33

Il pomeriggio seguente Kate stava aggiungendo i dati che riguardavano Dixon a quanto già scritto alla lavagna. Si voltò quando si avvicinò Julian con in mano una fotografia. La prese ed esaminò il dettaglio delle Adidas ZX. Scosse la testa. Non c’entravano nulla con quelle che aveva visto ai piedi di Dixon.

La posò sul tavolo e andò al computer per vedere le altre fotografie trovate da Julian: gli uomini accusati di molestie sessuali al Country Park a partire dal 1990. Le fece scorrere, riconoscendo Phillips e Dixon, ripensando a quanti pochi arresti fossero stati fatti. Considerando la reputazione del parco come luogo di attività sessuali illecite se ne sarebbe aspettati molti di più. Quanti altri uomini magari sono stati arrestati lì ma poi sono stati rilasciati per mancanza di prove? O magari non sono neanche stati fermati? «C’era solo questo?» domandò.

Julian la guardò di traverso. «Se ci sono altre schede, non sono cose a cui sono autorizzato ad accedere.»

Kate capì: non sarebbe entrato in database proibiti per farle un favore come era successo per l’indagine precedente. Kate annuì. «Non ti sto suggerendo di infrangere le regole.» In ogni caso, i dati sulla lavagna confermavano la ricerca precedentemente fatta da Bernie. Lesse il nome sotto all’altra fotografia: «Morrell». Nessuno di quegli uomini assomigliava a quello descritto da Dixon. Kate sospirò. E comunque, quanto poteva essere affidabile? Ben poco.

Stava tornando alla lavagna per aggiungere la descrizione dell’uomo visto al parco da Dixon quando squillò il telefono. «Udi. Kate Hanson.»

Le giunse all’orecchio la voce di John Wellan. «Kate, ho ritrovato i miei vecchi appunti sull’ultimo incontro che ho avuto con Nathan Troy, se le interessano ancora.» La porta si spalancò ed entrarono Joe e Bernie. Kate indicò le informazioni sulla lavagna mentre ascoltava Wellan. «Non ci sono molti dettagli, però mi hanno aiutato a ricordare la conversazione di quel giorno. Se ha un minuto… Vediamo.» Si udì un fruscio di carta. «Chiesi a Troy come pensava di contribuire alla mostra che avremmo fatto nell’anno nuovo… il 1994. Lui disse, e glielo leggo direttamente dagli appunti che abbozzai allora, “Potrei non esserci”. Adesso che li ho riguardati sembra che avesse in programma di… andarsene. Che cosa ne pensa?»

Kate si passò le dita tra i capelli, frustrata dalla sua incapacità di far quadrare ciò che Wellan stava dicendo con la descrizione fornitale dai genitori di Troy. «Andarsene? Eppure il corso gli piaceva e stava andando bene.»

«Probabilmente a quel tempo devo aver pensato la stessa cosa.»

«Gli ha chiesto qualcosa al riguardo?»

«In effetti, a quel punto della conversazione ho inserito nelle mie note un punto interrogativo, quindi probabilmente gli ho domandato che cosa intendesse dire. Le parole che pronunciò e che ora vedo negli appunti sono: “Ho dei progetti, ma adesso preferirei non parlarne”.»

«Cosa pensa che intendesse? Le viene in mente qualcosa?»

«Niente. Posso soltanto dirle che probabilmente ho pensato di doverlo accettare, che era abbastanza grande da prendere le sue decisioni, e in ogni caso mi pare piuttosto chiaro che non volesse dirmi quali fossero i suoi progetti. Probabilmente sa per esperienza che gli studenti riescono a sorprenderci con le loro decisioni.» Con il ricevitore in mano, Kate annuì: lo sapeva benissimo. «Vuole vedere gli appunti?»

«Mi farebbe piacere.» Guardò l’orologio. «Devo passare all’università tra mezz’ora. Potrei fermarmi al Woolner, è di strada…»

«Sono impegnato con le riunioni di facoltà. Sono uscito giusto per fumarmi una sigaretta e chiamarla. Potrei lasciarli a Rose Road verso le sette di stasera.» Non sentendo una risposta, Wellan proseguì. «Oppure, se abita in zona, potrei portargliele a casa. Come preferisce.»

Kate si passò un dito sulla minuscola ruga sopra al naso. Voleva leggere quegli appunti il più presto possibile. Per quanto scarni potessero essere, come aveva detto Wellan, voleva essere lei a giudicare se fossero utili o meno. «Se non le dispiace portarmeli a casa, allora…»

«Non c’è problema. Le telefono mentre vado a Brindleyplace. Devo portare delle cose alla White Box Gallery per la retrospettiva del vecchio stronzo. Sempre a fare la bestia da soma. Mi dia il suo indirizzo.» Kate glielo dettò e, dopo una pausa, disse: «Ci vediamo dopo».

Kate abbassò il ricevitore, riassumendo la conversazione agli altri e poi disse: «Sappiamo qualcosa su dove si trovasse Stuart Butts dopo che ieri l’ho visto al parco?». Tutti scossero la testa e Kate si rese conto di essere preoccupata per il ragazzo. «So che si è reso antipatico, ma è giovane e questo lo rende vulnerabile. Proprio come lo fu Nathan.»

Bernie roteò gli occhi. «Se lo dici tu, Doc, anche se io non ci vedo nessuna somiglianza. Descrivimi di nuovo quello che hai visto.»

«Era da solo, a una certa distanza da me, e stava parlando al cellulare. Aveva la stessa giacca a vento di quando è venuto qui. Quando mi ha vista ha assunto un’espressione sconvolta e poi è corso via. Qualche secondo dopo ho sentito il rumore di una macchina che se ne andava… Credo che qualcuno sia andato a prenderlo.»

«Non hai visto la macchina?» chiese Joe.

Kate scosse la testa. «No, ma dal motore sembrava costosa.» Che cos’altro doveva dire? Indicò la lavagna. «Guardate che cosa ho tirato fuori da Ronnie Dixon.»

Joe la guardò, serio. «Sei andata da Dixon e al parco, da sola?»

Kate si inalberò. «So badare a me stessa, grazie» sbottò.

«Sì, infatti» sbuffò Bernie. «Come l’anno scorso, quando ti ha presa Harry Creed.»

Kate si avvicinò allo schermo e picchiò un dito su ciò che aveva annotato. «Dixon mi ha dato questa descrizione di un uomo che ha visto bazzicare per il parco nel periodo in cui fu aggredito Bradley Harper.» Indicò alcune parole in particolare, poi guardò i colleghi. «Ho visto le fotografie dei maniaci sessuali arrestati al parco. Morrell non corrisponde a questa descrizione, ma potrebbe saperci dire qualcosa.»

«Sono stato da lui ieri e non mi ha detto niente» disse Bernie, scuotendo la testa.

Kate gli rivolse un’occhiata sorpresa. «Pensavo che fossi andato dai signori Troy, come aveva detto Furman…»

«Al diavolo Furman. Non è il caso che andiamo a piazzarci in casa loro per niente.»

Kate annuì. «Raccontami di Morrell.»

Bernie indicò la lavagna. «È abbastanza basso, ma non ha niente di snob e non è uno da giacca e cravatta. È più un tipo da jeans. Non c’è niente di lui che possa accendere una lampadina, in questo momento. Non ha precedenti per tentati abusi su minori.»

Kate ripose il pennarello sul piccolo vassoio applicato al bordo della lavagna mentre Joe si alzava per prendere il cellulare e la giacca. Non era necessario chiedere dove andasse: Squadra Risposta Armata.

Allora guardò Bernie. «E tu che cosa fai ora?»

«Vado ai Piani Alti a vedere se hanno scoperto qualcosa su Stuey Butts dopo il tuo avvistamento.»

Kate annuì e aggrottò la fronte, pensierosa. «Butts conosce i problemi del parco. Perché non se ne tiene alla larga? Perché continua ad andarci?»

Mentre Joe usciva agitando una mano per salutare, nella stanza fece capolino Whittaker. «Sergente Watts? Alla reception c’è un uomo che chiede di lei. Dice di saprere che al momento la polizia è interessata al Woodgate Country Park e che ha “una vasta esperienza di quella zona” e…»

«Non sei riuscito a trovarmi.»

Kate gli lanciò un’occhiata di disapprovazione, poi fece un cenno con il mento, rivolgendosi a Whittaker: «Ci parlo io. Potrebbe saperci dire qualcosa di utile». Afferrando il quaderno, seguì l’agente e uscì dalla stanza, ignorando la voce di Bernie che la chiamava.

Giunto alla reception, Whittaker svoltò per infilarsi dietro al bancone e mettersi accanto a una collega in abiti civili, con indosso la consueta camicia bianca dalle controspalline scure. Con un movimento del mento appena accennato, la donna indirizzò Kate verso una delle persone in attesa e poi alzò gli occhi al cielo. Dei tre maschi presenti, uno era un adolescente imbronciato, un altro aveva un occhio nero e il terzo indossava un copricapo con una piuma sopra ai capelli grigi e dritti come spaghetti. Anche senza il cenno della collega, Kate trovò ovvio quale fosse la persona con cui doveva parlare. Si avvicinò.

«Il signor…»

L’uomo balzò in piedi e fece un inchino. «Kirk. James Kirk» declamò con fare teatrale. Gli occhi di tutti i presenti si spostarono su di lui.

«Mi vorrebbe seguire, signor Kirk?» disse Kate, che in quel nome aveva sentito qualcosa di familiare, ma non era certa del perché. Indicò la piccola stanza lì accanto e attese che l’uomo entrasse.

L’uomo invece rimase dov’era, davanti al pubblico ristretto ma attento. «Ho sentito dire che la polizia sta operando al Woodgate Park. È un’area che conosco estremamente bene.»

«Bene. Vuole seguirmi da questa parte?»

«Un tempo frequentavo quella zona talmente tanto che ne sono diventato una specie di esperto. Ma ora non più. Oh, no.»

Kate ora aveva capito di avere un problema e stava pensando a un paio di cose che avrebbe detto a Bernie non appena lo avesse rivisto. «Sa, penso che scrivere una dichiarazione sia una buona idea…»

«Non dall’ultima volta che mi hanno rapito.»

Kate lo guardò, sapendo che non aveva niente da guadagnare dal tentativo di cercare un senso nelle parole dell’uomo. Lanciò un’occhiata a Whittaker e alla collega. «Va bene, signor… Kirk. Se viene qui, l’agente le darà l’occorrente per fare una breve dichiarazione…»

L’uomo era incontenibile. «Non lo dimenticherò mai. Nei vostri archivi c’è tutto. Aspetterò mentre va a prendere i documenti e li legge. Sono venuto qui già l’anno scorso per sporgere denuncia. Cinque marzo, ore venti e trenta. Anzi, piuttosto che farle perdere tempo a cercare il mio fascicolo, glielo dico io: sono stato ispezionato fisicamente e assoggettato a una serie di altre procedure scientifiche umilianti…»

Dal corridoio che portava all’Udi giunse il suono di passi pesanti. Kirk si voltò e indicò qualcuno. «Glielo dirà lui. Lui ha un dossier. Chieda all’ispettore capo Watts che cosa sa, ma…» si picchiettò il naso carnoso con un dito «…una volta che ne sarà a conoscenza, rischierà anche lei.»

Bernie e la sua voce raggiunsero la reception. «Che combini di bello, Nige?»

L’uomo indicò Kate. «Dica a questa donna che cosa mi è successo in quel parco a Woodgate.»

Bernie si stava frugando nelle tasche dei pantaloni. «Andiamo. Se trovo le chiavi ti accompagno a casa. Va’ ad aspettare vicino alla mia macchina mentre parlo con la mia collega.» Nige, altrimenti noto come James Kirk, lasciò l’edificio di buon passo.

Kate guardò Bernie in cagnesco. «Grazie, eh.»

«Ho cercato di dirtelo. Certe volte sei troppo entusiasta e ti fai male da sola. Come lui.» Fece un cenno diretto a Whittaker.

«Domanda inutile, ma siamo sicuri che non valga la pena di sentirlo?»

«Sicurissimi. Nigel il Solitario, matto come un cavallo, parla perfettamente il Klingon, per quanto ne sappia è stato rapito dagli alieni in numerose occasioni, e una volta che si piazza qui è una spina nel fianco e nessuno riesce a levarselo di torno. Avrebbe potuto bloccarti qui per ore.»

Kate roteò gli occhi. «Improbabile. È ovvio che ha dei problemi e…»

«Adesso è fuori a gelarsi le chiappe. Hai finito?»

«Sì. Torno all’università, dove posso essere sicura di trovare gente che ragiona» sbottò Kate, girando i tacchi.

Quella sera Kate era nel suo studio, immersa nella valutazione degli esami scritti, quando sentì il rombo di un motore seguito dallo squillo del campanello di casa. Guardò prima l’orologio, poi fuori dalla finestra, e vide un’auto d’epoca dalla lucida carrozzeria verde acqua. Andò all’ingresso, sentendo uno scalpiccio di piedi sul pianerottolo.

«Questa è Lauren.»

«No, a meno che non guidi una Jaguar degli anni Cinquanta» mormorò Kate attraversando l’atrio.

«Che?»

Non ci furono altri rumori, a parte quello della porta del piano di sopra che sbatteva. Kate aprì la porta d’ingresso. «Buonasera. Entri.» Gli fece strada verso la cucina. «Caffè? Tè?»

Wellan la seguì, con un fascicolo in mano. «Grazie, ma non posso fermarmi. Ecco gli appunti di cui le ho parlato, quelli del mio ultimo incontro con Troy. Ho portato anche quello che ho trovato in merito ai precedenti incontri. Non penso che ci troverà molto. Quando ha finito di leggerli, preferirei che me li restituisse.» Posò il fascicolo sul tavolo. «Dopo averne riletti alcuni, mi vergogno ad ammettere di non aver pensato molto a quel ragazzo in tutti questi anni.» Il campanello suonò di nuovo e Wellan rivolse lo sguardo in direzione dell’ingresso. «Vado…»

«È per mia figlia.» Si sentirono dei passi sulle scale, poi il rumore della porta che si apriva e un trambusto di gridolini prima che i passi tornassero rumorosamente a risalire la scalinata.

«La giovane matematica di cui ho sentito parlare? Dev’essere bello avere figli così brillanti.»

Kate gli lanciò un’occhiata. Era chiaro che neanche Wellan era del tutto immune ai pettegolezzi universitari. Ricordò i commenti su di lui che aveva sentito in giro: pareva che avesse avuto parecchie donne e che avesse esplicitamente professato di amare la vita da single. «Qualche soddisfazione.»

La mano dell’uomo batté leggera sul fascicolo. «Devo andare. Henry vuole che la roba nella mia auto sia in galleria per le sette e un quarto.»

Kate guardò l’orologio. «Non ce la farà mai. Hagley Road a quest’ora è un incubo.»

Mentre tornavano nell’ingresso, Wellan le rivolse un ghigno. «Chissà se voglio davvero arrivare in orario? Può anche aspettare, quello. Le ultime notizie dal consiglio di facoltà di oggi sono che ha in programma di passare più tempo all’università e addirittura di tenere qualche lezione. Io credo che abbia perso lo smalto, ma Johnson lo lascerà fare perché è troppo privo di spina dorsale per dirgli di no.» Giunto alla porta, fece una pausa. «Si dimentichi quello che ho detto. Probabilmente sa che cosa si dice in giro di me: “Stronzo, lunatico, con un’invidia grande come il West Midlands”.»

«Avrebbe un altro minuto?» Lui annuì e la seguì nello studio. Aprendo la scatola nera e lucida Kate ne estrasse il poster arrotolato. Lo dispiegò e glielo mostrò. «Sa niente di questo?»

Wellan spalancò gli occhi. «Santo cielo. “Portiamo l’arte in ogni…” Dove l’ha trovato? È quasi preistorico!» L’uomo sorrise, scuotendo la testa. «Questa era la mia idea per portare l’arte nei centri ricreativi e in quelli per bambini. Me ne sono occupato per circa dodici mesi, un mucchio di anni fa.»

Kate guardò il manifesto e poi tornò a guardare l’uomo. «Come mai il nome da contattare è quello di Roderick Levitte?»

Wellan scosse di nuovo la testa. «Perché il vecchio voleva che Roderick avesse un progetto a cui dedicarsi. Mi disse di affidarlo a lui. Roderick iniziò, ma la cosa durò due mesi e poi la piantò lì.»

Kate scelse con cura le parole che pronunciò in seguito. «Quando Henry Levitte è andato in pensione, il suo posto è stato dato a Matthew Johnson.»

Wellan annuì. «Giusto.» Scrutò Kate. «E lei pensa che io serbi rancore da anni per questa storia?» Scoppiò a ridere. «Sapevo che non avrei mai avuto quel posto. Magari la mia faccia le dà un’altra idea, ma la verità è che non lo volevo nemmeno. A me piace insegnare. Non voglio starmene seduto in un ufficio al Woolner a trafficare con progetti di sviluppo e a preoccuparmi del budget.»

Kate annuì. Capiva il suo punto di vista. Avrebbe voluto chiedergli un’altra cosa, ma non era certa di come avrebbe reagito, considerando che non si conoscevano poi così bene. «È difficile lavorare all’università e sentirsi come si sente lei… Scusi, so che non sono affari miei, ma da ciò che dice lei mi sembra…»

Wellan le sorrise. «Spari. Non mi offendo.»

Kate si strinse nelle spalle. «Mi sembra isolato da tutti gli altri.»

«È esattamente quello che voglio. Faccio lezione ai miei studenti, faccio quel che devo fare e nel tempo che avanza vivo la mia vita. A proposito, devo andare.» Si voltò, fermandosi all’improvviso. «Oddio! È un Levitte, quello?»

Kate seguì la direzione del suo sguardo e annuì. «Lo acquistò il mio ex marito una decina di anni fa.» Wellan fece qualche passo verso il quadro e Kate lo seguì, in attesa, mentre l’uomo osservava il dipinto. «Immagino che abbia una sua opinione in merito.»

Wellan la guardò. «Oh, sì. Certo che ne ho una! Adesso potrebbe essere il mio turno di chiedermi se non rischio di offenderla.» Kate gli sorrise mentre l’uomo si voltava di nuovo verso il quadro, lanciandogli giusto un’occhiata frettolosa. «Dirò solo che Henry ha sempre nascosto bene gli aspetti negativi del suo lavoro.»

Lasciarono lo studio per passare all’ingresso. Kate aprì la porta.

«Come stanno andando le vostre indagini?» domandò Wellan mentre usciva.

Lei alzò le spalle. «Stiamo seguendo tutte le piste possibili, come dicono sempre in polizia. L’immagine di Nathan che abbiamo ottenuto finora non ci sta aiutando molto. È piuttosto contraddittoria.»

Wellan annuì. «Sì, be’, capita spesso con gli studenti di quell’età, no? Li si vede felici di quello che fanno e un minuto dopo vogliono qualcos’altro… come Troy con i suoi progetti, eh?» Con un sorriso pungente e un cenno della mano se ne andò.

Tornata in studio, sentendo il rumore del motore d’epoca sputacchiare all’avvio e poi svanire in lontananza, Kate si mise a sedere alla scrivania, fissando gli esami. Mise altri due voti e poi cominciò a leggere gli appunti su Nathan. Sollevò la testa, in ascolto. Il piano di sopra era immerso nel silenzio. Smettila di essere così sospettosa. Il campanello suonò ancora.

Con un sospiro, buttò la penna sulla scrivania e andò alla porta. Era Bernie. Lo condusse nello studio. «Ti sei appena perso John Wellan. Mi ha lasciato questi… gli appunti dei suoi incontri con Troy. Se mi avanza tempo, stasera li leggo prima di portarli all’Udi. Sono curiosa di vedere se possono servire a qualcosa.» Lo guardò. «Che cosa ti porta qui?»

Bernie aveva dato un’occhiata agli appunti e si era allontanato dalla scrivania per fissare i poster e le altre decorazioni appese alle pareti. «Passavo di qui. Domani ci sei all’Udi?»

«Avevo in programma di leggere un po’ di tesine. Perché?»

«Buchanan ha acconsentito a presentarsi per scambiare due chiacchiere. Ha detto che voleva “levarsi il pensiero” prima di andare a una riunione “importante” in città. Dopodiché, io e te abbiamo un appuntamento. Alla White Box di Brindleyplace. Il tuo professore emerito è disponibile a incontrarci.» Era arrivato all’angolo della stanza e stava indicando il piccolo dipinto. «È questo? Quello di cui parlava Levitte quando siamo andati a trovarlo?»

Kate gli si avvicinò. «Sì. Paesaggio al sole. L’ha comprato Kevin per il nostro anniversario di matrimonio.»

«Mmm… Non è il mio genere» mormorò Bernie, allontanandosi.

Gli occhi di Kate si spostarono lenti sul quadro. Si sentiva piccata dall’aver ricevuto ben due critiche a quel dipinto in meno di un’ora. «Be’, a me piace. È… rassicurante. Vedi come si incurva la terra, come una ciotola sorretta da due mani? Sembra…»

Bernie la guardò. «“Rassicurante”. Sì, va bene. Come mai l’hai piazzato lì?»

Kate aggrottò la fronte. «Che cosa intendi?»

«Perché se ne sta lì nell’angolo, dove non si vede?»

«Io lo vedo eccome. I dipinti vanno tenuti lontani dalla luce diretta del sole.»

Bernie sbuffò. «Va bene. Vado. Ci vediamo domani. Buchanan arriva alle nove.»

Dopo che Bernie se ne fu andato, Kate tornò in studio e si mise nell’angolo, di fronte a Paesaggio al sole, lasciando vagare lo sguardo sulle linee arrotondate, sulle numerose sfumature curve, sul disco arancione infuocato del sole al centro del cielo azzurro. Perché è qui?

Incapace di darsi una risposta soddisfacente, scosse la testa con impazienza e si rimise alla scrivania.

Niente di umano
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