canale non si vedeva bene l’ingresso di terra, ma stando a quanto le aveva detto Lucia, mandata in avanscoperta, doveva essere sormontato dal mezzo volo disegnato da Cecilia.
«Guarda lì», indicò a Rudolf, mentre la gondola procedeva più lentamente in direzione della Salute. Le diverse barche davanti a loro gli diedero modo di rallentare senza dare nell’occhio. «Stanno preparando un banchetto».
Sul campo, in effetti, si vedevano diversi facchini che consegnavano viveri scaricandoli da carretti e garzoni che ingentilivano la facciata con fiori e festoni. Anche nel pòrtego con i finestroni aperti, davanti ai quali stavano scivolando placidi sulla gondola, alcuni domestici erano intenti a imbandire tavolate. «Ci sarà una festa?».
Rudolf controllò i portali d’acqua e poi tornò a fissare il felze sotto il quale era accomodata la commessa. «A quanto pare…», proclamò con la sua voce stentorea, che non era solito usare.
«Se l’Omphalos è in quel palazzo potrebbe essere una buona occasione per cercarlo», decretò alla fine Madame d’Aumale, fregandosi le mani. Sbatté le palpebre lasciando scorrere l’ultimo frammento dell’edificio e poi si voltò verso il suo gondoliere, ritto e rivolto a prua. «Prepara la marsina elegante, mi porterai al ricevimento».
Così dicendo, fece correre la mente al notaio De Gennaro. Sapeva per certo che era buon amico dei Malipiero, perché lui stesso ne aveva accennato qualche giorno prima, e quindi forse era tra gli invitati. Non appena a Palazzo, lo avrebbe convocato per chiedergli di farle da cicisbeo, da accompagnatore.
Presa com’era in quei pensieri, distolse l’attenzione dall’andirivieni su campo San Samuele e si concentrò sulla prua affusolata della gondola. Non fu fortunata: se avesse continuato a osservare, si sarebbe probabilmente accorta che uno dei garzoni impegnati a scaricare le leccornie per la festa era Francesco Grimaldi.