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Più tardi, quel pomeriggio, il gruppo di studio di Kate era seduto a semicerchio nel suo ufficio. La stufetta alogena stava facendo il suo lavoro e l’atmosfera era piacevole. Kate riconobbe silenziosamente quanto fosse veritiera la gerarchia dei bisogni umani di Maslow: era psicologia degli anni Quaranta, ma c’era del vero. Se sono a proprio agio, si concentrano.
Appoggiata al bordo della scrivania, passò in rassegna i volti dei suoi studenti. «Lo scorso trimestre abbiamo iniziato a esplorare la percezione visiva. Per chi di voi ha in programma una carriera da criminologo, le testimonianze oculari sono utili ma anche limitate. Il senso della vista non è affidabile come ci piacerebbe credere, perché la memoria umana non è un registratore. Si immagazzinano ricostruzioni di ciò che si vede, compresi dettagli che si danno per scontati, tutti influenzati dallo stato d’animo del momento.»
Si voltò e tese un braccio per prendere alcuni fascicoli che aveva preparato. «Qui ci sono dei riferimenti bibliografici e qualche esempio di casi in cui ci sono state difficoltà associate alle testimonianze oculari.» Li consegnò allo studente in cima alla fila, attese che tutti ne avessero una copia e poi proseguì con voce frizzante. «Pagina due. Esempio: ragazzina quattordicenne rapita dalla sua camera da letto, nello Utah. Non importa il luogo, la teoria è universale. Divideva la stanza con la sorellina di nove anni, che è stata testimone del rapimento e ha descritto il colpevole come un uomo fra i trenta e i quarant’anni, con abiti chiari e cappello. Le indagini hanno chiarito invece che l’uomo era vestito di nero, aveva quasi cinquant’anni ed era a capo scoperto.» Guardò gli studenti che tacevano. «Come mai questa discrepanza?»
Si alzò una mano. «Aveva solo nove anni. I bambini piccoli non sono testimoni oculari attendibili.»
Kate scosse la testa. «È vero che i bambini possono avere difficoltà a stimare l’età delle persone ma, secondo le ricerche, come testimoni possono essere attendibili quanto gli adulti.» Passò di nuovo in rassegna i volti dei suoi studenti. «Altre idee?»
«Era sera e quindi non c’era molta luce?»
«Valida osservazione.» Fece un cenno a un altro studente. «Sì?»
«Come diceva prima, le emozioni… La sorellina doveva essere spaventata.»
Kate annuì. «Le emozioni compromettono le percezioni. Sì, Ashley?» disse a una ragazza seduta al centro della fila.
«L’hanno trovata, la ragazzina rapita?»
Kate fece di sì con la testa. «Scusate se non l’ho detto chiaramente. Sì, l’hanno trovata dopo mesi di indagini serrate. Una buona lezione per chiunque contempli l’idea di lavorare nelle forze di polizia. I casi non si abbandonano mai.» Gli studenti si scambiarono alcune rapide occhiate. Sapevano del lavoro di Kate con la polizia.
Si alzò in piedi, guardandoli negli occhi uno a uno. «Vi ho consegnato un elenco di testi da studiare. Sapete qual è il motto di questa università, no? Per ardua ad alta. Tradotto molto liberamente, significa “dateci dentro”. Insomma, iniziate a studiare.»
Mentre gli studenti raccoglievano le loro cose, Kate controllò l’agenda. «Vedo che domani avrò ancora il piacere della vostra compagnia. La lezione comincia alle quattro e mezzo, ricordatevelo. Lo so… ma non è colpa mia se le aule sono affollate. Succede quando si frequentano le università più gettonate. Quindi vedete di arrivare per tempo.»
Un’ora dopo era ancora in ufficio, quando suonò il telefono. Sollevò il ricevitore. «Kate Hanson.»
Era Bernie. «Sono a Rose Road. Come sei messa?»
Kate percepì immediatamente la premura dietro quell’apparente disinvoltura. «Venti minuti e arrivo.»
Igor venne ad aprire la porta di vetro smerigliato, poi indicò i distributori di guanti fissati al muro. Appena entrati, Kate e i colleghi furono aggrediti da una folata di odori chimici e dal rumore delle ventole di aspirazione che andavano a velocità massima. Coperti da guanti e mascherina, si avvicinarono a Connie Chong, che stava lavorando con il viso protetto da una visiera di plastica, indossando guanti di lattice e camice verde chiaro. Con gli occhi fissi sul lettino davanti a sé, Connie disse: «Buon pomeriggio, Udi. Nessun giovane e brillante studente di psicologia, oggi?» domandò, riferendosi a Julian Devenish, il tirocinante che aiutava Kate, ex hacker dei segreti dell’università e ormai prossimo alla laurea.
«È all’università» rispose Kate, mentre Bernie si passava la mano sui capelli con fare inquieto, cercando di tenere gli occhi lontani dal cadavere sul lettino.
Connie li guardò attraverso la plastica trasparente. «Stamattina abbiamo avuto il pienone, ma ora va meglio. Mi hanno mandato un sostituto. Per tutta la settimana.» Indicò i resti con il bisturi. «Quindi gli ho dedicato tutto il giorno.» Fissò gli astanti uno alla volta. «È un ‘lui’ e stiamo facendo conoscenza. Ora posso dirvi chi è, o piuttosto chi era, e posso dirvi che è morto circa vent’anni fa.» Senza nascondere la sorpresa, Kate posò lo sguardo sui resti disseccati, i denti scoperti nell’immane grido primordiale che avevano visto già il giorno precedente, e sulle ciglia scure curve come ventagli, che ora si vedevano chiaramente. «So che cosa state pensando: “Come fa a essere ancora così carino, dopo tutti questi anni?”.» Kate si accigliò. «Carino» era una parola azzardata per descrivere ciò che avevano davanti. Connie passò in rassegna il corpo dalla testa ai piedi. «Le sue buone condizioni sono dovute al fatto che è mummificato. In questi vent’anni è rimasto sotto un bello strato di sabbia fine. Questo, insieme alla sopraelevazione del capanno sul lago e alle fondamenta di mattoni, lo ha tenuto relativamente al caldo e all’asciutto, oltre a proteggerlo da eventuali animali predatori. Volete il giro completo?» Senza aspettare che le rispondessero, Connie indicò la testa del cadavere. «I tendini si sono essiccati e accorciati, che è anche la ragione per cui sfoggia una dentatura perfetta. Questo è anche un’indicazione secondaria del fatto che sia morto giovane. Abbastanza giovane almeno da godere dei benefìci di un processo di fluorizzazione.» Con un cenno del mento indicò un tavolo poco distante, coperto da robusti fogli di carta grezza. «Quelli sono i resti dei capelli. Castano scuro. Il più lungo misura trentacinque centimetri.» Indicò altri oggetti posati lì accanto. «I vestiti: un paio di All Star misura 44, calzini grigi, stessa misura. Maglietta dei Nirvana, con la scritta ben conservata. Biancheria tipo boxer del buon vecchio Marks&Spencer, blu scuro. Jeans un po’ ammuffiti, ma per completezza mi sono informata: Levi’s 501.»
Nel silenzio che seguì tornarono a osservare i resti. «Come l’hai potuto identificare? Hai controllato gli archivi dentistici?» domandò Joe.
Connie annuì. «Sono pochi gli individui che arrivano alla fine dell’adolescenza senza essere mai passati dal dentista. Il nostro ragazzo se li curava bene, i denti, ma aveva una piccola otturazione.» Piegò un dito a uncino e si avvicinò alle mandibole spalancate del corpo. «Venite a dare un’occhiata.» Joe e Kate si chinarono allora a guardare la piccola, quasi impercettibile riparazione al dente indicata dalla patologa. «Ho controllato nell’archivio dentistico del database delle persone scomparse. Un solo risultato. Che ci basta.»
Connie raddrizzò la schiena e li guardò uno alla volta. «Quindi, Udi, permettetevi di presentarvi il signor Nathan Troy.» Guardò Bernie e poi Joe. «Mi sembra di capire che il nome non vi è nuovo?»
Bernie annuì. «Abbiamo fatto una ricerca sulle persone scomparse. Giovani, maschi, spariti dal 1990 in poi. Questo nome è nella lista. Le indagini sulla sua scomparsa risalgono agli ultimi mesi del 1993.»
Connie tornò a guardare i resti. «Se fosse vissuto altri tre mesi avrebbe compiuto vent’anni.»
«Notizie sulla causa del decesso?» domandò Bernie.
Connie scosse piano la testa. «Bernard.» Quel rimprovero gentile riportò un po’ di colore sulle guance del detective. «Stavamo andando così bene.» Connie riacquistò il suo tono secco e prese in mano un bloc notes, scorrendo alcune parole evidenziate. «Non posso ancora confermarlo. L’unica cosa che posso aggiungere, nel caso in cui non lo sappiate già, è che al tempo della scomparsa Nathan Troy era uno studente del secondo anno della facoltà di belle arti qui a Birmingham. Più specificamente, studiava al Woolner College, a Bourneville.» Kate abbassò lo sguardo su Nathan Troy. In vita era stato alto. Alto e giovane, con un futuro tutto da costruire. Finché la morte non se l’era portato via.
In silenzio, Connie coprì i resti con un lenzuolo verde e poi guardò Igor andare alla porta, da cui si sentiva bussare leggermente. «Adam ha detto che sarebbe passato a lasciare i risultati delle sue analisi. Probabilmente è lui.»
Adam entrò, fermandosi a una certa distanza dal lettino, con un foglio A4 in mano. «Non posso fermarmi. Ecco che cosa ha trovato la Scientifica finora: nel terreno molle sotto ai gradini che portavano al capanno c’erano diverse impronte, per la maggior parte sovrapposte e indistinte, ma siamo riusciti a tirar fuori il calco completo di una di loro.» Sorrise a Joe. «Ho passato in rassegna le impronte del nostro database delle suole o come si chiama. Una scarpa sportiva classica, un’Adidas modello ZX 750. Numero 45. A proposito, questo esclude il tizio a passeggio con i cani, che aveva un paio di scarponcini numero 43.»
Bernie fece un cenno con il mento, indicando il lettino della patologa. «E la torcia che era con il corpo?»
«Non ha la stessa età dei resti. È di fabbricazione piuttosto recente, non avrà più di un paio d’anni. Sulle batterie è impressa una data quasi illeggibile, ma ci stiamo lavorando. Sull’involucro esterno ci sono moltissime impronte ma sono praticamente inutilizzabili. Però siamo riusciti a isolare un microscopico campione di sangue.»
La testa di Kate e quelle dei suoi colleghi si raddrizzarono di scatto.
«Quando avremo i risultati?» domandò Joe.
Adam sollevò entrambe le mani. «Ehi. Non è così facile lavorare su un campione così piccolo.» Rivolse un’occhiata mite a tutti i presenti. «Pensate a quanto siete fortunati ad averci ancora qui.» Ciò che stava dicendo era più che comprensibile. Nei mesi precedenti, l’intero assetto della Scientifica aveva subìto una serie di massicci cambiamenti e l’azienda, da governativa, era passata in mano a enti privati. Rose Road aveva anticipato i tempi e istituito una squadra interna, che era stata confermata nonostante le recenti modifiche.
«Per una volta siamo avvantaggiati dal “progresso” di cui si parla sempre tanto» intervenne Bernie. «Altre dritte, altri dettagli per noi?»
«Dai segni sulla pavimentazione interna niente, ma abbiamo un’intera serie di fotografie scattate durante la rimozione. Come sapete, le assi erano già state tolte e sostituite molto di recente, prima che i resti venissero scoperti.»
Kate vide Joe picchiettarsi un dito sulle labbra con fare interrogativo. «Il che suggerirebbe una strana combinazione di impulsività e pazienza?»
Adam gli rispose con un sorrisetto e un breve cenno di diniego. «Non posso commentare. La mia specialità sono le prove silenziose, le tracce che restano sul luogo. Io non entro nella testa della gente o nei loro comportamenti, anche se scommetto che un membro dell’Udi avrà un’opinione in proposito.» Sorrise a Kate, alzando le sopracciglia.
Lei ricambiò il sorriso. «Può darsi.»
Adam mise il rapporto in mano a Bernie, e si voltò incamminandosi verso la porta. «Vi farò sapere i risultati delle analisi su quella macchia di sangue, se e quando ce ne saranno.» E con quelle parole se ne andò.
Poco dopo se ne andarono anche i componenti dell’Udi. Una volta tornati nel loro ufficio, Joe interruppe il silenzio. «Ci servono i fascicoli originali.»
«E Nathan Troy ha una famiglia che deve essere informata» aggiunse Bernie lanciando un’occhiata a Kate, dall’altra parte del tavolo. «Quando viene il giovane Devenish?»
«Domani pomeriggio.»
Si alzò e si diresse verso la porta. «In quel caso mando Whittaker giù nello scantinato a recuperare i fascicoli e le scatole con il materiale sul caso Troy.»
Joe si voltò a guardare Kate, che si stava alzando a sua volta. «Hai già idea di come approcciarti a questo caso, Rossa?»
Kate sollevò la massa dei capelli intrappolata nel collo del cappotto e afferrò la borsa e le chiavi. «Sì. Per iniziare a capire la morte di Nathan Troy dobbiamo raccogliere il maggior numero di informazioni possibile sulla sua vita. E tu?»
«Io voglio sapere che cosa ci faceva in quel posto. Del resto, immagino che tutti debbano trovarsi da qualche parte per qualche ragione, no?»