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Nella tarda mattinata di lunedì, Kate stava fissando la pioggia che scendeva lungo i vetri del suo ufficio all’università. Poco prima lei e Bernie erano stati a trovare Joe al Queen Elizabeth Hospital. Stava facendo progressi e, se continuava così, lo avrebbero dimesso entro un paio di giorni. Lei era rimasta a guardarlo riposare finché Bernie non le aveva toccato un braccio. Allora se n’erano andati, uscendo fuori al freddo pungente.
Wellan era stato accusato di tre omicidi. Theda Levitte era stata accusata di complicità nell’organizzazione degli incontri sessuali che avvenivano a casa sua sulla base del fatto che ne fosse a conoscenza, ma che non avesse mai fatto niente per impedirli. L’Ufficio indagini preliminari della Corona aveva già indicato che non riteneva Stuart Butts un testimone affidabile. Kate sospirò. Ma perché quando inizia a muoversi il sistema della giustizia penale, la giustizia stessa rischia sempre di essere trascurata? Il suono della porta dell’ufficio che si apriva e la voce di Crystal la riportarono alla realtà. «È urgente? La dottoressa Hanson ha molto da fare ed è…»
«Chi è, Crystal?»
Crystal si voltò verso di lei dalla soglia. «Una studentessa del suo gruppo. Ashley Jenner.»
«Falla pure entrare.» Kate guardò dall’altra parte della stanza e vide apparire la giovane studentessa. «Ciao, Ashley. Che cosa posso fare per te?»
La ragazza aveva un’aria turbata. «Abbiamo sentito del tenente Corrigan. Vorremmo fargli avere questa.» Posò una grande busta quadrata sulla scrivania di Kate. «Sta bene?»
Kate prese la busta. «Siete molto gentili. Grazie. Si sta riprendendo bene, quindi gli farà molto piacere riceverla.»
Il giovane viso si illuminò con un sorriso. «Ho portato una cosa che vorrei mostrarle. Cioè, se ha tempo.» Kate annuì rapidamente e la ragazza sollevò la borsa di plastica che aveva con sé per appoggiarla delicatamente sulla scrivania. «L’ho presa a mia mamma per il suo compleanno. Troppo bella. Le faccio vedere.» Ashley prese due oggetti, tolse i due strati di tessuto in cui erano avvolti e li passò a Kate, osservandola mentre li prendeva, uno in ciascuna mano, rigirandoli per esaminarli. «Si ricorda che cosa ci ha detto qualche tempo fa, dottoressa Hanson? Che la percezione dipende da come guardiamo le cose?»
Kate fissò gli enigmatici segni neri stampati sul piattino bianco. Aggrottando la fronte, si concentrò sulla superficie argentata e lustra della tazza. Posandola con delicatezza sul piattino vide che quei tratti neri apparentemente casuali si trasformavano in un messaggio riflesso sul lato curvo e lucido della tazza. Bevimi! Sorrise, ricordando la lezione sulla percezione e il vecchio dipinto che aveva usato per illustrare l’argomento. Non riusciva a ricordare esattamente le parole che aveva usato, ma Ashley aveva capito bene il concetto: La comprensione dipende da come guardiamo le cose. Le restituì la tazza e il piattino. «È fantastica. Sono sicura che a tua madre piacerà tantissimo.»
Ashley se n’era andata e Kate era in piedi alla finestra, a fissare il campus zuppo di pioggia, pensando alla superficie curva e lucente della tazza e a come aveva svelato il segreto solo quando era stata messa in una particolare posizione. Un esempio divertente di una particolare tipologia di inganno, l’anamorfosi.
Attraversò la stanza, prese il cappotto e si incamminò verso la porta. «Crystal, vado a casa» gridò. «Devo fare una cosa.»
«Okay, Kate. Si riposi. E faccia i nostri migliori auguri al tenente Corrigan, quando lo vede.»
Entrò in casa. Una luce bassa filtrava dalla porta socchiusa dello studio. La aprì e rimase in piedi, guardando dentro. Kevin era sdraiato sul divano, gli occhi chiusi, gli auricolari ficcati nelle orecchie. Stava tamburellando con un dito. Si addentrò ulteriormente nella stanza fino all’angolo, per osservare Paesaggio al sole. Il suo senso di straniamento scomparve per essere sostituito da una rabbia gelida. Sollevò il quadro dal gancio e lo staccò dal muro, sorreggendolo con le braccia tese mentre lo portava dall’altra parte della stanza. Lo appoggiò alla scrivania e andò a prendere la scatola di Nathan, su una sedia lì vicino. Tolse il coperchio e infilò una mano al suo interno, sentì qualcosa di freddo contro le dita e tirò fuori il cilindretto cromato lucido. Ora capiva tutto.
Con un solo movimento del braccio liberò la scrivania dai libri di testo, dai fogli, da tutto, e vi posò sopra il dipinto. Kevin si alzò di scatto per il frastuono. «… Maisie? Che cosa stai combinando? … Kate?»
Kate attraversò la stanza, diretta all’interruttore principale, accese la luce e tornò al quadro. Sbigottito, Kevin la guardò posare il cilindretto sul disco rovente del sole e poi abbassare la testa per osservare di sbieco la superficie liscia e lustra. I suoi occhi si mossero lenti verso l’alto, sull’immagine riflessa sul metallo: piedi piccoli e delicati, gambe lunghe e magre, da preadolescente e un accenno di seno, poi un viso quasi elfico. Androgino. Riconoscibile. Cassandra Levitte.
Si rialzò di scatto, e il cilindro cromato rotolò sul pavimento. Lo guardò rotolare, ricordando di averne visti altri uguali. Nello studio di Wellan. Nel salotto di casa Levitte. Li aveva visti anche Nathan? Cassandra aveva capito a che cosa servivano e glielo aveva spiegato? Un semplice accessorio per godere di immagini pedopornografiche segrete nascoste nell’«arte» di Henry Levitte.
«Kate?»
Lei afferrò il dipinto e uscì dallo studio, poi attraversò la cucina, fermandosi solo per infilarsi qualcosa in tasca, aprì uno dei chiavistelli e spalancò la porta finestra sul giardino buio e battuto dalla pioggia gelata. Una volta fuori, lasciò cadere il dipinto in una carriola vicina, sentendo la voce di Kevin. «Che diavolo sta succedendo?» Kate si avvicinò al barbecue, lo aprì, prese la piccola latta del combustibile, tolse il tappo e la portò fino al dipinto, osservando il liquido colpire la superficie e scivolarvi sopra. Stava per distruggere una prova. Non le importava. Ora sapeva che avrebbe potuto scoprire tranquillamente altre immagini simili.
Nel frattempo, Kevin aveva raggiunto la porta finestra giusto in tempo per vederla mentre si toglieva di tasca un fiammifero. «Gesù!» Kevin si portò convulsamente le mani alla testa, osservandola inorridito. Qualunque cosa si potesse dire di lui, era svelto a capire le situazioni. Abbassò la voce. «Okay… okay… È successo qualcosa e… il quadro non ti piace più?» Seguì i suoi movimenti. «No, no. Aspetta. Non ti piace? Non c’è problema. Lo prendo io. Non dovrai vederlo mai più. È una promessa. In ogni caso è per metà mio, ti ricordi?» Zoppicò per uscire dalla porta mentre il fiammifero era già acceso tra le dita di Kate. «No, Kate! Aspetta… lascia che lo prenda io.»
Kate si voltò verso di lui, il viso calmo. «E dovrei contribuire a diffondere della pedopornografia?» Lasciò cadere il fiammifero. «No.» Kevin rimase a guardare, inerme, mentre il fiammifero cadeva sul quadro.
Whooosshhh.
Kate osservò la tela gonfiarsi di bolle e poi arricciarsi. Quando Paesaggio al sole fu completamente incenerito, scansò Kevin e rientrò in casa.