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Il lunedì mattina Kate salì frettolosamente i gradini del Woolner College, il fiato che formava nuvolette di vapore nell’aria fredda. Oltrepassò gli studenti che, avvolti nei giacconi pesanti, si incamminavano verso l’ingresso. Entrò nell’atrio in penombra e attraversò l’ampio salone per poi salire tre rampe di scale, come le aveva detto di fare Wellan al telefono il giorno prima. Infine individuò il suo studio in fondo a un lungo corridoio scarsamente illuminato. La targa diceva: Dottor John Wellan. Docente. Belle arti. Kate bussò alla porta, ripensando a ciò che aveva capito di lui dalle poche volte in cui si erano incrociati in precedenza. Un accademico di quelli un po’ scomodi.
Cinque minuti dopo Kate era all’interno dell’ufficio e stava lasciando vagare lo sguardo sui muri di mattoni dipinti di bianco e sul soffitto quasi interamente occupato da un lucernario, sul vecchio pavimento in legno macchiato di tempera, sui grembiuli color carbone appesi a una fila di ganci fissati sopra a un’asta bianca sulla parete vicina. Si immerse nell’atmosfera, ne respirò l’aria a occhi chiusi. Colori a olio… trementina… cioccolata…
«Eccola. Entri pure, si sieda.»
Prese la tazza che Wellan le stava offrendo, scrutandolo con discrezione mentre lo seguiva verso una scrivania coperta di schizzi, materiale artistico di varia natura e quelle che sembravano alcune tesine. John Wellan aveva un po’ più di cinquant’anni e sembrava li avesse vissuti tutti al massimo. Le venne in mente un vecchio pettegolezzo che gli attribuiva un passato da alcolista, oltre a un paio di giudizi che aveva sentito su di lui: era un insoddisfatto delle istituzioni o un perdente amareggiato, a seconda di chi fosse il latore del giudizio in questione. Sapeva che era un appassionato corridore. I suoi occhi si spostarono sul blocco di granito lì vicino. La corsa e la scultura lo tenevano in forma. Quel giorno aveva addosso una maglia nera con sopra una vecchia felpa, jeans larghi dall’aria altrettanto vintage e un paio di Vans nere abbastanza nuove ai piedi. Immaginò che i suoi studenti lo apprezzassero. Immaginò anche che non gliene importasse un bel niente di ciò che potevano pensare di lui.
L’uomo si mise a sedere di fronte a Kate, seguendone lo sguardo fino all’angolo opposto della stanza. «Sto offrendo ai ragazzi la possibilità di sperimentare con le vernici spray. Guardi che cosa mi sono dovuto procurare.» Indicò gli abiti protettivi e le maschere. «Grazie tante al Servizio Prevenzione e Sicurezza. Che cosa posso fare per lei?»
«Come le ho spiegato al telefono, lavoro per l’Unità delitti insoluti della polizia di Birmingham. Stiamo investigando su un omicidio. Lei conosce il Woodgate Country Park?»
«Grrrrr!»
Sbigottita, Kate si guardò alle spalle e si accorse di un bassotto bianco e marroncino seduto su un cuscino vicino alla parete, con le orecchie penzoloni e il muso triste.
«Buono, Rupe.» Wellan guardò Kate. «Cerco di evitare le parole che iniziano per “P”. Adora starsene all’aperto a scorrazzare. Sì, conosco quel luogo. Siamo in diversi ad andare a correre al Woodgate Country…» scandì la parola «Park» con il solo movimento delle labbra «… quand’è bel tempo.»
«È lì che è stato trovato il corpo.»
«Da anni ormai si sente dire che in quella zona succedono brutte cose.»
«Non si tratta di un senzatetto o di un tossicodipendente in cerca di una dose. Il corpo è di una persona giovane che lei ha conosciuto anni fa…»
«Non me lo dica. Nathan Troy?»
«Ci ha azzeccato… O lo ha sentito dai giornali o dalla televisione?»
«Io non faccio caso ai media. Tutte stronzate.» Scosse la testa e si voltò per eliminare un po’ di sporcizia dalla scrivania. Kate lo osservò prendere una piccola scatola di metallo, aprirla e cominciare ad arrotolarsi una sigaretta. Evidentemente il Servizio Prevenzione e Sicurezza non aveva il potere di interferire con le abitudini personali di Wellan sul lavoro. «Ho pensato a Troy visto che è l’unico giovane scomparso che mi sia mai capitato di conoscere. Trimestre autunnale del 1993… o 1994?»
«1993.»
«Dove, di preciso?» Gettando un’occhiata a Rupe, che ora sembrava sonnecchiare, Kate gli fornì qualche informazione generale sul luogo del ritrovamento dei resti mentre Wellan si accendeva la sigaretta, strizzando le palpebre per via del fumo. «Povero ragazzo.»
«Che cosa saprebbe dirmi di lui?» Studiò il viso dell’uomo, pensando che la notizia che gli aveva dato sembrava averlo incupito, benché fosse difficile giudicare. Nelle poche altre occasioni in cui si erano incontrati si era comunque mostrato ugualmente accigliato.
«Uno studente eccellente. Di talento. Deciso a lavorare bene e a sfruttare al massimo il tempo che avrebbe trascorso qui.» Inalò profondamente il fumo.
«Lei era il suo tutor principale. Che lei sapesse, il ragazzo aveva problemi qui a Woolner?»
Lo guardò stringersi nelle spalle e aspirare nuovamente. «Non che io sappia. Le lezioni le assorbiva come una spugna.»
«E sa qualcosa della sua vita al di fuori del college?»
Scosse la testa. «So solo che divideva un appartamento con altri due o tre studenti di qui. Abitava su una delle vie che fiancheggiavano la Cadbury’s di allora.»
«E le cose andavano bene?»
Dette un’altra alzata di spalle. «Non ne ho idea. A me interessa quello che fanno quando sono con me. Ciò che fanno fuori di qui è affar loro.»
Kate prendeva appunti. «Quindi non le è mai giunta nessuna notizia di problemi nella vita di Nathan Troy?»
«No. Se mai avesse parlato di qualcosa, ovviamente lo sarei stato a sentire, ma Troy era maturo per la sua età. Se avesse avuto dei guai, se li sarebbe risolti da solo.» Aspirò ancora.
Kate annuì, scorrendo l’elenco che si era preparata fino a una domanda di cui conosceva già la risposta. Pazienza. Gliel’avrebbe chiesto comunque. «La sua famiglia era di qui?»
Con un piccolo cenno, Wellan si piegò su una piccola cassettiera di metallo verde su un lato della scrivania, aprì il cassetto più in basso e ne estrasse un faldone impolverato. «I genitori vivevano a… ecco: Castle Vale. Ci vivono ancora, per quanto ne sappia. Aveva preso un appartamento con altri studenti perché andare da qui a lì con i mezzi pubblici, nelle ore di punta, non era certo uno scherzo.»
Kate annuì e poi sollevò lo sguardo su di lui. «Sa niente del suo contesto familiare?»
L’uomo scosse la testa. «Non molto. Sua madre era venuta qui per un open day prima che cominciassero i corsi. Una donna piacevole. Era entusiasta che il figlio fosse stato ammesso.»
La penna di Kate volava sulla pagina. «E il padre?»
Wellan si era appoggiato allo schienale e stava guardando il lucernario. «Mmm… Atteggiamento negativo riguardo all’arte in generale, direi, e riguardo a Woolner in particolare, anche se è solo un’impressione che ho avuto parlando con la madre. Credo che il padre lavorasse da tutta la vita nell’industria automobilistica, quindi non mi sorprende. Il classico tipo di Birmingham che dà per scontato che lavorare significhi unicamente sporcarsi le mani. Questo mi è rimasto impresso perché mi ricorda la mia situazione familiare di quando ero ragazzo. Cambia solo la città.» Tornò a guardare Kate e sorrise. Dal suo accento aveva già capito che Wellan veniva dal nord dell’Inghilterra. «Gli uomini di quel genere tendono a considerare l’arte come un’occupazione da dilettanti. O come roba da effeminati.»
Kate sollevò le sopracciglia a quell’ultima parola, ma passò alla domanda seguente. «Troy si era fatto degli amici qui? Nominava qualcuno?»
«Se ne sarà fatti sicuramente, anche se non ne ricordo nessuno. Alle mie lezioni e durante i laboratori andava d’accordo con tutti.»
Kate osservò ciò che aveva scritto. Per quanto non amasse l’approccio investigativo di Furman, si sorprese a desiderare di ottenere più fatti concreti. «E che cosa mi dice dei suoi coinquilini? Ha niente da dire in proposito?»
Wellan si raddrizzò, dando un’occhiata all’orologio. «Non ricordo neanche i loro nomi. Se mi dà un po’ di tempo, vedo che cosa trovo in archivio e le faccio sapere.»
Kate scrisse il suo numero sul retro di un biglietto da visita dell’Udi e glielo passò, scorrendo nuovamente l’elenco delle domande. «Mi parli dell’ultima volta in cui ha visto Nathan Troy prima della sua scomparsa.»
Wellan si era alzato in piedi e stava frugando nella pila di fogli sulla scrivania. «Aspetti un attimo, devo trovare della roba per il prossimo laboratorio.» Individuò un fascicolo, poi si rivolse di nuovo a Kate. «Non ricordo che sia mai stato stabilito neppure il giorno preciso in cui è scomparso. Tutti hanno pensato che se ne fosse semplicemente andato, compresa la polizia. Capita. Probabilmente lo sa anche lei per esperienza. Aveva quasi vent’anni. Era abbastanza grande per fare le sue scelte.»
Kate si accigliò. «Ma era un ottimo studente. Mi ha detto lei stesso che stare qui gli piaceva. Come mai se ne sarebbe dovuto andare?»
«Questa è una domanda per lei e i suoi colleghi della polizia. Quanto all’ultima volta in cui l’ho visto…» Sollevò le spalle. «Sto cercando di pensarci. Non è facile da ricordare.» Kate vide l’uomo aggrottare la fronte e attese. «Credo che sia stato in occasione di un ricevimento studenti. Se ricordo bene, da qualche parte dovrei avere un appunto.» Abbassò il braccio per riprendere il faldone che stava nel cassetto e lo passò in rassegna, poi disse: «No. Qui non c’è niente. Però le ripeto, mi dia tempo e provo a controllare».
«Riesce a ipotizzare quando può averlo visto in quell’occasione, nel mese di novembre?»
Wellan guardò in alto e poi tornò a osservare Kate. «Un giorno tra l’inizio e la metà del mese.»
Kate dette voce a un’altra idea che le era venuta in mente. «C’è qualche ragione, secondo lei, per cui Troy dovesse andare al Country Park?»
«Nessuna che abbia senso.»
Lei lo guardò dritto negli occhi. «E tra quelle che non ne hanno?»
L’uomo le lanciò un’occhiata e scoppiò a ridere. «Prima che venisse qui immaginavo già che fosse una donna molto determinata.» Si fece serio in viso. «Magari era lì a fare bagordi? Si dice che i ragazzi ci vadano a fumarsi qualche canna.»
«Nathan Troy era dedito a quel genere di cose?»
«Non mi aveva fatto quell’impressione, ma…» si interruppe con un’alzata di spalle «… si sa come sono i ragazzi. Mai scommettere di sapere qualcosa su di loro.»
Kate si appoggiò allo schienale e chiuse il quaderno. Aveva esaurito il suo elenco. Spostò lo sguardo sul lungo piano da lavoro vicino alla parete e sui vari oggetti che vi erano posati sopra: tubetti di tempera, morbidi pennelli nuovi, bicromato di potassio. Poi passò alla parete ingombra subito sopra. Indicò una stampa degli Ambasciatori. «L’ho giusto usata di recente per una lezione. Come esempio di prospettiva distorta.» Tornò a guardare Wellan. «C’era un altro membro della facoltà che aveva a che fare con Troy e con i suoi compagni di corso, giusto?»
Wellan sorrise. «Henry Levitte, il nostro stimato capo a quei tempi. Ora è professore emerito. Passa di qui e se ne va a seconda dell’umore. Lo conosce?»
«Di nome» rispose Kate, decidendo di non dilungarsi.
«Quindi probabilmente saprà anche che è un vecchio stronzo.» Dal cuscino, il cane fece un grande sbadiglio seguito da un uggiolio. «Aspetta, Rupe. Non me ne sono scordato.»
Kate pensò di prendere due piccioni con una fava. «Oggi Levitte è qui?»
Wellan fece una smorfia. «Non l’ho visto e dubito che possa esserle d’aiuto.» Guardò Kate. «Okay, forse sono un po’ troppo duro. Ha passato i settant’anni, quindi ha il diritto di fare quel che gli pare… e lo fa. Ma anche a quel tempo, quando Troy studiava qui, Henry non si interessava granché degli studenti. Dubito perfino che se lo ricordi.»
Sentendo delle voci in corridoio, Wellan si raddrizzò e dette un rapido sguardo all’orologio. Kate si rese conto che c’erano degli studenti che lo stavano aspettando, quindi si infilò il cappotto, raccolse le sue cose e si incamminò verso la porta insieme a lui, oltrepassando un ritratto senza cornice che rappresentava una giovane donna dai capelli scuri, con la pelle olivastra e un neonato in braccio.
«Mi dispiace dover concludere la visita» disse l’uomo.
Kate si voltò a guardarlo. «Grazie per il tempo che mi ha dedicato. Ci farà avere qualunque informazione riesca a trovare?»
«Lo farò.»
Kate uscì dalla stanza e attraversò la piccola folla di studenti in attesa. Mentre si allontanava, sentì la voce di Wellan in corridoio. «Entrate, massa di scansafatiche. Nicki? Comincia a mescolare i colori caldi. Attwood! Prendi Rupe e portalo a fare un giretto per cinque minuti. Muoversi.»
«Grrrr!»
Una volta raggiunta la macchina, Kate mise la borsa nel portabagagli, poi salì e avviò il motore. In attesa che l’aria calda ripulisse il parabrezza appannato, controllò il cellulare. C’era un SMS: Udi caldaia rotta. Vediamoci all’uni. Pensando ancora alla sua conversazione con Wellan, guardò il fosco panorama attraverso il parabrezza, riflettendo su quanto ricordava degli studenti degli anni passati. Ripensò ai primi anni Duemila, all’inizio della sua esperienza di docente. Chiudendo gli occhi, cercò di far riaffiorare il ricordo del suo primissimo corso. Ritrovò un paio di nomi e qualche faccia. Scosse piano la testa. Era difficile. Certo sarebbe stato più facile, se avesse potuto collegare quel corso a un evento significativo del passato, come per esempio una scomparsa e un omicidio.
Inserì la marcia e tolse il freno a mano, mentre la sua mente si soffermava su una sola parola: effeminato.