26
Il mattino seguente, la ventola di aspirazione dell’obitorio stava girando a pieno regime. Tre dei lettini di acciaio inossidabile della sala erano già occupati. Accompagnato dal ronzio del sollevatore idraulico, Igor emerse dal freddo deposito, spingendo un carrello e salutandoli con un «Benvenuti nel sancta sanctorum». Allineando il carrello al lettino, abbassò il pedale del freno e poi, insieme a un aiutante, sollevò il corpo per metterlo sul ripiano d’acciaio, tolse le lenzuola verdi che lo coprivano e se ne andò con uno scricchiolio di ruote e stivali di gomma.
Infilati guanti e grembiuli, tutti si radunarono in attesa che Connie li illuminasse. «Bradley Harper, sedici anni» disse, guardandoli attraverso la mascherina di polimetacrilato. Kate e i colleghi seguirono il suo sguardo sul corpo color porcellana, la superficie coperta da quella che sembrava pelle d’oca. Kate rimase a fissarla. Non avrà mai più freddo. Poi si concentrò sulla testa, dove si vedevano parecchie abrasioni.
Connie si spostò dall’altra parte del tavolo. «Il corpo è stato visto ieri mattina presto da un passante che era al parco a correre. Gli agenti arrivati per primi sul posto hanno raccolto una dichiarazione: l’uomo ha visto affiorare il cadavere. Fenomeno causato dai gas, a proposito. Il corridore dice di non aver visto nessun altro nell’area circostante il lago. Questo è più o meno ciò che ha dichiarato.» Indicò la testa. «Vedete queste?» Si riferiva alle abrasioni.
«Picchiato prima di essere stato buttato in acqua?» domandò Joe.
Connie scosse rapidamente la testa. «La mia opinione è che sia stato ucciso e poi lasciato scivolare, o più probabilmente gettato, in acqua, e che quelle abrasioni siano causate da un contatto con frammenti sommersi.»
Bernie la guardò. «Tipo cosa?»
«Vecchi rami d’albero, spazzatura. La squadra subacquea ha fatto una perlustrazione approfondita. Hanno trovato un carrello del supermercato e un frigorifero senza neanche sforzarsi più di tanto.»
«Ma è possibile che sia stato picchiato, prima?» insisté Bernie. Kate immaginò che stesse pensando a Stuey Butts.
«Mi dispiace. Secondo me le ferite alla testa sono successive alla morte. In questo momento la mia idea, per quel che vale, è che dopo averlo gettato o lasciato scivolare nel lago e averlo visto galleggiare, il suo assassino sia entrato in acqua a sua volta per spingerlo sotto alcune radici di alberi sommerse.» Indicò la testa. «In quei tagli ci sono tracce di corteccia zuppa d’acqua. Però basta con le ipotesi. Ho individuato la causa del decesso. Vedete qui? Ecco, aspettate, vi aiuto.» Con mano delicata Connie toccò la testa pallida, stirando la pelle gonfia e bianca del collo, lisciandone le pieghe. «Quello è il segno di una legatura. I miei esami hanno confermato che lo stomaco non contiene acqua, non c’è schiuma nelle vie aeree e non c’è stata emorragia dell’orecchio medio. Non è affogato.» Attesero. «Secondo me, nonostante non abbia niente intorno al collo, Bradley Harper è morto strangolato prima di essere immerso in acqua.» Lo sguardo di Connie corse rapido dalla testa ai piedi del corpo. «Povero ragazzo.»
«Com’era vestito quando è stato ritrovato… o era così?» domandò Kate.
«Ah, santo cielo. Mi tocca sempre incoraggiare gli studenti di medicina a fare le domande di base: che cosa, dove, quando. Ma con l’Udi non ce n’è bisogno. Era completamente vestito. I suoi abiti sono qui.» Connie fece un cenno e gli altri la seguirono a un tavolo vicino, su cui era appoggiato un sacco di plastica azzurra. Connie lo aprì e ne estrasse il contenuto, che ormai era asciutto, disponendo tutto sul tavolo: scarpe nere, pantaloni dell’uniforme scolastica, camicia sintetica bianca, maglione blu scuro con scollo a V, biancheria intima tipo boxer e un parka blu e marrone. «Ho esaminato tutto nei dettagli. Certe volte, quando i vestiti sono stati in acqua, capitano dei colpi di fortuna, ma stavolta no. Niente fibre, niente capelli che non siano suoi.»
«Niente cravatta?» chiese Joe.
«No, e se stai pensando che sia stata usata per strangolarlo, sbagli. Qualunque cosa sia stata utilizzata, era di tutt’altra natura.»
Bernie la fissò. «Tipo?»
Connie si rivolse a lui con un debole sorriso. «Per quanto il tuo appassionato interesse mi gratifichi sempre moltissimo, al momento la risposta è: “non posso ancora dirlo”.» Osservò i tre visi concentrati. «E se mi chiedeste cos’altro ho?»
«Cos’altro hai, Connie?»
La patologa sorrise all’uomo dall’altra parte del tavolo. «Grazie, Joseph.» Tutti si sporsero in avanti mentre la donna infilava un braccio nel sacco di plastica azzurra per estrarne un piccolo oggetto chiuso in un sacchetto trasparente per le prove. Lo posò delicatamente sul lettino. «Date un’occhiata.»
Bernie interruppe il breve silenzio. «Dove l’hai trovato?»
«Era sott’acqua, insieme a lui.»
«Ce l’aveva al polso?» domandò lui.
Connie scosse la testa. «No. Era nascosto in una tasca di questo.» Appoggiò la mano sul parka.
Joe stava osservando attentamente il piccolo oggetto. «Basandoci su ciò che sappiamo delle persone coinvolte in questa indagine, penso seriamente che potesse appartenere a uno di loro.»
Kate raddrizzò la schiena – anche lei era intenta a osservare l’oggetto – per guardare Joe. «Perché?»
«Perché sono tutte persone altolocate che possono permettersi un oggetto di questo valore.»
Bernie lo stava ancora fissando. «Faremo un controllo con i genitori. Ho capito che cosa intendi, Corrigan, ma non mi sembra tanto speciale: cinturino di cuoio, quadrante piatto.»
«È un IWC: International Watch Company Schaffhausen. Vedete?» Joe indicò le minuscole parole sul quadrante.
Bernie le scrutò. «Mai sentito. Ora, se mi avessi detto Rolex sarei d’accordo con te.»
Joe spiegò: «Una volta in America ho visto un orologio di questi in una casa d’aste. Sembra un IWC d’epoca.»
Queste parole fecero sorridere Connie. «Dieci e lode, Joseph. Questo è un orologio speciale da pilota IWC del 1936. Igor è andato a cercare nei cataloghi. Chiunque l’abbia comprato, in qualunque momento sia stato acquistato, l’ha pagato tantissimo. A proposito, niente indizi sul proprietario a livello di incisioni nella cassa, e che non vi sfiori nemmeno l’idea di trovarci del DNA.»
Kate stava continuando a studiare l’orologio. Capiva il punto di vista di Bernie. Era senza fronzoli e sembrava… normale. «Quindi questo è ciò che hanno visto Stuart Butts e Bradley Harper quando hanno scoperto i resti di Troy. Vedete? La fibbia è rotta.»
Bernie si voltò leggermente verso Joe. «Come dicevi tu, un incentivo. È per questo che il giovane Harper quel giorno si è trattenuto al lago, e sarei pronto a scommettere che è la stessa cosa che ha riportato indietro Stuey Butts. Lui vede Harper con l’orologio, Harper non ha intenzione di mollarlo e c’è una colluttazione. Butts non riesce a trovarlo. Perde le staffe, strangola Harper e poi lo butta nel lago.»
Kate sembrava pensierosa. «So che Stuart Butts ha dei precedenti per violenza e riesco a immaginarmelo che si arrabbia e spinge Harper in acqua, ma strangolarlo? Non ce lo vedo.» Le parole di Bernie le avevano fatto tornare in mente alcune idee dei giorni precedenti, che ora le vorticavano in mente come foglie trascinate da mulinelli. Probabilmente l’impulsività era una caratteristica di Stuart Butts… ma non la pazienza. Non si sarebbe preso la briga di riparare il pavimento… e sicuramente non aveva ragioni per farlo… Ma qualcuno l’ha fatto. E qualcuno ha ucciso Bradley Harper. La stessa persona? O invece è stato Harper a riparare il pavimento? Ma perché l’avrebbe fatto? Forse per nascondere la fonte del ritrovamento dell’oggetto prezioso? Un tentativo di impedire le indagini della polizia sui resti di Troy? Kate abbassò gli occhi sul giovane corpo privo di vita. Domande, domande. Sospirò, sollevando lo sguardo sui colleghi. «I suoi genitori l’hanno già saputo?»
«Sua madre.» Connie annuì. «Ieri sul tardi abbiamo fatto un’identificazione provvisoria sulla base della foto e stamattina presto due agenti sono andati da lei. L’hanno portata qui e lei lo ha identificato ufficialmente.»
Kate guardò di nuovo il cadavere. «È stata informata della causa della morte?»
Connie fece cenno di no. «Quando è venuta qui non l’avevo ancora stabilita. Ora bisognerà dirglielo.»
«Potrei andare da lei quando usciamo di qui. Avvisatela» si offrì Kate.
Joe la guardò. «E se ti facessi compagnia? Mi conosce già.»
Lei annuì, inclinando la testa all’indietro qualche secondo per sciogliere la tensione che aveva accumulato nelle spalle. «Secondo me Bradley Harper è stato ucciso da qualcuno che desiderava fortemente tenere Nathan Troy nascosto sotto a quel capanno, perché ce l’aveva messo una ventina di anni fa. Sappiamo che non può essere stato Bradley Harper e nemmeno Stuart Butts.» Tornò a guardare il tavolo. «Due giovani morti. Un solo assassino.»
«Sì?» disse Bernie. «E come spieghi che l’assassino di Troy sia capitato dalle parti del lago proprio mentre Butts e Harper erano lì?»
Con gli occhi ancora fissi sul tavolo, Kate si strinse nelle spalle. «Non ho detto che ho una risposta per tutto.»
Bernie scoppiò a ridere. «No, ero io che lo dicevo di te.»
Kate lo guardò. «Tu suggerisci che il caso si fondi su un crimine sessuale, e io sto seguendo il tuo ragionamento. Magari la casetta sul lago è un “luogo di ritrovo”, come hai detto tu. In tal caso, non sarebbe plausibile che chiunque abbia ucciso Nathan Troy stesse magari seguendo anche Bradley Harper?»
Bernie aggrottò la fronte. «Potrebbe avere senso. Potrebbe essere lo stesso uomo che l’ha aggredito l’anno scorso. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, Doc.»
Tornarono all’Udi. Joe andò all’area ristoro, mentre Kate si avvicinò alla lavagna per cerchiare i nomi delle due vittime. «Per adesso ipotizziamo che l’omicidio di Troy, l’aggressione ad Harper e il suo successivo assassinio siano tutti collegati. Ciò che voglio sapere è: come mai Troy ha finito per essere seppellito con quest’orologio? È improbabile che fosse suo. Troppo costoso.»
«E se Troy avesse lottato con il suo assassino strappandogli l’orologio dal polso nel corso della colluttazione?» suggerì Bernie.
Kate scrollò le spalle. «Questo che cosa potrebbe dirci della persona che l’ha ucciso? Che era giovane e benestante? Non è certo impossibile. Che ne dite di Buchanan? Sospetto che la sua famiglia sia parecchio facoltosa. Ha parlato in termini dispregiativi di un Rotary che gli avevano regalato i suoi genitori quando era studente. Se, come ha detto lui, gli è stato davvero rubato… forse ha ottenuto un rimborso assicurativo, facendoselo sostituire con l’IWC?» Con un gemito, Kate si coprì il viso con le mani.
Bernie la guardò. «Che cos’hai adesso?»
«Ora che l’ho detto non mi sembra per niente plausibile. L’IWC doveva valere molto più dell’orologio rubato. E in ogni caso non sono nemmeno convinta di ciò che Buchanan ha dichiarato al riguardo. Ogni volta che provo a seguire una pista in questa indagine, o finisco per farmi ancora più domande, o non vado da nessuna parte.» Fece un respiro profondo. «Okay. Pensiamo ancora un po’ alla tua idea di una colluttazione fra Troy e il suo assassino: e se non ci fosse stata?» Vide incupirsi il viso di Bernie.
«Kate ha ragione» intervenne Joe, ritornando con delle tazze di caffè. «Vi ricordate che cosa ha detto Connie?»
Lei annuì. «Connie ha suggerito che Troy fosse sottomesso.»
Restio ad abbandonare l’ipotesi della colluttazione, Bernie procedette a descrivere una situazione in cui il primo contatto fra Troy e il suo assassino fosse avvenuto in via amichevole per poi passare al contrasto. «Non dico che si siano picchiati a sangue… magari si sono solo un po’ azzuffati e, prendendosi per le braccia, è finita che l’orologio è caduto, dopodiché Troy muore e viene ficcato sotto al pavimento… e l’orologio cade lì sotto insieme a lui. L’assassino deve agire in fretta. Non può perdere tempo a cercarlo. Deve andarsene da quel capanno, dal parco. Agitazione del momento. Stress.» Guardò Kate. «Mi sarei aspettato che la pensassi tu, una cosa del genere. Se lo vuoi sapere, penso che Troy abbia incontrato il suo assassino per ragioni equivoche.»
Kate scosse la testa. «Non sono più d’accordo con la tua teoria. Secondo me non ha senso che uno dei tuoi maniaci sessuali abbia cercato di avvicinare o in qualche modo di toccare Nathan Troy con addosso un orologio d’epoca del valore di migliaia di sterline. E in ogni caso non c’è niente che suggerisca che Troy non fosse eterosessuale.»
Bernie assunse un’espressione irritata. «E se per caso anche tu ti impegnassi a mantenere una certa apertura mentale quando si tratta del giovane Troy? Qualunque cosa ti abbia raccontato sua madre, non sappiamo se siano informazioni attendibili. Inoltre, non tutti i maniaci sessuali arrivano dalla feccia. Qualche anno fa giù al parco hanno arrestato un magistrato.»
Con fare poco convinto, Kate prese il suo quaderno e ne scorse rapidamente le pagine. «Dimmi se ce n’è anche uno solo dei tuoi “maniaci”, diciamo negli ultimi venticinque anni, che puoi identificare con certezza come possibile proprietario dell’orologio che abbiamo visto.»
Lanciandole un’occhiataccia, Bernie andò all’area ristoro per aggiungere zucchero al suo caffè. In quel momento, Julian apparve con un foglio stampato. Bernie gli tese la mano. «Molla i dettagli, Devenish.»
Joe aveva ascoltato la discussione sull’orologio. «Il proprietario originale doveva essere ricco. Già negli anni Trenta.»
«Vero» concordò Kate.
«E in tutti questi anni potrebbe essere stato venduto, comprato e rubato chissà quante volte» borbottò Bernie, con gli occhi fissi sul foglio.
Julian era davanti alla lavagna e stava esaminando le informazioni che riguardavano l’orologio. «I ricchi non vendono le cose. Se le tengono. Poi se ne procurano altre.» Kate sollevò lo sguardo verso di lui, immaginando che stesse parlando per esperienza, visto che il padre di Julian era un uomo ricco, che occupava il suo tempo a fare soldi.
Kate fece scorrere altre pagine di appunti, sollevò il ricevitore e ascoltò, in attesa che qualcuno rispondesse. «Probabilmente ci sono un paio di proprietari improbabili che possiamo già escludere.»
«Pronto?»
«Signor Troy?»
«Sì?»
«Sono Kate Hanson. Ci siamo conosciuti di recente.»
«Sì. Novità?»
Kate si morse il labbro e parlò in fretta, nel tentativo di prevenire ulteriori domande. «Mi dispiace davvero doverla disturbare, ma ho una domanda. Per caso nella sua famiglia o in quella di Rachel qualcuno ha mai posseduto un orologio della marca IWC? Un orologio molto speciale. Molto costoso.» Kate ascoltò l’uomo, lo ringraziò, riappese.
«No.»
Julian si voltò dalla lavagna. «Uno speciale orologio da piloti. E se il proprietario originale dell’orologio, negli anni Trenta, fosse stato davvero un pilota? Tipo un asso dell’aviazione! Una volta in televisione ho visto un programma…»
Joe scosse la testa. «Non ci scommetterei.»
Bernie sbuffò con fare assente, gli occhi ancora fissi sul foglio stampato. «“Orologio da pilota” è solo un nome.» Un sorriso si aprì lentamente sul suo viso mentre alzava gli occhi sui colleghi. «Bene, bene, bene. La ricerca di giovani tra i quindici e i ventun anni scomparsi nei pressi delle uscite della M5. Bel lavoro, Sherlock.» Agitò il foglio per aria. «Ce ne sono cinque. Sono nella fascia d’età giusta. Tutti ritrovati in sepolture di fortuna nelle zone boschive tra Birmingham e il Devon.»
Joe infranse il silenzio. «Prevedo il futuro: ci saranno un sacco di chilometri da fare.»
Il foglio ora era tra le mani di Kate. Lesse la causa di ciascuna delle morti elencate: strangolamento. Esaminò i luoghi in cui i ragazzi erano scomparsi e poi quelli in cui erano stati ritrovati i cadaveri. Ogni sparizione era avvenuta da qualche parte tra Birmingham e il Devon, sempre in zone molto vicine all’autostrada. Lo stesso valeva per la posizione dei resti. Kate aggrottò la fronte. C’è qualcosa riguardo a questi casi. Qualcosa… di familiare. Riguardò le informazioni, cercando tra i ricordi, nella moltitudine di casi che aveva memorizzato, che aveva usato a lezione, alcuni dei quali erano stati oggetto delle sue consulenze.
Si mise a camminare energicamente, aggrottando la fronte mentre rileggeva, passandosi le dita tra i capelli. «Il primo di questa serie è stato all’inizio degli anni Novanta… e l’ultima vittima conosciuta risale al 2006. Da allora, niente. L’assassino di questi cinque giovani potrebbe aver traslocato altrove. Potrebbe essere morto.»
Bernie stava annuendo. «C’è una cosa che non sai riguardo a questi casi.»
Kate lo guardò. «Dimmela.»
Bernie sogghignò. «Tutti risolti.»
Kate riguardò il foglio e poi tornò a rivolgersi a Bernie. «Philip Noonan!»
«L’hai beccato subito.»
Gli occhi di Kate si spalancarono. «Adesso me lo ricordo. L’hanno arrestato qualche anno fa.»
«Nel 2006. Che è la ragione per cui la serie finisce lì. Prima, quando era “operativo”, Noonan aveva un’impresa di costruzioni e di certo non gli mancavano i soldi. Aveva appalti su tutta la M5. Il suo modus operandi era attaccare bottone con qualche ragazzo durante i viaggi da un luogo di lavoro all’altro. Gli offriva un posto, dopodiché quello spariva per poi ricomparire morto stecchito. Prenderò un appuntamento per andare a trovarlo. Magari ha qualcosa da dirci sul Woodgate Country Park.»
Kate fece un cenno di diniego. «Però l’hanno messo dentro quando, cinque, sei anni fa? Non può aver ucciso Bradley Harper.»
Joe si mise in piedi accanto a lei. «Però potrebbe essere il colpevole dell’omicidio Troy.»
Kate guardò Bernie, che sorrise. «Se scopriamo che è stato in possesso di uno di questi orologi costosi, possiamo considerare risolto il caso Troy. Rimarrebbe Harper, come caso aperto: o un maniaco sessuale, o il giovane Butts.» Sollevò un pugno. «Ci siamo!»
«Dov’è incarcerato Noonan?» domandò Kate.
«Al Secure Hospital, nel Berkshire. Ci sei mai stata, Doc?»
«Sì.»
Kate e Joe erano seduti nella sala disordinata e avevano appena informato Debbie Harper della causa della morte del figlio. La donna era seduta di fronte a loro e, anche se piangeva, stava cercando di controllarsi. La porta lentamente si aprì e comparve una bambina di sette o otto anni, con gli occhioni e il viso minuto, che rimase lì, muta. Ignara della sua presenza, Debbie parlò. «Non gli era mai piaciuta l’acqua… l’acqua fredda. Lui…»
Kate si alzò rapidamente, raggiunse la porta e prese per mano la bambina, guidandola nel piccolo ingresso, dove si accovacciò. «Io mi chiamo Kate. Tu come ti chiami?»
«Amber.»
«Torniamo qui, che ne dici?» Kate si rialzò, la prese di nuovo per mano e bussò piano alla porta semiaperta dall’altra parte dell’ingresso. All’interno trovò due ragazzini che guardavano la televisione e un neonato addormentato in una carrozzina lì accanto. Quando capì chi fosse il più grande dei due gli affidò Amber. «Sarebbe una buona idea se rimaneste tutti qui finché non abbiamo finito di parlare con vostra mamma, va bene? Non ci metteremo molto.»
Quando Kate tornò nella stanza, Joe stava parlando. «Siamo davvero dispiaciuti, Debbie.» Prese dalla tasca il suo taccuino e una penna. «Se c’è qualcuno che vorrebbe contattassimo perché venga a stare un po’ qui con lei, ce lo chieda. Possiamo occuparcene noi.»
Debbie Harper scosse la testa. «No, va bene così. Sta arrivando mia sorella. Stanotte dorme qui da noi. Sta aspettando un’amica che vada a casa sua per tenerle il figlio.» Si morse il labbro. «Abbiamo parlato e pensiamo sia meglio se lui non viene.» La voce della donna si incrinò e gli occhi le si riempirono ancora di lacrime.
«Le viene in mente qualcuno che possa aiutarla nelle faccende pratiche?» domandò Joe.
«Una volta veniva l’assistente sociale, ma adesso no.»
Joe annuì. «E se chiamassi il Servizio comunale per le emergenze? Le andrebbe bene?» La donna accettò e allora Joe si alzò, prese il cellulare dalla tasca e lasciò la stanza.
Guardando la donna, Kate capì quanto dovessero essere stati tremendi quegli ultimi giorni per lei. Prima era venuta a sapere che il figlio era scomparso, poi che era stato trovato morto, e ora sapeva anche la causa della morte. Kate si sentì inutile e ricordò che nel caso che avevano seguito prima di allora era stato Bernie a organizzare gli aiuti per una donna anziana e vulnerabile. Lo fanno i poliziotti. Tu fai il tuo lavoro. Era possibile che Debbie Harper disponesse di alcune informazioni ma che non ne fosse consapevole, si chiese, guardandola dall’altra parte della stanza, incerta se farle delle domande o meno. «Signora Harper, se la sentirebbe di parlare con me?» Quando ottenne un cenno di assenso, proseguì. «Mi stavo chiedendo se Bradley, nel parlare, le ha mai fatto pensare che fosse preoccupato o nervoso. O che qualcuno…» Silenzio. «Ha mai nominato qualcuno che lo seguiva o…»
Debbie Harper scosse la testa, fissando la moquette. «No. L’unico guaio che abbia mai avuto è stato l’anno scorso, con quel tizio al parco, ma ne ho già parlato con il signor Corrigan e con l’altro poliziotto, quello grosso. Non che ci fosse molto da dire.»
Kate la guardò intensamente. «C’era qualcuno con cui aveva problemi, per quanto ne sa lei?»
La donna scosse la testa. «No. Era un ragazzo di buon carattere. Andava d’accordo persino con quello Stuart Butts.» Kate sentì salire la tensione, intuendo che Debbie Harper stesse per chiedere se Stuart Butts era in qualche modo coinvolto nella morte del figlio, ma la donna non disse nulla. Kate la ringraziò. Ci aveva provato.
Quando la porta si aprì ed entrò Joe, si sentì sollevata.
«Debbie? Le stanno mandando una persona. Sta arrivando. Si chiama Elaine.»
«La conosco.» Gli occhi della donna si illuminarono. «Grazie mille.»
Cinque minuti dopo, Kate e Joe si stavano allontanando insieme dalla casa. «Hai scovato qualcosa?» le chiese Joe. Kate scosse la testa, sentendosi inadeguata.
Kate arrivò a casa e trovò Phyllis che stava iniziando a prepararsi. «Mi dispiace per il ritardo. Avrei dovuto avvisarti.»
Phyllis si sistemò il cappello. «Non agitarti. Sono solo dieci minuti e io non ho fretta.»
Il telefono lì vicino squillò e Kate rispose. Era Bernie. «Doc? Ho sentito quelli dello Secure Hospital del Berkshire e gli ho detto che abbiamo urgentemente bisogno di fare una visita. Hanno detto che dobbiamo andarci domani o fra tre settimane, perché Noonan sarà in sala operatoria praticamente sempre, e quindi ho fissato per domani. Il venerdì è un giorno tranquillo all’università, giusto?» Poi le disse a che ora sarebbero dovuti andare all’ospedale. «Dobbiamo partire presto.»
Kate riattaccò e guardò la governante. «Sei liberissima di dirmi di no, ma non è che potresti fermarti qui stanotte, Phyllis?» Ripensò alla prima volta in cui Phyllis era venuta a casa sua, più di dieci anni prima, quando Kate stava lottando per gestire il suo lavoro all’università, quello in tribunale e una figlioletta curiosa che gattonava ovunque e dormiva poco, il tutto sullo sfondo dello shock causato dall’abbandono di Kevin giusto un mese prima. Da allora Phyllis si era dimostrata una delle fonti di sostegno più leali per Kate.
«Non ho nessuno a cui rendere conto, io. Certo che posso.»
Kate era andata con Maisie ad accompagnare Phyllis a prendere ciò che le serviva. La donna si era sistemata nella stanza degli ospiti. Sola in cucina, Kate si sentì più rilassata del solito: Phyllis era con loro. Maisie scese le scale saltellando ed entrò. «Indovina una cosa! Io e Hannah Blum siamo state scelte per fare una presentazione di matematica davanti a qualche vecchio professore.» Kate le si avvicinò lentamente, la cinse con le braccia e la strinse forte. «Mamma, non è poi questa gran cosa.»