Capitolo 64

Bacino di San Marco. Quello stesso giorno.

Metà mattina.

 

La stiva dello sciabecco era ammorbata da un intenso odore di sangue e urina.

Francesco Grimaldi, legato a braccia larghe e con le gambe abbandonate sul pavimento, era una specie di crocifisso grondante di sudore. Indossava soltanto le brache luride e le piaghe delle frustate cominciavano a fare assomigliare la sua schiena a una rete vermiglia.

«Siete svenuto o siete ancora con noi?». Murat Uçar si sedette stancamente su una botte davanti al prigioniero. I raggi di sole che filtravano dalle travi del ponte gli disegnarono sul suo viso giochi di luce simili ai denti di un pettine.

«Non so dov’è… Ve lo giuro!».

«Risposta sbagliata». Il turco fece cenno all’aguzzino, in attesa dietro Grimaldi. Questi, un albanese corpulento con un grembiule di pelle e la testa glabra, fece schioccare nuovamente la frusta. Uno schizzo di sangue imbrattò lo scabro assito della stiva.

«L’avevate nascosto, almeno questo non potete negarlo».

«L’ho fatto per essere sicuro… L’ho fatto per voi», piagnucolò il barnabotto, dondolando la testa per scostare dal viso i ciuffi di capelli rossi appiccicati al viso. «Non mi fidavo del vostro amico Trevisan».

«I soldi da lui li avete presi però».

«Vi giuro che ve li restituirò, dal primo all’ultimo ducato!».

Uçar mimò un plateale no con la testa e il boia fece cadere nuovamente la lingua intrecciata di corda sulla schiena nuda di Grimaldi.

Il barnabotto emise un grugnito, sgranando gli occhi.

Per essere così magrolino resisteva bene.

«Non ci siamo capiti, messer Grimaldi». Uçar si alzò e si avvicinò minaccioso. Con la lama di un coltello gli sollevò il mento per poterlo guardare negli occhi. «Io voglio la pietra. Non il denaro».

«La troverò», propose il barnabotto, esausto. «La troverò io per voi».

«Avete detto che non sapete dove la vostra padrona l’abbia nascosta, dopo la festa».

«È la verità, ve lo giuro. Non so davvero… No!». Si bloccò, vedendo che l’aguzzino ora si era posizionato dalla parte opposta della stiva e armeggiava davanti a una fucina accesa. «No. Vi prego».

«Sapete cosa si usa fare dalla mie parti, con i ladri?».

Grimaldi non rispose perché il suo intero campo visivo fu attratto dal ferro rovente che si avvicinava pericolosamente a lui.

«Li segniamo con il fuoco».

«Vi prego. Vi prego», singhiozzò. Provò a strattonare le corde alle quali era appeso, ma con il solo effetto di affaticarsi di più.

«Non vi credo, messer Grimaldi». Uçar si spostò di lato, per far posto al marinaio, che brandiva il marchio con un guanto. «Voi conoscete quella donna. Dovete sapere dove ha nascosto l’Omphalos».

«Ve lo giuro… No. Ahh». L’urlo gutturale fu così forte che certamente fu udito dalla metà delle navi alla fronda nel bacino. Come un capo di bestiame, la piastra rovente si incollò alla pelle dello sterno. L’odore di carne bruciata e il fumo costrinsero Uçar a proteggersi il naso con un drappo di seta bianca.

«Murat!». Una voce, che risuonò dalla scaletta di legno, richiamò l’attenzione del turco.

Prima di spostarsi tra i sacchi di caffè addossati alla parete concava della nave, Uçar lasciò galleggiare gli occhi sul prigioniero. Adesso sì che era svenuto: almeno per un po’ non avrebbe potuto fargli altre domande.

«Cosa c’è?».

L’ufficiale, un uomo giovane con un naso affilato e la pelle butterata, si avvicinò, sussurrando. «C’è una bissona che viene da palazzo Ducale».

«Hanno già attraccato?»

«Sì, ma non sono sbarcati. Chiedono di voi».

Uçar fissò nuovamente Grimaldi. Le gambe gli avevano ceduto del tutto e ora, più che un crocifisso, sembrava un penitente inginocchiato con le braccia larghe. Era possibile che avessero già saputo di lui?

Nel dubbio ordinò all’albanese di rimanere vicino al prigioniero. Se fosse rinvenuto, non avrebbe dovuto fiatare.

«Chiedevate di me?», indagò subito dopo, non appena fu risalito sul ponte assolato della Mısır Piramitleri. «Chi vi manda?».

Il funzionario della Repubblica, elegante velada nera e parrucca incipriata, allungò un braccio. In mano teneva un plico sormontato da un sigillo di ceralacca. «Ho un messaggio per voi».

«E di chi?»

«Del doge in persona, messer Uçar». Consegnò l’involto a un marinaio, che si era sporto dal ponte per raggiungere la piccola imbarcazione, più bassa della nave. «Vi invita al palazzo Ducale. Oggi stesso».