Capitolo 68
Sulla strada per Chioggia, sabato 18 luglio 1761.
Primo pomeriggio.
La carrozza, trainata da due morelli neri e imponenti, rallentò affrontando una curva. Il sole alto cuoceva il sentiero paludoso, poco più di due solchi lasciati nel fango da zoccoli e ruote, e un tanfo di pesce regnava incontrastato. In fondo, oltre il golfo azzurreggiante, cominciavano a vedersi isolette, lingue di terra piatta, costruzioni isolate e qualche campanile.
Madame d’Aumale, l’unico passeggero a bordo, scostò la tendina e sbirciò oltre il vetro inzaccherato. Dalla laguna si sollevò uno storno di cormorani. Oltre, il mare baluginava al sole come una lastra di vetro sotto le nuvole spumose.
«Era tuto in afano». Le parole del locandiere di Oriago vorticarono sinistre nella sua mente. «Era tutto agitato… quando l’hanno portato via i birri».
I birri.
Ancora una volta gli uomini di Mellan l’avevano anticipata e si erano frapposti tra lei e i suoi piani.
Mentre la carrozza aumentava l’andatura, Annika strinse la mano a pugno. Almeno la sua ritirata da Mira era andata per il verso giusto. Non così fortunati erano stati i matematici: nonostante prima di farli evacuare dalla Giudecca avesse provato a far verificare alcune “ipotesi” sulla fuga, le previsioni erano fallite. Tutto era cominciato male con gli uomini di Uçar. Per quanto fossero un’alternativa concreta, l’avevano costretta a un diversivo con Eliardo. Con loro in agguato fuori dalla villa, il suo arrivo non era sensato. La scelta migliore era quella di farlo attendere in una locanda, per poi raggiungerlo quando si fosse liberata degli aggressori.
Ma tutto era andato storto, a cominciare dal vento di scirocco che aveva fatto propagare le fiamme dell’oratorio fino alla stalla. Anche quella era una delle eventualità, in effetti, ma i matematici l’avevano ritenuta poco papabile. E gli era costato la vita… Non era tutta colpa loro, naturalmente: il problema era che senza le formule dell’Omphalos, ogni “ipotesi” aveva la stessa dignità di un’altra. A poco serviva raccogliere le informazioni: senza il libro era molto difficile decidere qual era il ramo più probabile tra quelli dell’albero delle decisioni. Senza l’Omphalos, non poteva neppure anticipare i suoi nemici; e adesso ci si mettevano perfino i birri…
«Era tutto agitato, quando l’hanno portato via». Le parole pronunciate poco prima alla locanda Màgna e tasi erano state un colpo al cuore. Eliardo era stato tratto in arresto prima che arrivasse lei e senza l’alchimista non era possibile recuperare la gemma. Per un secondo ipotizzò anche che il giovane l’avesse addirittura trovata, ma purtroppo non aveva i mezzi per verificare l’attendibilità di quell’ipotesi.
Sospirò, scrutando fuori dalla carrozza. La strada frastagliata che seguiva la costa era stranamente trafficata, con cavalli e carretti che la precedevano in direzione opposta alla sua, verso Venezia.
«Cosa succede?», domandò a Lucia, seduta in alto sulla panca, accanto a Rudolf impegnato a strattonare le redini. Per far passare un’altra carrozza si erano fermati sul ciglio del sentiero, e mentre incrociavano la vettura udì la ragazza parlare con qualcuno.
«Foghi», fu una delle parole che riuscì a percepire dallo stretto veneziano dell’altro cocchiere. «Ci sono i fuochi. Venezia. Festa del Redentore».
Quando Rudolf fece ripartire la vettura, Lucia si sporse oltre la tendina. «Contessa, stanno andando tutti a Venezia», illustrò, leggera. «Dicono che questa sera c’è lo spettacolo pirotecnico per l’apertura della Festa del Redentore».
Madame d’Aumale trattenne una risata amara. Mentre lei scappava dalla città, tutta quella gente stava invece andando a Venezia. E per cosa? Per una processione in una chiesa o per godersi uno spettacolo di foghi?
A quel pensiero trasalì. Il suo sguardo era ancora puntato sulla laguna punteggiata dalla vegetazione, ma la sua mente si spostò altrove, a palazzo Malipiero.
«Non dovreste spiegarmi il motivo per il quale non avete ritenuto di dovermi portare con voi a vedere lo spettacolo pirotecnico?». Le parole di Eliardo, pronunciate quel giovedì sera, subito dopo essere intervenuto in sua difesa da Grimaldi, le rimbalzarono in testa.
Lei aveva appena ritrovato l’Omphalos nel Canal Grande e il barnabotto l’aveva minacciata con la sua pistola. Era seguita una colluttazione e l’alchimista era rimasto ferito al braccio. La stessa ferita che poi lei aveva sfruttato per poter fuggire da Murano.
«Ferma la carrozza!», ordinò, battendo con la mano sul tetto. «Rudolf, ferma la carrozza».
Il gigante obbedì immediatamente: tirò le redini e i cavalli nitrirono. Le ruote affondarono nella fanghiglia del sentiero.
«Per concludere il discorso», aveva scherzato Eliardo, nel suo ricordo, «i fuochi artificiali della vecchia non erano tanto male».
Lei aveva confermato, pronta a fuggire. Per distrarlo aveva continuato il discorso, dicendogli dove la vista sullo spettacolo pirotecnico sarebbe stata a parer suo migliore. E in quel frangente, l’alchimista, improvvisamente serio, si era lasciato andare a un romanticismo fuori luogo: «Promettetemi una cosa», aveva domandato. «Se me la caverò la prossima volta mi inviterete e li guarderemo insieme».
«Ve la caverete!», lo aveva rassicurato lei. Non era davvero interessata al suo stato di salute (o forse sì?). Aveva inoltre forti dubbi che, con i birri di mezzo, Eliardo potesse far fronte alla sua promessa… e che se la sarebbe perfino ricordata; a quel punto, con il suo piano miseramente fallito, si augurò però di avere ragione almeno su quell’ipotesi.
La carrozza girò con fatica nei pressi di una chiesetta affacciata sulla laguna. Rudolf spronò i cavalli e li lanciò verso Venezia.
«Dove andiamo, contessa?», fece Lucia, attraverso il vetro.
Madame d’Aumale si fregò le mani, sospirando. Lo spettacolo pirotecnico, che dava inizio alla Festa del Redentore, sarebbe cominciato a breve. Rispose con le stesse parole che aveva rivolto a Eliardo due sere prima: «I fuochi si vedono meglio dalla terrazza di San Marco».