Capitolo 43

Palazzo Ducale, poco dopo.

Metà mattina.

 

«Mi duole doverlo ammettere, zio, ma siamo a un punto morto». Lodovico Van Axel si lasciò cadere sullo schienale della sedia rivestita di seta e accavallò le gambe.

«Siete sicuri di avere guardato dappertutto nella corte?». Dall’altro lato della scrivania del suo ufficio, il Missier Grande non sembrava affatto convinto. Aveva anzi una sua teoria: più ripensava all’interrogatorio di Eliardo de Broglie, più si convinceva dell’importanza delle parole del chirurgo Bognolini.

«Per incastrare in quel modo una spada, bisogna averla spinta a forza e girata nella ferita tra le ossa», gli aveva assicurato il medico. La motivazione era evidente: quella di mettere nei guai Murat Uçar. E quello era proprio il punto che gli dava da pensare.

«O de Broglie si sbagliava a indicare la corte Malipiero, oppure nasconde qualcos’altro», proseguì Van Axel.

«Dopo la liberazione l’hai fatto seguire, giusto?»

«Sì. È stato accolto nel palazzetto di Madame d’Aumale alla Giudecca e non ne è ancora uscito».

«Madame d’Aumale», ripeté Mellan, carezzandosi il mento spigoloso. «Naturalmente. Per essere una che voleva incastrarlo, lo sta trattando piuttosto bene».

Il capitano degli zaffi cominciò a giocherellare con il tricorno che teneva poggiato sulle ginocchia. «E se i tre delitti non fossero collegati come credevamo? Dopotutto, de Broglie ha affermato di conoscere solo ser Venier e Sandei. Non c’è nulla che lo colleghi a Quintavalle».

«I tre delitti sono collegati e oggi ne sono più convinto di ieri. Ripensate alle parole dell’alchimista». Per un istante, la voce di un gondoliere che salì da rio di Palazzo irruppe nella loro conversazione. Van Axel si alzò e serrò il finestrone, coprendolo con il pregiato tendaggio damascato.

«De Broglie ha affermato che la contessa avrebbe fatto uccidere Venier solo per incastrarlo», continuò Mellan, asciutto. «Noi sappiamo che non è così e che se davvero c’è lei dietro il suo omicidio, il motivo è certamente un altro: la sua eredità».

«Dalla reazione di de Broglie tenderei a escludere che lui ne fosse invece a conoscenza».

«Forse no, ma il punto è un altro: il semplice fatto che de Broglie abbia avanzato un’ipotesi tanto strampalata mi ha fatto suonare un campanello d’allarme. Historia magistra vitae: non vi ricorda nulla questa vicenda?»

«Lo speziale», ipotizzò Van Axel, senza neppure rifletterci. «Potrebbe essere stato ucciso per un motivo analogo: l’assassino, l’ottomano o chi per lui, lo ha ammazzato tentando nel contempo di incastrare un’altra persona».

«Il turco. Esattamente», si complimentò Mellan. «Anche se Uçar nasconde qualcosa, ciò non toglie che il delitto di Quintavalle ci riveli un modus operandi».

«Un delitto compiuto con il solo fine di addossare la colpa a qualcuno…», concluse il ragionamento il capitano. «Potreste avere ragione, zio. Ritenete quindi che vi sia la contessa anche dietro la morte di Quintavalle?»

«È possibile, se non addirittura probabile. Magari sospettava che lo speziale fosse in qualche modo complice di Sandei nel furto di quella gemma». Mellan si fermò, come se quell’intuizione gli fosse venuta proprio un istante prima. «Sappiamo che il gondoliere prima di essere ucciso era al Casin degli Spiriti in compagnia dello speziale. E sappiamo anche che la contessa sospettava di Sandei, tanto da mandare de Broglie a perquisire il suo cadavere. Potrebbero aver pensato che Quintavalle fosse complice nel furto. Oppure chissà… sapeva qualcosa che non doveva sapere».

«Marcello Lin, nella lettera in cui mi comunicava il nome dello speziale, affermava che quest’ultimo avesse visto in volto il nostro ottomano».

«Bene. Se è così, questo potrebbe essere il movente per il delitto di Quintavalle. E, contemporaneamente, un’occasione per addossare la colpa al turco».

«Ipotesi interessanti, zio». Van Axel si grattò il capo. «Se crediamo a de Broglie, i tre delitti potrebbero avere la stesso mandante e moventi diversi: Venier questioni di eredità, Sandei e Quintavalle aspetti connessi con il furto».

«Anche se manca ancora qualcosa: perché incastrare proprio Uçar? E come si inserisce nella vicenda la gemma rubata alla contessa?». Il Missier Grande si interruppe di colpo, come se avesse avuto un’altra intuizione. Subito dopo incrociò lo sguardo con quello di Van Axel.

«Uçar è in città per acquistare qualcosa di prezioso…», dedusse quest’ultimo, intuendo dove voleva arrivare Mellan. «Qualcosa che potrebbe rappresentare un “pericolo per la Repubblica”, stando al raccordo… e se quel qualcosa fosse proprio la pietra alchemica rubata?»

«Il punto è che non sappiamo abbastanza sulla gemma. E soprattutto, senza sapere chi è il ladro, non siamo in grado di dimostrare nulla».

«Sappiamo però che il disegno l’ha fatto Grimaldi e poi lo ha fatto consegnare a Sandei». Van Axel indicò un mucchio di fogli di carta pergamena sulla scrivania. Più rifletteva sulle supposizioni di Mellan, più in effetti la sua ricostruzione cominciava ad avere senso.

«Grimaldi è quindi un buon candidato per essere il ladro: ha una buona ragione, il fatto che la contessa l’ha lasciato sul lastrico. E ha l’occasione, visto che vive da lei», sentenziò alla fine il Missier Grande, con aria trasognata. «La chiave di tutto è in questi documenti: una volta compresa la logica, saremo in grado di incastrare quella donna per i tre delitti».

Van Axel sospirò. «Ma purtroppo torniamo all’inizio, zio: siamo a un punto morto. Abbiamo veduto il palazzo Malipiero e la corte, e in nessuno dei due posti siamo riusciti a trovare collegamenti con il disegno».

In quell’istante, il cancelliere Padoan bussò alla porta.

Mellan lo invitò a entrare con un gesto della mano.

«C’è una lettera per voi, eccellenza». Picchiettando con i tacchi sul pavimento, Padoan si avvicinò e porse il piccolo plico.

Il Missier Grande sollevò un sopracciglio e, nello scoccare un’occhiata al sigillo di ceralacca con la zampa d’aquila, trattenne un sorriso. «Si parla del diavolo…».

«Da chi viene, zio?», si allungò sulla scrivania Van Axel.

Mellan non gli rispose ma cominciò a leggere ad alta voce, il tono grave.

 

Al Missier Grande della Repubblica di Venezia

Illustrissimo Mattio Mellan

 

Perdonate la mia impudenza, Missier Grande, ma a seguito di una inusuale e alquanto bizzarra richiesta di un amico di famiglia, ho ritenuto utile avvisarla.

Pochi minuti fa ho ricevuto una lettera del notaio De Gennaro, che voi forse conoscete. Egli fu amico di lunga data del mio defunto marito e quindi tale vicinanza deve averlo persuaso di comunicare ciò che in effetti ha cominciato con la sua missiva.

Ebbene, il notaio, come voi e molte altre personalità della nostra Signora di acqua e marmo, è invitato alla mia festa di compleanno. Sessant’anni sono un bel traguardo… ma sto divagando; il notaio ha ritenuto, forse per la ragione cui vi accennavo, di informarmi che questa sera si accompagnerà a una nobildonna, una certa Madame d’Aumale. Non l’avevo mai sentita nominare, a dire il vero, ma De Gennaro sostiene che la contessa vorrebbe fare conoscenze in società. Suggerisce quindi che, forse, per me, potrebbe essere una gradita occasione accoglierla con calore, cosa che peraltro immagino farebbe piacere anche a lui.

Non che la notizia mi crei particolari sorprese o turbamenti, visto che ci saranno oltre cento invitati. Non mi avrebbe neppure troppo insospettito, tanto è ambito il mio ricevimento, ma ciò che mi ha spinto a informarvi è però un altro evento che ritengo non casuale: proprio questa mattina il maestro di casa mi ha riferito della visita di un’altra giovane, annunciatasi come la domestica di una gran signora, casualmente la stessa Madame d’Aumale. La ragazza ha chiesto informazioni sullo stemma di famiglia. Lo stemma a cui eravate molto interessato anche voi.

Non faccio supposizioni, che lascio a voi, ma sono certa di aver fatto cosa gradita a portarvi a conoscenza di questi fatti.

L’occasione mi è però fruttuosa per rinnovarvi anche l’invito: vi attendo con ansia per questa sera.

 

Con stima e amicizia,

Matilde Comparin Malipiero

 

Il Missier Grande lasciò galleggiare gli occhi sulla lettera e si abbandonò alla risata che aveva trattenuto sino a quel momento. «Nonostante la vostra impudenza a casa sua, la signora Malipiero si è dimostrata collaborativa», borbottò a Van Axel, sarcastico. «Se non è un colpo di fortuna questo, ci siamo molto vicini».

Il capitano strinse le palpebre, carezzandosi la tempia con una posticcia espressione meditabonda. «A essere sincero, a questo punto comincio a pensare che la nostra Madame sappia su quel simbolo più di quanto sappiamo noi».

«Se è così, credo proprio che accetterò l’invito della signora Malipiero».