Capitolo 14
Sestiere Dorsoduro. Più tardi quella sera.
Cinque ore dopo il tramonto.
Quando la donna entrò nella Furàtola del vin, gli avventori ammutolirono di colpo.
Era graziosa, con un sobrio abito verde scuro, coperto da un mantello grigio con cappuccio. L’acconciatura era semplice, non appariscente. Ciò non di meno, metteva in risalto la giovane bellezza e stonava non poco con l’ambiente rude della Furàtola.
«Buonasera», esclamò la ragazza, rivolta all’oste. Avanzò lentamente sul pavimento di legno. «Mi chiamo Lucia Oldrini, sono al servizio di Madame d’Aumale, una nobildonna francese».
L’uomo si carezzò i baffoni e poggiò i gomiti in modo plateale sul banco di mescita.
«Sto cercando un vostro cliente abituale», aggiunse Lucia.
L’oste sbatté le palpebre. La ragazza era un’apparizione bizzarra, giacché le donne che frequentavano il locale non erano che meretrici. Per quella ragione decise di assecondarla. «Sapete il nome di questo misterioso avventore?».
Lucia, in piedi al centro del grande salone, si spostò ancora di una falcata, affinché potesse sussurrarlo appena. «Eliardo de Broglie».
Un’ora più tardi, la giovane domestica di Madame d’Aumale camminava per le calli buie con accanto Eliardo.
«Si può sapere dove mi state portando?», protestò lui. Quando Cecilia, la figlia dell’oste, era andata a chiamarlo nella camera sopra il locale, Eliardo si era preparato immediatamente. Conosceva di fama Madame d’Aumale, la donna che aveva preso sotto la sua ala protettiva Grimaldi, e non riusciva a immaginare cosa desiderasse da lui. Ma nella situazione in cui era, impossibilitato a rimettere piede a casa sua e con i birri alle calcagna, magari poteva rivelarsi un’opportunità.
«È qui, siamo arrivati», fece lei.
Si fermarono quasi subito nel campo di San Trovaso rischiarato dalla luna. Ad angolo, tra le due facciate identiche di marmo della chiesa, vi erano alcuni edifici in legno, che ostruivano la visuale sul rio.
Lucia fece strada, fino a raggiungere le fondamenta. Sotto il ponte era ferma una gondola nera, con il barcarolo già in posizione a poppa.
«Vi aspetta, andate pure», lo incitò la ragazza, indicando il felze coperto dalla rassa.
Eliardo verificò tutt’attorno, per accertarsi che non fosse una trappola. Se anche fosse stato così, ormai era tardi…
«Buonasera, Eliardo», esordì Annika, scostando una tendina. «È un piacere fare la vostra conoscenza».
Il giovane la salutò, colpito dai suoi occhi, che sembravano brillare anche al buio. Si accomodò sul morbido cuscino accanto a lei e la gondola si mosse subito dopo verso il Canal Grande.
«Non è stato difficile trovarvi», lo apostrofò la contessa, mentre i palazzi immersi nell’oscurità presero a scorrere come quadri. «E non è una buona cosa, nella vostra situazione».
Il giovane continuò a rimanere in silenzio, ma solo per poco. «Cosa volete da me, Madame? Perché siete venuta a cercarmi?»
«Per aiutarvi, ovviamente».
Lui scosse il capo e la guardò in viso, rischiarato in quel momento dalla lanterna ardente sulla facciata di un edificio. Grimaldi gli aveva raccontato di quanto fosse bella, ma conoscendolo immaginava che avesse esagerato. Non era così: quella donna aveva qualcosa di speciale, di magnetico. Non era solo il suo cipiglio ardito, ma tutto l’insieme: il viso armonioso, le labbra piene, la pelle liscia, il petto, che sembrava volesse esplodere da sotto i pizzi dell’abito.
«E di quale aiuto avrei bisogno?»
«Be’, aver ucciso un nobile vi garantirà un ottimo posto tra le colonne di San Marco… al patibolo».
«Non l’ho ucciso».
La donna simulò un sorriso. «Ciò non di meno, vi hanno visto in molti in compagnia della bella Cristina».
«Ma ciò non di meno non l’ho ucciso!». Per un istante calò il silenzio, riempito solo dalle vogate ritmiche e dal rimbombo della risacca sul canale. La gondola scivolava leggera sotto la luce della luna e al suo passaggio muoveva esili onde, che incrinavano i riflessi dei palazzi.
«Eliardo», ricominciò con calma Madame d’Aumale, «siete in una brutta posizione, non potete negarlo. Forse, come voi dite, non siete colpevole. Ma poco importa, perché lo sembrate. Io vi offro una via d’uscita».
A quel profluvio di parole, lui si voltò verso di lei, che però ricominciò in tono paternalistico. «Vi offro la mia protezione in cambio di ciò che vi ha consegnato un vostro conoscente».
«Di cosa state parlando?»
«Di qualcosa che Sandei vi ha consegnato l’altra notte».
Lui le lanciò un’occhiata obliqua. «Vi sbagliate di grosso: Sandei non mi ha dato proprio nulla».
«Voglio farla breve, Eliardo». Madame d’Aumale si accigliò e un’ombra le si disegnò sulla fronte. «Ieri, un oggetto molto prezioso è stato sottratto dalla mia casa. Ho ragione di ritenere che il ladro fosse Zuanne Sandei, e che abbia lavorato in combutta con voi, consegnandovi ciò che è di mia proprietà…».
Una risata triviale interruppe la nobildonna. «Scherzate? Ho visto Naso solo per pochi attimi!». Eliardo scosse il capo e per un momento la mente gli balenò al biglietto di Grimaldi: quello che Cecilia aveva consegnato a Naso poco prima che lui uscisse. Poteva essere importante? Ne dubbio si astenne dal rivelarlo e decise di stuzzicare la donna con una battuta: «Forse potreste chiedere al vostro bellimbusto Francesco Grimaldi. Sono sicuro che potrebbe sapere molto più di me».
«Francesco non c’entra. Lo so per certo!». Si ritrasse come colpita da uno schiocco di frusta. A dispetto del tono deciso sembrò accusare il colpo.
«Neppure io, però, c’entro nulla… Conosco appena Naso e ci ho parlato a stento; non so cosa vi abbiano rubato e cosa stiate chiedendo a me… ma temo abbiate sbagliato persona».
Madame d’Aumale si strinse nelle spalle, cullata dalla gondola. Nel suo lavoro raccogliere informazioni era determinante. Era abituata a individuare gli attori in gioco, a valutare ciò che dicevano, i loro interessi e la loro capacità di persuadere gli altri. Saper comprendere le persone, capire quando mentivano, e quando dicevano la verità, faceva quindi la differenza. E Eliardo stava dicendo la verità.
«Va bene», concluse, poggiando una mano sulle brache del giovane. Tra le dita c’era una busta, chiusa con ceralacca: l’aveva preparata proprio nell’ipotesi che l’alchimista l’avesse convinta di essere estraneo al furto. Era una delle alternative possibili. «Vi credo».
Lui non replicò, setacciando invece con lo sguardo la ricca facciata di marmi di palazzo Malipiero, che scorreva ora alla sua destra. Il Canal Grande era ostruito da zattere, bragozzi, e gondole notturne, ma la loro imbarcazione si destreggiò ondeggiando appena.
«Cos’è?», commentò alla fine, concentrandosi sulla busta.
«Il mio aiuto per voi».
Eliardo provò a interpretare la sua espressione, ma sembrava di guardare una statua. «Ora non sono più un ladro, quindi?»
«Ora, in cambio di un piccolo aiuto, potrete essere un uomo libero e ricco».