1

Fece un passo avanti, in silenzio, nella luce evanescente del pomeriggio, guardando la sagoma solitaria alzare un braccio e puntare due dita oltre l’acqua, verso le cornacchie dalle piume lucide e il corvo dal becco largo. Vide gli uccelli alzarsi in volo al suono del «Pam!» e proseguì senza fare rumore nonostante la corporatura massiccia. Ormai era così vicino da riuscire quasi a toccare quella schiena, riparata dalla giacca a vento grigio chiaro. Un altro passo felpato e poi tese il braccio, afferrando la spalla. «Oh!»

La sagoma avvolta nel giaccone si girò di colpo sul terreno fangoso. «Ma che fai, idiota di un ciccione?»

Sogghignando, Bradley Harper indicò qualcosa con il dito. «Guarda là, Stuey. Guarda là!»

Stuey lo ignorò. L’aveva già visto. Non c’era bisogno di guardare di nuovo quel capanno squadrato, dal tetto basso, circondato da alberi nodosi e ritorti. Era troppo intento a strofinare le suole infangate delle scarpe sportive contro l’erba ruvida. «Mi sono costate centocinquanta sterline, imbecille.» Indicò un arbusto lì accanto. «Stacca qualche ramo sottile, così possiamo mettere delle trappole.»

Di malavoglia, Harper lanciò un’occhiata all’arbusto. Conosceva bene la passione del suo compare per gli animali selvatici. E anche per quelli non troppo selvatici. A scuola gli insegnanti non avevano ancora capito che cosa fosse successo ai tre porcellini d’India che una volta vivevano nel laboratorio di scienze, ma Harper lo sapeva: avevano incontrato Stuey. Convinto che fosse importante, continuò a puntare il dito. «È una di quelle casette per le vacanze. La mamma mi ha detto che una volta c’erano delle grandi tenute qui nei paraggi, prima che la zona diventasse una riserva naturale. Probabilmente faceva parte di una di quelle proprietà.»

Ma Stuey se ne stava già andando: era un tipo volubile, e sentir parlare di nuovo di quel capanno dall’aria spettrale lo aveva fatto incupire ancora di più. E come se non bastasse, grosse gocce di pioggia iniziarono a cadere all’improvviso. «Già. E tua madre è una baldracca obesa e il tizio che sta con lei è un ladro e un ritardato» gridò a Harper senza voltarsi.

«Non è… Dove vai adesso?»

«Vuoi che me ne stia qui al freddo sotto la pioggia? Me ne vado. Se tu vuoi rimanere finché fa buio e non arriva qualche maniaco, liberissimo.» Si voltò per rivolgergli un ghigno d’addio. «Magari è proprio il tuo genere.»

Harper stava fissando la schiena di Stuey che si allontanava. «È stato un sacco di tempo fa.»

Stuey accelerò, aumentando la distanza tra loro. «Che provino ad avvicinarsi, e gli taglio le palle. Basta che…»

Harper smise di ascoltare, tanto erano cose già sentite. Piuttosto, osservando la giacca e le scarpe costose di Stuey, decise di sfruttare la sua ben nota avidità. «Prova a pensarci, però» gridò. «Lì dentro potrebbe esserci della roba interessante…» All’improvviso la pioggia aumentò fino a farsi torrenziale. Tirandosi il cappuccio sui capelli biondi scarmigliati, Harper si voltò e si mise a correre, incespicando sul terreno in salita che portava al capanno. Balzò sui gradini, verso la doppia porta, e afferrò le due maniglie. Le strattonò avanti e indietro, poi si girò senza fiato. «È chiuso! Dai! Vieni ad aiutarmi.»

Capanno o casa per le vacanze che fosse, era comunque un riparo e Stuey stava già tornando sui suoi passi. Si inerpicò con foga sul sentiero fino a raggiungere le porte, cui assestò una bella spallata. Si sarebbero dovute aprire verso l’esterno, ma cedettero con uno scricchiolio di cardini spalancandosi verso l’interno.

I due ragazzi entrarono in silenzio. Quando Harper aprì bocca, emise una nuvoletta di vapore. «È fantastico, Stu. È asciutto. Nessuno sa dove siamo e…»

Stuey gironzolò per la stanza, soffiandosi sulle mani. «Fa un freddo cane e qui non c’è niente.» A giudicare dallo sguardo, doveva aver escogitato qualcosa. Si voltò. «Sai cos’è che ci vuole?»

«… No, che cosa?»

Sul viso incorniciato dai capelli scuri e ordinati apparve un ghigno. Poi arrivarono le parole, lente, calcolate. «Un… bel… fuocherello… caldo.»

Harper lanciò una rapida occhiata all’amico, quindi disse piano: «Lascia stare, okay? Solo… calmati un po’, ecco. Lo so…».

«Taci, cazzo. Tu non sai niente.»

«Okay… okay» si arrese Harper in tono conciliante, alzando le mani grassocce per allentare la tensione. Osservando Stuey che vagava in cerca di qualcosa su cui sfogarsi, non ci mise molto a capire che non avrebbe potuto frenarlo. «Ci fermiamo qui giusto per un attimo, okay? Belli tranquilli. Ci facciamo un paio di sigarette e poi smetterà di piov… No, Stu, no!»

Una delle costose scarpe sportive di Stuey aprì uno squarcio nel muro grigiastro. «Per fare un fuoco ci vuole la legna. Vedi? È bella secca.»

«Piantala, Stu. Io non…»

Stuey smise per un istante di accanirsi sulle assi e fissò il compagno con fare truce. «Che cosa? Tu non… cosa?» All’improvviso si scagliò su Harper e caddero a terra entrambi, due corpi che si dibattevano. Il rumore secco del legno spezzato mise fine alla lotta. Si tirarono su e si misero seduti, spostando lo sguardo sul pavimento vicino alla parete. «Guarda che cosa hai fatto!» gracchiò Stuey.

Trattenendo il respiro, Harper guardò il buco che si era appena aperto nel legno, proprio sotto al battiscopa malandato. Guardò Stuey che si avvicinava e faceva leva su un ginocchio per afferrare le assi del pavimento danneggiate e staccarle a strattoni. Ormai Harper si sentiva stanco. Aveva freddo. Non voleva altri guai. Ne aveva abbastanza di Stuey e voleva andarsene da quel posto. Voleva tornare a casa. Una volta rientrato, avrebbe chiesto a sua madre di fargli le patatine fritte. «Hai ragione. Andiamo. Sai una cosa?» Si voltò indietro per lanciare un’occhiata alle finestre: si stava facendo buio. «Mi è sembrato di sentire un rumore.»

Stuey era ancora affaccendato ad armeggiare con lo squarcio. Faceva scorrere le dita lungo il legno scheggiato, mostrando quella profonda concentrazione che sempre innervosiva Harper, o chiunque si trovasse nelle immediate vicinanze. «Questa roba è secca. Dai! Tiriamone via ancora un po’.» Afferrò un’altra asse rotta, che stridette forte prima di spezzarsi del tutto. Schioccò le dita. «Dammi quella torcia che ha fregato il tuo vecchio.»

Harper si tirò faticosamente in piedi. Aveva già capito che c’erano guai in vista. «No. Ha detto di non portarla fuori casa. Stasera viene a trovare mia madre, quindi devo rimetterla a posto…» Vide Stuey avvicinarsi, gli occhi azzurri impassibili, e sentì che la piccola torcia gli veniva sfilata dalla tasca dei pantaloni. Sapeva che opporre resistenza sarebbe stato del tutto inutile.

Osservò il ragazzo tornare verso il buco, posare la torcia sul pavimento e staccare altre assi. Sforzandosi di spezzarne una, che scricchiolava forte, Stuey gli lanciò un’occhiataccia. «Mi aiuti o te ne stai lì a bocca aperta?»

Di malavoglia, Harper si avvicinò, prese una delle assi e poi la lasciò andare. «E se arriva qualcuno? E se…»

Stuey scosse la testa. «Sei proprio una mezzasega.»

Harper si lasciò spingere da parte e osservò Stuey afferrare una delle assi più lunghe, che fece poi ricadere quasi all’istante. «Merda!» Vide una piccola goccia rossa sul dito, prima che Stuey se lo infilasse in bocca.

Nel giro di pochi minuti, anche senza l’aiuto di Harper, il buco era ormai largo più di un metro. Harper guardò Stuey spostare i listelli di legno rotto con un calcio e poi infilare la testa dentro la voragine nera. Fece qualche passo in avanti cercando di distrarlo, di attirarlo lontano da lì. «Che ne diresti di fare un salto al centro ricreativo, Stu? Andiamo lì, ci facciamo quattro risate, una partita a biliardo, facciamo un po’ di casino. Eh? Che ne dici?»

Sentì lo scatto attutito del pulsante della torcia, seguito dalla voce di Stuey. «C’è qualcosa… che riesco… quasi… a toccare…» La frase fu troncata da un ansito improvviso, mentre Stuey arretrava agitando selvaggiamente gambe e braccia, la torcia ancora stretta in mano. Quindi si bloccò, gli occhi allucinati, il respiro affannato.

Harper guardò Stuey, poi il buco, poi di nuovo l’amico. «Che cosa c’è? Che c’è lì dentro?» Incerto, osservò Stuey, pallido come un cencio, asciugarsi la bocca con la manica e poi alzarsi svelto, lasciando cadere a terra la torcia. Troppo lento di riflessi, Harper la vide sbattere sul pavimento e rotolare via a velocità costante verso il bordo irregolare delle assi rotte, dove traballò e poi scomparve. Si mosse troppo tardi. «Cavolo, sono morto. Quando mio padre…» Si voltò di scatto. «Dov’è che vai?». Rimase a guardare Stuey precipitarsi fuori dalla porta e scomparire nella luce che andava rapidamente scemando, mentre lo scalpiccio dei suoi piedi si allontanava. Forse udì qualcos’altro? Aggrottò la fronte, concentrato, le orecchie tese. No. Niente. Solo silenzio.

Una volta scomparso Stuey, il capanno sul lago sembrava tranquillo. «Coniglio!» gridò Harper, sicuro che Stuey fosse ormai lontano. Fece un tentativo incerto di sbirciare nello squarcio. Non sarebbe stato facile carpirne i segreti… sempre che ve ne fossero. Stuey stava semplicemente cercando di spaventarlo. Era una testa di cazzo. Lo pensavano tutti, anche se non glielo dicevano mai in faccia. Harper si mise in ginocchio e abbassò la testa, cercando di scorgere qualcosa nell’oscurità. Stuey era un bugiardo. Non ci si poteva fidare di quel che diceva. Era fuori di testa. E anche questo lo pensavano tutti. Si tirò a sedere, con gli occhi ancora fissi sulla voragine buia. La torcia di suo padre era lì dentro, da qualche parte. Doveva riprenderla.

Si sdraiò e allungò un braccio, tastando lo spazio con le dita, sfiorando qualcosa di liscio e morbido. Ruotò il polso, sentendo una fitta ai tendini del braccio, e trovò il fusto sottile della torcia sul fondo del buco. La afferrò, quasi stordito dal sollievo. Ora il suo vecchio non avrebbe potuto sgridarlo. Doveva solo arrivare a casa prima di lui.

Sollevò la torcia, esitante, poi premette il bottone. Il suono smorzato dello scatto produsse un debole bagliore. Puntò il fascio di luce verso il basso e lo seguì con gli occhi sul suolo irregolare e coperto di sabbia, fino a illuminare un oggetto che brillò. Sentendo salire l’eccitazione, osservò il piccolo…

Alzò la testa e guardò in direzione dell’ingresso. «Stuey?» Silenzio. Lo chiamò di nuovo, questa volta a voce più alta. «Sei tu, Stu?» Ancora silenzio. Gli tornò in mente quello che avevano detto sui frequentatori notturni di quella zona. Harper reagì come faceva sempre quando qualcosa lo turbava: chiuse una porta mentale sull’argomento. Proprio mentre un’ombra scivolava oltre le finestre, infilò di nuovo la testa nel buco, questa volta più in basso, per puntare meglio la luce della torcia verso ciò che aveva visto. Se fosse riuscito a prenderlo…

Poi schizzò in piedi, incespicando all’indietro proprio come aveva fatto Stuey poco prima. Si fermò a distanza, con il cuore che batteva all’impazzata. Ora sapeva che cosa aveva visto il suo amico. In attesa che il sangue smettesse di martellargli nelle orecchie, rimase a fissare la voragine nera, incerto se prendere ciò che desiderava nonostante la paura. Magari valeva un bel po’ di soldi. Forse se lo sarebbe perfino tenuto. Ma per farlo doveva tornare lì e infilare il braccio nel buco. Aggrottando le sopracciglia, pensò alla volta in cui aveva accompagnato sua madre a vedere la nonna. Si ricordò della mamma che, con un mazzo di fiori in mano, lo cingeva spiegandogli che i morti non possono fare male a nessuno.

Dando prova di una determinazione mai vista nei suoi sedici anni di vita, Harper tornò sull’orlo dell’apertura, riaccese la torcia quasi scarica e infilò la testa nel buco, distogliendo lo sguardo. Non voleva rivedere quella cosa. Quando trovò ciò che stava cercando, tese il braccio finché non riuscì a stringerlo tra le dita.

Si alzò in piedi, coperto di sudore, il respiro affannoso e irregolare. Premette l’oggetto piccolo e freddo contro il palmo della mano, poi attraversò la stanza e si mise a sedere, la mano chiusa a pugno, gli occhi fissi sul buco nero lì accanto. Bisognava dirlo a qualcuno. La polizia. Corrugò la fronte. Non voleva altri guai. No. Non l’avrebbe detto a nessuno. Mai. Non avrebbe detto neanche a Stuey che l’aveva visto. Aprì la mano e osservò l’oggetto alla luce fioca della torcia. Lo ripulì dalla sabbia. Bello. Magari lo avrebbe potuto portare a…

Si voltò di scatto. «Chi c’è?» sussurrò, gli occhi fissi sulla porta. Doveva essere Stuey che era tornato indietro per dare un’altra occhiata, o magari per prendersi proprio quello. Aprì la tasca interna del parka e vi nascose l’oggetto, poi tirò su la zip e passò le dita sulla stoffa del giaccone. Sentendosi più sicuro, chiamò di nuovo l’amico, questa volta a voce più alta. «Che si fa, allora? Si va al centro?»

I cardini rotti gemettero al passaggio di una folata d’aria fredda e umidiccia. Harper si alzò in piedi, con gli occhi sbarrati, e cominciò a indietreggiare, sentendo la propria voce tremare, quasi irriconoscibile: «Non ho fatto niente…».

Nei minuti che seguirono, i battiti d’ali, la nebbia, gli alberi e le acque scure e placide del lago assorbirono ogni suono che uscì dal capanno.

Niente di umano
titlepage.xhtml
index_split_000.html
index_split_001.html
index_split_002.html
index_split_003.html
index_split_004.html
index_split_005.html
index_split_006.html
index_split_007.html
index_split_008.html
index_split_009.html
index_split_010.html
index_split_011.html
index_split_012.html
index_split_013.html
index_split_014.html
index_split_015.html
index_split_016.html
index_split_017.html
index_split_018.html
index_split_019.html
index_split_020.html
index_split_021.html
index_split_022.html
index_split_023.html
index_split_024.html
index_split_025.html
index_split_026.html
index_split_027.html
index_split_028.html
index_split_029.html
index_split_030.html
index_split_031.html
index_split_032.html
index_split_033.html
index_split_034.html
index_split_035.html
index_split_036.html
index_split_037.html
index_split_038.html
index_split_039.html
index_split_040.html
index_split_041.html
index_split_042.html
index_split_043.html
index_split_044.html
index_split_045.html
index_split_046.html
index_split_047.html
index_split_048.html
index_split_049.html
index_split_050.html
index_split_051.html
index_split_052.html
index_split_053.html
index_split_054.html
index_split_055.html
index_split_056.html
index_split_057.html
index_split_058.html
index_split_059.html
index_split_060.html
index_split_061.html
index_split_062.html
index_split_063.html
index_split_064.html
index_split_065.html
index_split_066.html
index_split_067.html
index_split_068.html
index_split_069.html
index_split_070.html
index_split_071.html
index_split_072.html
index_split_073.html
index_split_074.html
index_split_075.html
index_split_076.html
index_split_077.html
index_split_078.html