42

Il giorno seguente, Kate e Joe attraversarono il parcheggio di Rose Road e si fermarono accanto all’auto di lui. «Sei sicura di non voler venire con me?» le domandò. Joe sarebbe andato a parlare con Miranda Levitte.

Kate scosse la testa. «Miranda Levitte è riuscita a evitare le telefonate, i messaggi di Bernie e una visita da parte mia. Con te potrebbe mostrarsi più socievole.» Gli sorrise. «Considerati l’arma segreta dell’Udi. Il fatto che tu sia maschio e abbia l’accento americano potrebbero giocare a tuo favore. Mi interessa sapere che tipo è, considerato ciò che sappiamo della sua famiglia.» Fece una pausa, poi: «Dietro alla facciata, quella famiglia è un disastro. Il suo patriarca è da anni una specie di maniaco sessuale. Poi ci sono una madre biologica con problemi mentali che le impedivano di interagire attivamente con i bambini e di proteggerli, e una seconda moglie la cui capacità di tutelare qualunque bambino, a maggior ragione quelli di un’altra, è a mio avviso quanto mai dubbia. Roderick e Cassandra hanno notevoli disturbi psichici che hanno impedito loro di staccarsi dalla famiglia per crearsi delle vite stabili, delle relazioni durature, e di avere figli a loro volta».

Kate aprì la portiera dell’auto, osservando Joe che se ne andava agitando una mano. «Per quanto ne sappiamo, la vita di Miranda non è diversa. Torna vittorioso, Corrigan.»

Kate entrò nell’ufficio comunicante. Niente Crystal. Prese il quaderno, si mise a sedere al computer e scansionò intere pagine di appunti. Era un altro azzardo, ma doveva capire ciò che aveva detto Cassandra nel loro colloquio. Se possibile. Andò su Google e digitò «l’Occhio». Non ottenne niente di utile. Raffinando la ricerca su «Malocchio» ottenne qualcosa di più. La parola «amuleto» catturò la sua attenzione e vi cliccò sopra, fissando le fotografie che apparvero sullo schermo e che erano molto simili a ciò che lei e Joe avevano visto sul retro della porta dell’appartamento di Cassandra. Ne guardò un’altra, che mostrava lo stesso disegno sulla coda di un aereo. Lesse la didascalia. Amuleto di protezione contro il malocchio… l’occhio di cristallo blu è sempre… comune in Turchia… Egitto.

Kate passò in rassegna gli appunti che aveva preso dall’inizio delle indagini. Fece scorrere le pagine, seguendo le righe con il dito, cercando un indizio, qualcosa, qualunque cosa potesse esserle sfuggita. Matthew Johnson era stato in Turchia nei primi anni Novanta e John Wellan era stato in Grecia. Il che non era certo inusuale per degli accademici. Scorse altre pagine, facendo riaffiorare altri fatti e altre frasi dalla carta e dalla memoria, elementi di cui non era riuscita a cogliere in pieno il significato quando li aveva trovati per la prima volta, e che dunque non aveva ben collegato al resto. Turchia. Egitto. Il Mediterraneo orientale. Fissò lo sguardo davanti a sé. Cassandra aveva detto che l’amuleto veniva «dall’Oriente».

Quando Joe suonò il campanello della galleria Artworks, una donna alta e bionda apparve dal retro e gli fece cenno di entrare. La sua voce, quando parlò, era ben modulata. Lo guardò dritto negli occhi e gli sorrise, mettendo in mostra denti bianchi e regolari. «Immagino che lei sia il tenente che ha chiamato prima? Entri pure.» Joe ubbidì, notando i movimenti languidi e sicuri con cui la donna lo guidò in una saletta accogliente sul retro della galleria. Gli indicò di sedersi su un divano Chesterfield. «Caffè? Tè? O qualcosa di più forte?»

«Grazie, signora. Non prendo niente. Le sono grato per aver acconsentito a incontrarmi.»

«Nessun problema.»

Joe aspettò finché non si fu seduta a un’estremità del divano. Joe si accomodò su una sedia lì vicino. «È a conoscenza della scoperta del cadavere di Nathan Troy, signorina Levitte?»

«Sì, certo, e mi chiami Miranda. Purtroppo non vedo come possa esservi d’aiuto.»

«Vorrei farle qualche domanda. Vediamo come va.»

La donna gli rivolse un mezzo sorriso, non staccandogli gli occhi di dosso. «Mmm… va bene.»

«Le è mai capitato di incontrare Nathan Troy?»

Miranda Levitte accavallò le gambe, poi si lisciò i capelli dietro alle orecchie, muovendosi con fare composto e noncurante. «Sì… ma solo una volta, direi.»

«Dove?»

Gli occhi azzurro chiaro contemplarono il soffitto, poi si abbassarono su quelli di Joe. «A casa di mio padre.»

Lui annuì lentamente. «Riesce a ricordarsi quando, signora?»

Il mezzo sorriso ricomparve. «Oh… cielo… è passato tantissimo tempo, vero?» Guardò di nuovo il soffitto, accarezzandosi la parte anteriore del collo con un movimento leggero delle dita. «Direi… all’inizio del primo anno di Nathan Troy al Woolner.»

Con il taccuino in mano, Joe sollevò lo sguardo. «E qual era il motivo della visita?»

Le sopracciglia eleganti di Miranda Levitte si sollevarono. «Il motivo? Diamine, non ne ho idea. A quel tempo non vivevo a casa.»

«Che impressione le fece, in quell’occasione?»

La donna fissò lo sguardo oltre Joe, poi tornò a concentrarsi su di lui. «Estremamente impressionato dalla casa, con un timore reverenziale nei confronti di mio padre. Nel corso dell’oretta che trascorsi lì non ricordo di averlo sentito spiccicare una parola. Le persone così non vedono l’ora di entrare a far parte della mia famiglia.» Fissò Joe dritto negli occhi. «Per via della reputazione di mio padre nel mondo dell’arte, capisce. Sospetto che Nathan Troy fosse un tipo ambizioso. “In cerca di affermazione”, come si dice.»

Joe le lanciò un’occhiata inquisitoria mentre scriveva. «Non era sua sorella la ragione per cui Troy vi aveva fatto visita?»

Gli occhi azzurri e gelidi della donna lo fissarono. «Cassandra? Ha incontrato mia sorella, tenente Corrigan?» Lui annuì quasi impercettibilmente. «Allora credo che capirà cosa le sto dicendo. Trovo assai improbabile che il motivo della visita fosse lei.»

Joe la guardò intensamente. «È innegabile che sua sorella abbia dei problemi, ma mi è sembrata una persona dolce e gentile. Forse Nathan Troy se ne era accorto?»

Con un gomito sul bracciolo del divano, Miranda ricambiò lo sguardo del tenente. «Ne dubito seriamente. Cassandra trova molto difficile vivere la vita quotidiana. È sempre stata così. Non ha mai avuto una vita, un lavoro, un compagno nel… senso comune del termine. Mio padre fa tutto ciò che può, ma lei è un vero peso per lui, sia emotivo che finanziario. Non so se sapete che in un futuro non troppo lontano dovrebbe ricevere la nomina a Cavaliere.» Joe annuì. «Il comportamento di Cassandra potrebbe metterlo in imbarazzo, e lui non se lo merita proprio.» Miranda fece un sospiro e incrociò di nuovo le lunghe gambe. «C’è una cosa di mio padre che dovrebbe sapere. Si è preso cura di nostra madre fino alla sua morte. Si è preso cura di tutti noi e si sta ancora prendendo cura di Cassandra. Dopo tutti questi anni di lavoro e di fatiche per i suoi figli, non merita di veder risollevare la faccenda di Nathan Troy, in particolar modo se arriva anche ai media. Non è… giusto. E basta.»

«Immagino che i genitori di Troy non trovino giusto ciò che è accaduto al loro figlio.» La donna lo fissò, mentre Joe passava a un’altra domanda. «Forse era a casa vostra perché era amico di suo fratello?»

Osservò gli occhi azzurri di Miranda spalancarsi e le labbra carnose aprirsi in un sorriso di scherno. «Roderick? È evidente che non vi siete mai incontrati. Mio fratello non va d’accordo con la maggior parte delle persone. Gli piace stare da solo. Anzi, “gli piace” potrebbe essere un’espressione un po’ troppo enfatica.»

Joe continuò a scrivere, con un cenno di assenso, poi la guardò. «Ha altro da aggiungere riguardo a Troy, a parte che fosse in cerca di affermazione?»

Miranda Levitte scoppiò a ridere. «Quanto mi piacciono gli americani. La schiettezza. No, nient’altro. A parte che era giovane, immaturo e, sospetto, piuttosto noioso.»

«Era decisamente giovane a quel tempo. E anche lei, signora, no? Forse il suo giudizio su di lui era influenzato dal fatto che era abituata a frequentare uomini più anziani? Corteggiatori più maturi?»

Lei sorrise di nuovo. «Corteggiatori. Che parola deliziosa. Sì. Alcuni. Nessuno che sia durato a lungo.»

Joe la fissò, decidendo di testare l’opinione di lei che aveva sentito da Kate: «Mi sorprende che né lei, né suo fratello o sua sorella siate sposati o abbiate figli».

Lo sguardo freddo della donna era fisso su di lui. «Questa sua sorpresa è in qualche modo mal riposta per quanto mi riguarda, tenente.»

Il cellulare di Kate squillò mentre si faceva strada tra la folla degli studenti del Woolner.

«Ciao, Joe. Come è andata?»

«Rossa, c’è qualcosa che devi sapere. Ho incontrato una bionda alta e favolosa e tu ormai sei storia passata.»

Kate scoppiò a ridere. «Che cosa hai scoperto?»

Il tono di Joe si fece serio. «Non sembra avere una grande opinione di sua sorella e di suo fratello. Si mostra molto sicura di sé, molto spavalda. Direi che li guarda entrambi con una certa curiosità distaccata. E sai una cosa? Ha confermato che Troy andava a casa loro.»

«Lo sapevo che ci andava spesso» sospirò Kate.

«Non è arrivata a dire tanto, Rossa. Ha detto di averlo visto una sola volta.»

Camminando tra gli studenti che le mulinavano intorno, Kate si tappò con una mano l’orecchio libero. «Ha detto qualcosa di Troy? Che cosa ne pensava?»

«Sì. La sua idea è che il ragazzo fosse impressionato da suo padre e che stesse cercando di realizzare le sue ambizioni.»

Kate si bloccò. «Ha detto che Troy era ambizioso

«Sì.» Ci fu un silenzio. Poi: «Ha parlato del padre in toni affettuosi. Devo ammetterlo, Rossa… non ho avuto l’impressione che questa donna avesse problemi con lui.»

Kate continuò a camminare. «Forse Cassandra è stata l’unica figlia a subire i suoi abusi. Levitte ha scelto in base al carattere dei suoi figli… da ciò che mi hai detto, Miranda sembra un tipo freddo e sicuro. Il contrario di Cassandra.»

«Mmm. Fredda, con punti caldi qua e là.» Kate sollevò le sopracciglia. «Però, riguardo a quel che hai detto sulle loro vite adulte, c’è una cosa che non ti saresti aspettata.»

«Che cosa?»

«Ha un figlio.»

Kate si bloccò di nuovo. «Quanti anni ha? Dov’è? Chi è il padre?»

«Ha diciannove anni. Studia a Cambridge e lei non è proprio il tipo che parla volentieri della sua vita sentimentale.»

Kate corse su per i gradini ed entrò al Woolner. Dopo pochi minuti era davanti alla porta spalancata dello studio dove John Wellan stava spazzando il pavimento, col viso più immusonito del solito. Kate guardò la scopa radunare dei piccoli frammenti luccicanti. «Che cosa è successo?»

«Rupe! Fermo. Buono.» L’uomo continuò il suo lavoro, dando una breve occhiata a Kate. «Meglio che si tenga a distanza. Rischia di farsi male.»

Kate si mise accanto alla fila di maschere e grembiuli protettivi, esaminando rapidamente lo studio. Capì subito da dove arrivavano i frammenti di vetro sul pavimento: mancava uno dei numerosi pannelli quadrati di vetro smerigliato della porta. Uno di quelli laterali, accanto alla serratura. Quando era entrata non se ne era accorta. Le venne in mente la sua recente esperienza. «Sa chi è stato?»

«Non ne ho idea.» Wellan si accovacciò, spazzando i cocci su uno scopino che poi portò in un angolo dello studio insieme alla scopa, gettandone il contenuto in un ampio bidone nero.

Kate fece per uscire, agitando brevemente la mano. «Torno un’altra…»

Wellan invece le fece cenno di fermarsi e le indicò una sedia. «Si sieda» disse, passandole accanto per andare ad accendere il bollitore.

Kate guardò di nuovo lo studio, sollevando le sopracciglia quando notò che c’erano degli spazi vuoti sulla parete. «Hanno rubato i suoi quadri

«Che cosa?» L’uomo sollevò lo sguardo nella direzione indicata da Kate. «No. Quello sono stato io, sto riordinando. Mi sto liberando della roba che ho accumulato nel corso degli anni. Tutta spazzatura inutile. Dopo la sua visita ho deciso che era ora.»

Kate andò a sedersi. Prese la tazza bollente. «Grazie. Dopo che ci siamo visti ho incontrato Cassandra Levitte.»

«Ah, sì?» Frugò nelle tasche del giaccone buttato sopra alla sedia. «Ha trovato ciò che cercava?» Afferrò il portasigarette.

«Le abbiamo parlato, ma è evidente che in questo momento non sta bene.» Mentre Wellan si accendeva una sigaretta, Kate bevve un sorso, osservando il piano di lavoro. Molti degli oggetti che vi aveva visto sopra non c’erano più. «Vedo che ha tenuto quel dipinto accanto alla porta.» L’uomo la guardò mentre indicava un quadro. «Quella specie di Madonna con bambino.»

Lui si strinse nelle spalle. «Ho fatto bene a tenerlo. È un’esercitazione di una mia studentessa del terzo anno. Quando avrà finito, il prossimo luglio, se lo porterà via.»

Kate sembrava sorpresa. «L’ha fatto una studentessa? Che brava.» Un altro sorso, poi: «Chiunque sia stato, alla fine, le ha rubato qualcosa?» domandò di nuovo, decidendo di non parlare del furto a casa sua.

Wellan soffiò fuori il fumo, stanco. «Probabilmente non lo sa, ma io amo le cose di qualità, amo le cose fatte con perizia. Mi piacciono le cose classiche.»

Kate annuì con un sorriso. «Ho visto la macchina.»

L’uomo aspirò altro fumo. «Qualche anno fa ho comprato una penna classica, una Montegrappa Dragon viola e oro. Un oggetto delizioso. È sparita. Non ho ancora avuto il tempo di guardare se hanno portato via altro.» Le lanciò un’occhiata. «Ma non è venuta qui a sentire le mie pene… Buono, Rupe.» Tornò a concentrarsi su Kate. «Ha in mente qualcosa?»

Kate annuì. «Sì. Non so se sa che in questo momento Cassandra Levitte si trova in una clinica.»

L’uomo la guardò. «Non posso dire che sia una sorpresa.»

Kate scelse accuratamente le parole, visto che non voleva divulgare troppe informazioni sui problemi di Cassandra. «Nel corso di una recente visita ho notato qualcosa, una sorta di ornamento con funzione protettiva che tiene in stanza. Un disco di vetro blu con cerchi concentrici… come un occhio. Sembrava attribuirgli grande importanza.»

John Wellan annuì e poi guardò Kate. «E me lo sta dicendo perché…?»

«Perché credo che sia una decorazione originaria del Mediterraneo e ho pensato che lei potesse avere un’idea della provenienza.»

«Posso solo tirare a indovinare. Potrebbe venire da un posto come la Turchia, ma riguardo a come ne sia entrata in possesso, solo Dio lo sa.»

Kate sospirò, appoggiando la guancia sulla mano. «Lei conosce la sua famiglia da molto tempo. Ho pensato che questa informazione potesse farle venire in mente qualcosa.»

Le rughe che gli solcavano il viso si fecero più profonde. «Lavoro con Henry da anni. Da quando ho cominciato in questo college, nel 1992. Lui lo conosco abbastanza bene, ma gli altri no. Faccio in modo di essere gentile con tutti loro quando li incontro, ma non ho mai fatto parte di quell’ambiente. Troppa confidenza con la crème di Birmingham, per i miei gusti. Non ho tempo per queste cose.»

«Che cosa pensa di loro come genitori… voglio dire, Henry Levitte e la sua seconda moglie?»

Wellan dette un’alzata di spalle. «Io non ho figli, quindi non sono nella posizione di giudicare, anche se, stando alle apparenze, le condizioni di Roderick e Cassandra non gli farebbero certo vincere un premio.» Guardò verso le finestre. «Genitori, famiglie.» Scosse la testa. «I miei genitori avevano una mentalità parecchio ristretta. Non avevo niente in comune con loro, con mio fratello o mia sorella. Sono stato felice di allontanarmi da loro e da Doncaster.»

Kate si sentiva frustrata, ma proseguì. «Lei mi ha raccontato di Roderick e dei suoi problemi e conosceva Cassandra quando era studentessa qui, nei primi anni Novanta.»

Wellan scosse la testa. «Era impossibile “conoscere” Cassandra. Nessuno la conosceva. Era praticamente assente, e quando lo era meno, era isterica. Per i farmaci, suppongo.»

«E che cosa mi dice delle loro vite in tempi più recenti?»

Guardò Kate dritta negli occhi. «Se sapessi qualcosa gliel’avrei già detto.»

Lei era pensosa. «Ho immaginato che potesse aver sentito qualcosa dal buon vecchio giro dei pettegolezzi accademici.»

L’uomo scosse la testa con decisione. «Non mi faccio coinvolgere in quella spazzatura diffamatoria. Se vuole dettagli sulle loro vite private, ha sbagliato persona. Per quanto riguarda la gerarchia accademica, qui, io sono una persona non gradita. Gli auguri di Natale non me li mandano né Levitte né Johnson, si fidi.» Con un ghigno, aspirò ancora dalla sigaretta e scrutò Kate. «Forse se avessi tenuto la bocca chiusa e seguito l’idea di Henry su come si fa a insegnare l’arte, sarei diventato professore e avrei un mucchio di soldi in più. Adesso è troppo tardi. Non succederà mai più.»

«Non pensa di esagerare con questa immagine da ragazzaccio?»

L’uomo ghignò di nuovo. «Spero che abbia ragione. Ho bisogno di rimanere qui ancora un paio d’anni.»

Kate fissò la tazza e le venne in mente una cosa. «Sembra che, quanto alle persone che stanno qui, ne sappia più io di lei.»

L’uomo scrollò le spalle e poi sollevò le mani, lasciando correre lo sguardo in giro per lo studio. «Vede tutto questo? Dipingere, scolpire. È questo che mi fa tornare qui ogni giorno. Questo, e gli studenti.»

Kate bevve un ultimo sorso e posò la tazza, pronta ad andarsene. «Abbiamo incontrato Cassandra e adesso sto cominciando a capirla, a farmi un’idea di come possa essere stata la sua infanzia.»

L’uomo le lanciò una breve occhiata. «Abbiamo?»

«Le abbiamo fatto visita, io e il tenente Corrigan.» Si alzò, impensierita. «È strano, sa, ma nonostante faccia il mio lavoro da tutti questi anni continuo a sorprendermi, a volte anche a rimanere scioccata dalla lunga ombra che la storia delle persone, i loro primi anni di vita possono gettare sulle loro esistenze.» Prese la borsa. «E immagino che non possa dirmi niente di Miranda.»

Wellan cominciò ad arrotolare un’altra sigaretta. «A parte l’impressione che sia una persona gelida che guarda il mondo dall’alto, letteralmente e metaforicamente, no. Ma quello potrebbe essere solo il suo atteggiamento nei miei confronti. L’unico con cui abbia avuto un minimo di contatto reale è Roderick.» Scosse la testa. «Le ho già detto che penso sia solo un peso morto. Tutto quel che sta facendo per la retrospettiva lo devo rifare daccapo.» Kate abbassò lo sguardo su di lui, notandone il viso stanco. «Probabilmente è colpa sua se ho dimenticato qui la mia maledetta penna, permettendo a qualcuno di rubarmela.» Sollevò lo sguardo su Kate e le sorrise brevemente. «Basta lamentarsi.» Si alzò per accompagnarla alla porta.

«Verremo all’inaugurazione della retrospettiva. Immagino che ci sarà anche lei.»

Wellan annuì. «Purtroppo. Intende studiare la tribù Levitte al gran completo?»

«Abbiamo in programma di parlare con Henry Levitte quella sera e di fissare una data per convocarlo a Rose Road.»

L’uomo accese un fiammifero. Nella luce fioca Kate vide che gli tremava la mano. Soffiò fuori il fumo. «Buona idea. L’unico modo per spremere qualcosa da quel vecchio stronzo è di farlo alle vostre condizioni. Ci vediamo alla retrospettiva.»

Mentre si avvicinava alla macchina, Kate sentì squillare il cellulare. «Ciao, Bernie.»

«Ho qualcosa per te, Doc. L’impronta della mano a casa tua, quella di quando sono entrati l’altra sera. Indovina di chi è?» Kate si fermò. «Stuey Butts.»

Nonostante sapesse che Bernie lo sospettava da tempo, Kate fu sorpresa dalla notizia. «Ma non mi conosce, non sa che sono collegata al caso. E se anche lo sapesse, come ha fatto a scoprire dove vivo?» Le venne in mente qualcos’altro. «Non pensi che questo sia in qualche modo rilevante in merito ai nostri progetti per la mostra di domani sera, vero?»

«Non vedo come.»

Kate si passò una mano tra i capelli, cercando di riorganizzare le idee che le si stavano affollando nella mente. «Stuart non è ancora stato trovato?»

«Nessuno sa dove sia. Mamma Butts è al piano di sotto che grida come una pazza.»

«Come mai?»

«Finalmente ha ammesso che sono diversi giorni che non hanno idea di dove sia.»

Kate aveva ripreso a camminare. «Perché non lo ha detto prima?»

«Immagino che anni passati a evitare la polizia e il livido che ha sul viso possano essere una valida ragione. I nostri lo stanno ancora cercando. Non penso che avremo delle risposte finché non lo troveremo.»

Niente di umano
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