24
Quel pomeriggio, Kate aprì la porta del suo studio con diverse cartellette sottobraccio. Camminò svelta verso la scrivania e si chinò lasciandole scivolare sul piano, accorgendosi subito dopo del foglietto giallo che vi spiccava sopra: era un messaggio di Julian. Sviluppi a Woodgate. Si ricordò di aver sentito suonare il cellulare mentre guidava verso l’università. Prese il messaggio e andò alla porta comunicante, da cui vide Crystal impegnata a battere rapidamente sulla tastiera del computer. «Julian ha detto altro?»
Lei fece un cenno di diniego. «Solo che ci stavano andando tutti.»
«È meglio che vada anch’io. Non ho nessun appuntamento fino alla lezione delle tre e mezzo, ma se per caso viene a cercarmi qualche studente potresti annotarti il nome e dire che lo ricontatterò io?»
«Certo» rispose Crystal con un sorriso. Sollevò lo sguardo su Kate, gli occhi spalancati. «Ho raccontato di lei e del suo lavoro a mia madre, che si vede sempre tutte le repliche di Cracker. Scommetto a quest’ora saranno tutti a Woodgate ad aspettare che arrivi lei a spiegare cosa è successo.»
Kate sorrise. «Se è così» controllò a che ora era stato lasciato il messaggio: l’una e venti, solo dieci minuti prima «allora è bene che vada a illuminarli. Tornerò in tempo per la lezione.»
Per prima cosa, Kate passò da Rose Road, dove trovò un Julian stizzito. «Sono andati tutti là appena arrivata la notizia e, come sempre, non mi hanno permesso di accompagnarli. Da allora non ho più visto né sentito nessuno.»
«Potresti fare una cosa per me? L’aggressione a Bradley Harper. Fa’ una ricerca completa su tutti i database possibili per vedere se trovi qualunque tipo di descrizione del presunto maniaco.»
Julian annuì. «Lo faccio subi… Ehi, non posso venire con te?»
Kate parcheggiò dietro alla macchina di Bernie e camminò lungo la discesa in direzione del lago, sentendo le voci inizialmente indistinte farsi man mano più comprensibili. I suoi due colleghi erano in piedi nell’area sotto al capanno, mentre gli agenti della Scientifica esaminavano la striscia fangosa sul limitare dell’acqua. Mentre si avvicinava, Kate fu sorpresa di vedere una sagoma muoversi nell’acqua nera. Era un componente della squadra subacquea della Scientifica. Guardò di nuovo. In realtà ce ne erano due. Proseguì fino a raggiungere i colleghi. Senza parole, guardò prima uno, poi l’altro, sentendosi pungere il viso da una pioggerellina ghiacciata.
Joe le fece un cenno. «Un maratoneta che si allenava qui stamattina presto ha chiamato dicendo di aver visto un corpo nell’acqua. Ci è voluto un po’ per trovarlo. Stanno controllando se c’è altro.»
«Ho sempre pensato che tutto quel correre non facesse bene» borbottò Bernie, tirandosi su il bavero del giaccone e voltandosi verso Kate. «Ti sei persa tutta l’azione. Connie se ne è andata dieci minuti fa. Lo ha provvisoriamente identificato dalla foto che ci ha dato la madre.» Non c’era bisogno di chiedere. Bradley Harper. In silenzio fissarono il lago, scuro e tranquillo sotto agli alberi immobili e al cielo color ardesia. Intorno a loro, gli esperti continuavano a lavorare. «Che postaccio per morire, per un ragazzino. Per chiunque, in realtà.» Si sgranchì le spalle. «In ogni caso, ora è con Connie. Farà quel che potrà per lui. E per noi.»
«Ha detto qualcosa sulla causa della morte?» domandò Kate.
Bernie scosse la testa. «Sai già la risposta.»
Seguirono Joe, che si era già incamminato verso le auto parcheggiate. «Tra un quarto d’ora devo presenziare alle esercitazioni di tiro.»
«Ti accompagno io, Corrigan. Poi torno da Stuey Butts.»
Kate sollevò lo sguardo verso di lui. «Lo arresterai, adesso che siamo certi che è stato qui con Bradley Harper?» Bernie spiegò che occorreva muoversi con cautela per via dell’età di Butts e delle possibili complicazioni legali se avessero agito troppo in fretta e senza prove valide. «Spero che Connie ci sappia dire qualcosa presto, poi lo porteremo a Rose Road.»
«Ha dato qualche indicazione su quando potrebbe dirci qualcosa?»
«Domani mattina» rispose Joe. «Dove vai, Rossa?»
«Torno all’università.» Kate tornò alla sua macchina, pensando alla visita che avrebbe ricevuto quella sera. «Voi due siete liberi più tardi? Si cena da me, per gentile concessione di Wong?»
Joe schioccò le dita. «Non posso, accidenti. Devo lavarmi i capelli.» Kate lo fulminò con lo sguardo e lui disse: «Così, era solo per farti sapere che non sono un tipo facile».
Mentre Kate apriva la macchina, Joe vi si appoggiò. «Continuo a pensarci. Due ragazzi marinano la scuola e passano del tempo qui. Trovano Troy sotto al pavimento. Si spaventano. Ma solo uno di loro se la batte.» Sollevò le sopracciglia scure. «Perché non entrambi? Deve esserci stato qualcosa che ha spinto Harper a restare da solo, dopo aver visto i resti di Troy.» Si allontanò dall’auto di Kate. «E considerato che la natura umana è quella che è, immagino che dovesse trattarsi di qualcosa di abbastanza attraente o di valore per far sì che Stuey Butts non si allontanasse troppo.»
Bernie studiò il suo orologio da polso per la terza volta in un quarto d’ora. Voleva andarsene da quel posto con delle informazioni, ma non intendeva divulgare niente della scoperta del corpo di Bradley Harper. Il caminetto a gas ronzava, puntato al massimo, e il fumo saliva a grandi volute verso di lui. Era la seconda sigaretta della signora Butts da quando era arrivato. Dimenandosi per evitare una molla del divano di cuoio rosso su cui era seduto, Bernie passò di nuovo in rassegna la stanza, studiando lo schermo al plasma appeso al muro sopra a un lettore CD e DVD affiancato da casse molto più pregiate di quelle che si sarebbe potuto permettere lui, i cavi che serpeggiavano in mezzo alla polvere del pavimento in laminato. Arricciò le labbra. Poteva tranquillamente indovinare da dove arrivassero i soldi, in quella casa. Quante volte, nel corso degli anni, si era trovato in appartamenti come questo? Sospirò, chiedendosi per quanti anni ancora lo avrebbe fatto. Sapeva che non era il suo lavoro a dargli quei pensieri. Era piuttosto il fatto di avere per capo uno stronzo come Furman. Del resto, se non fosse stato per il suo lavoro, che cosa avrebbe avuto? Gli venne in mente Billington, il giornalista. No. Non sarebbe finito anche lui a fare la spesa e a guardare la televisione tutto il pomeriggio. Inoltre, a differenza di Billington, lui la moglie non ce l’aveva più. Voleva ancora lavorare, ne aveva bisogno. Voleva ancora stare in polizia. I suoi colleghi dell’Udi gli piacevano. Più precisamente, gli piaceva Connie Chong.
Uno stridio metallico riportò la sua attenzione alla stanza in cui si trovava. Vestito come lo scolaro modello che non era, Stuey Butts stava ruotando su se stesso sopra la sedia girevole. Quel ragazzo era un abisso di negatività. Bernie abbassò lo sguardo sui suoi piedi. Quel giorno portava un paio di scarpe con le stringhe. Erano lucidissime e avevano suole spesse. La madre se ne stava ingobbita nella poltrona rossa, a lanciare occhiate furtive a suo figlio e a Bernie.
Mentre il giovane girava sulla sedia trasudando disprezzo e insolenza, Bernie si guardò intorno, in cerca di un diversivo. La sua attenzione fu catturata da un oggetto subito alla sua sinistra, qualcosa che non aveva notato nel corso della visita precedente: uno spazioso contenitore di vetro riempito di vegetazione sopra a uno strato di sassolini. Un rapido movimento al suo interno incuriosì Bernie ancora di più. Non era insolito che le persone a cui faceva visita tenessero creature «esotiche» come animali domestici: ne aveva viste di tutti i colori. Alligatori, tarantole, iguane. Strinse le palpebre per mettere a fuoco qualcosa di piccolo e ricoperto di pelo che pulsava in un angolo della…
«Datti una mossa, Donna!» Il grido proveniente dall’ingresso fu reso ancora più secco dal suono della porta che sbatteva. Bernie guardò la signora Butts, che aveva impedito al figlio di rispondere a qualunque domanda finché non fosse rientrato il marito. Ora era in piedi, il viso e le spalle rigidi. Stuey si immobilizzò all’istante mentre la porta si spalancava. Entrò un uomo di statura media, la pancia gonfia sotto una maglietta a maniche corte ingrigita e un paio di pantaloni da ginnastica assai sciatti. Niente giacca, nonostante il freddo. Quando vide Bernie, l’uomo si fermò. «Che cosa ha fatto stavolta, il bastardo?» domandò, dopo averlo riconosciuto all’istante come poliziotto.
Stuey osservò la madre balzare in avanti, rovesciando il posacenere. «Niente, Wes. Te l’ho raccontato, ricordi? Il signor Watts sta cercando quel Bradley Harper. C’è un piatto pronto per te in…» Il tono suadente si affievolì mentre la donna si affrettava a uscire dalla stanza.
Mentre sentiva una serie di deboli fruscii che provenivano dal contenitore in vetro, Bernie squadrò di nuovo Wes Butts con fare tranquillo. «Il suo Stuey è stata una delle ultime persone a passare del tempo con Bradley Harper il giorno in cui… se ne è andato di casa.» Pensò fugacemente alle possibili implicazioni per Stuey di quanto stava per dire. Ma non c’era scelta. «Il fatto è che non siamo sicuri che ci abbia detto tutto ciò che sa.»
Dopo una gelida occhiata diretta a Bernie, Stuey guardò subito il padre, che in un attimo gli fu sopra, torreggiando su di lui con le mani chiuse a pugno. «No, papà, aspetta! Stavo proprio per…»
«Diglielo! Digli che cosa vuole sapere, bastardo, così questo se ne può andare affanculo e io posso bermi in pace un maledetto tè!» Con il respiro pesante, l’uomo rivolse un’occhiata furente al figlio e poi guardò Bernie, indicando Stuey. «Lo sa qual è il problema con questi qui, oggi, no? Io lo so bene: non fanno mai come gli viene detto di fare. Io l’ho imparato quando ero cadetto: regole. Seguire gli ordini. Disciplina.»
Gli occhi di Bernie scivolarono di nuovo sulla maglietta dell’uomo, sul ventre gonfio, da bevitore. «Da ciò che ho sentito dire, a scuola il suo Stuey non è molto ricettivo riguardo a queste cose.»
Le labbra dell’uomo si arricciarono. «Pensa che me la prenda con il mio ragazzo solo perché qualche insegnante spocchioso dice che ha fatto questo, e quell’altro?»
Bernie richiamò alla mente le parole appena dette da Butts. «È stato nell’esercito?» chiese, scrutando ancora una volta la maglietta sciatta e le scarpe sportive sporche per poi spostare lo sguardo sulle scarpe lucide di Stuey. Si vedeva che in quella casa la regola era «faccio come mi pare».
«Sì. Per un po’.»
Bernie guardò il Butts più anziano e poi il figlio, che cercava di allontanarsi il più possibile dal padre. Ancora un anno o due e in quella casa ci sarebbero stati cambiamenti radicali. Allora sì che i Butts avrebbero passato guai veri. Sempre che gliene fregasse qualcosa, certo. Si rivolse direttamente a Stuey. «Parlami ancora del giorno in cui tu e Harper siete stati al capanno sul lago. Che cosa avete trovato?»
«Ho già detto tutto. È sordo o cosa?» Stuey scansò il palmo della mano del padre abbassando la testa di scatto.
Bernie balzò in avanti, tenendo gli occhi fissi su Butts senior. «Ehi! Vuole prendersi una denuncia per aggressione? Guardi che è sulla buona strada!» Tornò a parlare con Stuey. «Quando avete guardato in quel buco, che cosa avete visto? Di’ la verità, questa volta.»
«Ovviamente sapete che cosa c’era. Quella cosa. Perché vi serve che ve lo dica io?»
Wes Butts distolse lo sguardo dal figlio per posarlo su Bernie. «Di che cosa sta parlando?»
«Lasci stare» sbottò Bernie senza guardarlo, concentrato esclusivamente sul ragazzo. «Parla.»
Stuey disse che non aveva preso niente. Il padre lo fulminò con lo sguardo, il viso contorto in una smorfia metà avida e metà minacciosa.
Bernie fissò Stuey con un’occhiata intensa. Era d’accordo con ciò che aveva detto Joe: doveva esserci stato qualcosa che aveva incentivato Harper a rimanere. Qualcosa che magari aveva fatto tornare indietro anche Stuey Butts. «Sto sempre aspettando di sentire che cosa hai visto sotto a quel pavimento.» La breve descrizione, quando arrivò, corrispondeva a ciò che tutti avevano visto in obitorio. Marrone, incartapecorito, la bocca paralizzata in un urlo muto. Gli occhi di Bernie trapassarono quelli di Stuey. «Adesso dimmi che cos’altro c’era lì sotto.»
«Non c’era…»
Mentre Wes Butts si alzava in piedi, con il viso congestionato, il tono di Bernie si inasprì. «Lei. Stia alla larga.» Poi tornò a Stuey. «Dai. Che cos’altro?»
«Niente!»
Bernie cercò di controllare l’irritazione. «Te la sei data a gambe e poi sei tornato a prendere quella cosa.»
«No!»
Ora Bernie fumava di rabbia. «Sì! O l’hai presa tu o l’ha presa il tuo amico e adesso lui… non c’è più.»
Wes Butts fissò Bernie. «Che cosa ha preso?»
Gli occhi di Stuey Butts guizzarono dal padre all’agente. «Non sono stato io. Non ho preso niente. Niente.»
«Quindi è stato il tuo amico Harper a prendere quella cosa, qualunque cosa fosse! Dai! Che cos’era?»
«Le sto dicendo che non lo so! Quando ho visto quell’altra cosa, quella con la bocca, me ne sono andato.»
«E allora perché tornare?»
«Non sono tornato. Non avete prove, perché non l’ho fatto.»
Bernie si alzò in piedi, abbassando lo sguardo su Stuey. Sapeva che non sarebbe riuscito a fargli dire altro, in quella casa. Avrebbero dovuto portarlo di nuovo in centrale. Non voleva fornire a Butts senior una scusa per punire fisicamente il figlio dopo la sua partenza, quindi fece un cenno di assenso e disse: «Per ora basta».
Si voltò verso Wes Butts, accasciato sulla poltrona. «L’aggressione fisica sui minori, sui propri figli, è un reato. Se lei dovesse fargli del male, io verrò a saperlo. Non è l’ultima volta che ci vediamo. Questa è una promessa.» Bernie voleva andarsene, allontanarsi da quell’atmosfera opprimente.
Mentre andava verso la porta si voltò per fare un’ultima domanda a Stuey. «Che numero hai di scarpe?»
«Che cosa?»
«Il tuo numero di scarpe!»
«Quarantatré, ma…»
Bernie lanciò un’occhiata al padre. «E lei?»
Le sopracciglia pesanti si abbassarono. «Chi vuole saperlo?» Alla vista dell’espressione di Bernie l’uomo tornò sui suoi passi. «Okay, tranquillo. Quarantaquattro.»
Sentendo un improvviso trambusto, Bernie guardò di nuovo dall’altra parte della stanza, dove c’era il contenitore di vetro. La piccola creatura pelosa che aveva visto muoversi in un angolo era scomparsa.