Capitolo 46

Palazzo Malipiero, sestiere San Marco. Cinque giorni dopo…

Tre ore dopo il tramonto.

 

Sotto la direzione attenta di Madame d’Aumale, immobile sul pontile traballante, Rudolf affondò le mani nell’acqua salmastra.

Tutt’intorno, le esplosioni dei giochi pirotecnici vorticavano sopra Canal Grande come lampi durante un temporale. Gli ospiti di Matilde Malipiero affacciati alla polifora sopra di loro avevano il naso puntato all’insù, ma non era affatto escluso che qualcuno abbassasse gli occhi, individuandoli. Dovevano fare in fretta.

«Hai trovato qualcosa?», sussurrò la contessa, che guardinga si teneva prossima alla parete del palazzo, per evitare di essere scorta dall’alto. Si era precipitata giù dallo scalone d’onore appena aveva compreso il significato della mappa; Rudolf le era andato incontro sul campo e in pochi istanti lei l’aveva istruito su dove cercare: «Briccola centrale, tra i due portali».

Una deflagrazione con scintille color rubino rischiarò il cielo, seguita subito dopo da un’altra sulle tinte del verde. In quel momento, il servitore di Madame d’Aumale sfiorò qualcosa con le dita. Mentre l’omone issava una piccola catenella, lei si avvicinò di un passo, le ombre variopinte che le danzavano sulla bauta. E alla fine dall’acqua emerse una cassetta di legno con spigoli di metallo, che Rudolf posizionò con grande cura sulle assi traballanti del pontile.

«Prendila e andiamo», gli ordinò, lanciando l’ennesima occhiata alla polifora sopra di loro. Con tutti i nobili ammassati alla finestra, di certo qualcuno doveva averli già notati.

«È incatenata», mugugnò Rudolf, atono. Voltandosi verso di lei fece tintinnare le maglie di ferro gocciolanti e ricoperte di alghe.

«Si può aprire?». Madame d’Aumale si inginocchiò sul pontile per riuscire a vedere meglio il contenitore. Non c’era serratura, quindi Rudolf si limitò ad annuire e a far roteare il coperchio sulle cerniere.

Il lampo di un nuovo fuoco pirotecnico saettò nel cielo e rischiarò l’interno dello scrigno. Alla sinistra luce bianca, la contessa fu la prima a tirare un sospiro di sollievo: l’Omphalos, nella sua opinabile bellezza traslucida era lì, davanti a lei. Posizionato al centro della scatola sopra un panno di fustagno era completamente asciutto a dispetto del suo nascondiglio. Emozionata, lo prese in mano.

«Andiamo. Presto», consigliò a Rudolf, che aveva richiuso la scatola e la stava calando nuovamente sotto il pontile. Di fronte a loro stava sopraggiungendo una gondola, ma non sembrava che l’unico occupante li stesse guardando.

Con in mano la pietra che diffondeva riflessi vermigli, Madame d’Aumale si alzò in piedi e tornò rapida verso campo San Samuele. Saliti i due gradini di pietra che davano accesso al pontile si dovette però bloccare di colpo. Raggelata, indietreggiò.

«Annika, sembra tu abbia visto un fantasma», si burlò di lei Francesco Grimaldi, con un sorriso beffardo sul viso. Era privo di maschera ma abbigliato per la festa, con parrucca, un cappello con piuma e punto di Spagna d’oro, una velada e il panciotto ornato da alamari e pizzi. Il mantello gli copriva le spalle e le mani, ma non la canna a trombone di una pistola a pietra focaia, puntata minacciosamente verso il corpetto della contessa.

«A essere del tutto franco, mi aspettavo un saluto un po’ più caloroso», scherzò ancora Grimaldi, avanzando lentamente. Agitò l’arma.

Madame d’Aumale si immobilizzò per la sorpresa, una sorpresa che non aveva minimamente previsto e che per quella ragione le faceva ancora più male. I suoi occhi scattarono da un lato all’altro, come se stesse leggendo rapidamente un testo. Ma non era così: cercava vie di fuga.

«Perché, Francesco?», gli domando, senza muovere un muscolo. Non c’era astio nella sua flebile voce, bensì solo la voglia di spiegarsi un comportamento che non riusciva a comprendere.

«Perché ho preso la tua preziosa pietra e perché l’ho nascosta?». Una luce malevola attraversò il viso del barnabotto. «O semplicemente perché ti ho… tradito?».

La donna, con una scarpetta sul gradino e l’altra sull’assito, annuì. Strinse con entrambe le mani la gemma in grembo, come se fosse stato sufficiente per proteggerla da una pistola. «Ti ho dato tutto», sciorinò, impassibile.

«Mi hai privato di tutto…», la corresse lui, «per poi trattarmi come uno dei tuoi cani».

«Perché hai preso l’Omphalos e non uno dei miei gioielli, allora?»

«Perché è proprio quella pietra la causa di tutti i miei mali e di quelli della Repubblica. L’imponderabile…».

«Non sai cosa stai dicendo».

«Lo so eccome». Grimaldi lasciò che un ghigno gli sollevasse il labbro. «So del marchingegno, so dei tuoi calcoli e anche dei cento egiziani alla Giudecca».

Madame d’Aumale scorse con la coda dell’occhio un movimento dietro di lei. Con ogni probabilità Grimaldi non aveva visto Rudolf, ancora inginocchiato sul pontile. «L’Omphalos è solo uno strumento. Che intenzioni avevi? Non sei in grado di utilizzarlo», sottolineò quel punto, con la sola finalità di guadagnare attimi preziosi.

«Non io forse… ma c’è qualcuno che è in grado di farlo». Il barnabotto stava perdendo la pazienza. Oltretutto, dalla finestra del pòrtego, in una pausa dei fuochi, qualcuno adesso li stava osservando sgomento.

«Se non ti dispiace adesso lo prendo io». Allungò la mano libera per afferrare il prezioso, ma proprio in quel momento un bruciore lancinante lo costrinse a ritrarla. In un istante il suo palmo si riempì di sangue.

«Butta l’arma», tuonò Rudolf, dietro di lui. Senza essere notato era riuscito a rientrare nel palazzo dal portale d’acqua e uscendo poi sul campo l’aveva preso alle spalle. Con un colpo di quadrello, un pugnale a punta quadra, gli aveva aperto una ferita alla mano.

Grimaldi lo osservò con sufficienza, socchiudendo gli occhi. Avrebbe dovuto ucciderlo quando poteva, subito dopo il furto dell’Omphalos nel laboratorio segreto di Ca’ d’Aumale. In quell’occasione gli aveva sferrato un colpo alla testa da dietro, ma forse una palla di pistola sarebbe stata preferibile.

Al lampo di un nuovo gioco pirotecnico, Rudolf affondò un altro fendente.

Il barnabotto schivò il colpo, spostarsi di qualche passo. Mantenne l’equilibrio ma fu costretto a indietreggiare con i tacchi fino al bordo del campo. Lasciò spazio così a Madame d’Aumale, che con un rapido scatto riuscì ad allontanarsi dal pontile.

«Lasciami andare, Francesco». Annika si nascose dietro le possenti spalle del suo servitore.

Dal palazzo, intanto, qualcuno stava uscendo gridando aiuto. Il tempo era scaduto.

Con la mano sanguinante, Grimaldi sfiorò una seconda pistola alla cintola e scorse una gondola in movimento sul Canal Grande. Poi osservò di nuovo le sue prede, con le spalle alla chiesa di San Samuele e l’Omphalos al sicuro tra le mani della contessa.

Non poteva lasciarla vincere di nuovo.

Tese il braccio, prese la mira ed esplose un colpo di pistola.