12

Il mattino seguente si avviarono verso il Woolner College a bordo della Range Rover di Bernie, che si era rifiutato di prendere l’auto di Kate: «Quella scatoletta mi mette a disagio». Cominciò a buttarle addosso dei fogli. «Leggi qui. Qualcuno l’ho stampato cercando il sito dell’università su Google e il resto viene dai fascicoli della prima indagine

Kate passò velocemente in rassegna i fogli. «Questo dice che quella di Matthew Johnson è stata una “nomina a sorpresa”, visto che è diventato il successore di Henry Levitte quando era relativamente giovane.» Continuò a leggere facendo qualche rapido calcolo. «Ora ha circa quarant’anni, quindi quando è stato nominato professore ne aveva solo trenta… trentadue.»

«È un buon risultato?»

«Nel mio ambiente è praticamente una cosa mai vista. Sono sorpresa che John Wellan non me l’abbia detto, dato che è stato scavalcato da qualcuno che ha come minimo dieci anni meno di lui. Sicuramente non gli avrà fatto piacere.» Poi proseguì: «Del resto, è possibile che non gliene importasse niente». Tornò alle pagine stampate. «Non c’è molto che riguardi la vita privata di Johnson, a parte un paio di brevi accenni nel corso delle precedenti indagini. Sembra che non abbia dato contributi significativi.» Restituì i fogli a Bernie. «Ci servono dettagli, fatti, qualunque altra cosa Johnson possa offrirci. E abbiamo mezz’ora per ottenerli.»

Alcuni minuti dopo, una segretaria fece loro strada all’interno di una grande stanza rivestita di boiserie in legno. Il professore fece cenno di entrare. Era in piedi dietro a una scrivania, la figura incorniciata da una grande quadrifora affacciata sui giardini del campus. Da lì, la vista spaziava fino al vecchio edificio che, più lontano, ospitava il carillon a campane dell’università. Era impegnato in una telefonata. «Sì, lo so. Sì, capisco. Come ho già detto, me ne occupo io.» Kate osservò i jeans costosi, la camicia e lo stesso Johnson, alto, in forma, leggermente abbronzato. Aveva l’aria di uno che faceva regolarmente esercizio all’aria aperta. Che fosse un corridore, come Wellan?

Conclusa la chiamata, indicò due sedie mentre Bernie faceva le presentazioni. Kate notò il sorriso sicuro di Johnson e la sua voce ben modulata. «Purtroppo come prima cosa devo scusarmi. La mia segretaria si è sbagliata quando vi ha proposto questo incontro. Devo uscire tra…» controllò l’orologio «dieci minuti al massimo.»

Bernie annuì. «Va bene, professore. Arriveremo fin dove avremo tempo e, se ci servirà altro, potrà venire a Rose Road a completare il colloquio.» Ignorando lo sguardo sorpreso dell’accademico, Bernie proseguì. «Nathan Troy. Corpo ritrovato al Woodgate Country Park. Ci dica che cosa sa di lui.»

«Ne ho sentito parlare solo stamattina. Ne ha accennato John Wellan durante l’incontro informativo giornaliero.» Indicò una copia del Birmingham Mail sulla scrivania. «C’è un trafiletto anche qui, benché non venga fatto il nome di Nathan. Che tragedia.» Scosse la testa, fissando prima Bernie e poi Kate. «Che cosa posso dirvi di lui? Non molto, temo.»

Kate gli fece un cenno di incoraggiamento. «Quando eravate studenti dividevate lo stesso appartamento.»

«Sì, ma frequentavamo giri completamente diversi, così come erano diversi…»

«Ci parli dei “giri” che frequentavate, professore.»

Johnson fissò Bernie per qualche secondo, poi passò a Kate. «Io ero molto impegnato con il coro dell’università e anche con il gruppo sportivo. Lo sono tuttora, a dire il vero.» Sfoderò un sorriso affascinante. «Entrambe le cose mi portavano via molto tempo. Non so quali occupazioni avesse Nathan. Capite, non eravamo amici.» Aggrottò la fronte, sollevando in fretta le mani. «Con questo intendo che eravamo semplici conoscenti. La condivisione della casa era una questione di pura praticità…»

«Lo sappiamo. Vorremmo che provasse ad approfondire qualunque ricordo abbia di lui, da conoscente o meno» lo incitò Bernie.

Kate notò un lievissimo rossore farsi strada appena sopra il colletto bianco smagliante della camicia di Johnson. Scosse la testa. «Mi dispiace. Non posso dirvi cose che non so. Sono stato secco e conciso, ma solo nel tentativo di essere efficiente.» Guardò di nuovo l’orologio.

Bernie annuì. «La maggior parte delle persone parla con noi cercando di essere aperta e disponibile ad aiutarci, professore.»

Ci fu un breve silenzio in cui Kate guardò Johnson inspirare. «Sentite, mi pare chiaro che siamo partiti un po’ con il piede sbagliato.»

«Forse potrebbe aiutarci a capire come mai sembra non sapere nulla di quello che faceva Nathan Troy all’epoca» suggerì lei.

Lui fece spallucce. «Come ho detto, avevamo interessi diversi ed è passato tantissimo tempo, no?»

Kate annuì. «Per la sua famiglia il dolore è vivo come se fosse ieri.»

Lui abbassò lo sguardo sulla scrivania, il viso contratto. «Io e Nathan non avevamo socializzato molto, ma nelle rare occasioni in cui ci capitava di stare insieme lo trovavo una persona gradevole. Per quanto ricordi, andava bene negli studi.» Sollevò le spalle, aprendo entrambe le mani. «È Wellan la persona con cui dovete parlare di queste cose.»

«Lei e Nathan seguivate lo stesso corso? Belle arti?»

«Sì. Però ciascuno aveva le proprie inclinazioni. A me piaceva la pittura a olio, a lui l’acquarello e lo schizzo a penna. Eravamo nella stessa università, ma niente di più.»

«Eravate anche nello stesso corso» gli ricordò Kate.

L’uomo la fissò in silenzio. «Seguivamo le stesse lezioni in classe, ma frequentavamo laboratori diversi.»

«I laboratori erano con John Wellan?» L’uomo annuì con decisione. «A lei e a Nathan piacevano?»

«Non posso parlare per Nathan» sbottò lui. «Sempre che abbia una qualche importanza, personalmente trovavo piacevoli le lezioni e i seminari del dottor Wellan…» Si interruppe, con un’espressione di disapprovazione dipinta sul volto. «Ma considerato che lei è una collega e che Wellan fa ancora parte del personale di facoltà, trovo che questa domanda sia piuttosto inopportuna.»

Kate rimase imperturbabile. Stava ripensando alla conversazione che lei e Joe avevano avuto con i genitori di Nathan. «Si ricorda i nomi di qualche compagno di studi comune?» Johnson non rispose. «Per esempio Joel Smythe?»

Dette un’alzata di spalle. «Che dire di lui? Seguiva un altro corso.»

«Alastair Buchanan?»

Johnson stava iniziando ad assumere un’aria preoccupata. Kate lo vide dare un’altra rapida occhiata al polso sinistro. «Stessa cosa anche per lui.»

Kate annuì lentamente. «Può dirci qualcosa di una giovane studentessa che era particolarmente amica di Nathan? Si chiamava Cassandra.»

L’espressione di Johnson si indurì, dopodiché si alzò in piedi. «Non vedo come possa aiutarvi nella vostra indagine su Nathan, e non capisco l’utilità di elencare una serie di nomi che risalgono ad anni fa…»

Bernie gli lanciò un’occhiataccia. «Potrebbe fornirci delle informazioni di sua volontà, anziché costringerci a tirargliele fuori a forza. A partire dagli studenti di cui magari era amico. Immagino che ne avesse, di amici, no?»

Concentrandosi sul viso di Johnson, Kate si rese conto che era molto scocciato. Lo vide stringere convulsamente le mani e massaggiarle l’una con l’altra, la fede d’oro all’anulare sinistro. Poi qualcuno bussò rapidamente alla porta e comparve un viso di donna.

«Dovreste andare.» Scomparve.

Johnson sollevò una valigetta sulla scrivania. «Ho risposto alle vostre domande meglio che potevo e temo che questo sia tutto il tempo che posso concedervi.» Indicò loro la porta.

Bernie lo guardò con fare tranquillo. «Torneremo, professore. Che ne direbbe se la prossima volta ci vedessimo quando il lavoro non le mette fretta?»

«Vi assicuro che non importa dove ci rivedremo, non avrò altro da aggiungere.»

Bernie seguì Kate oltre la porta, ma si fermò e si voltò verso Johnson. «Spesso capita che le persone ricordino maggiori dettagli, la seconda volta. Che ne direbbe se ci vedessimo a Rose Road? O magari a casa sua? Un ambiente più rilassato, eh?» Dall’espressione di Johnson era evidente che nessuna di quelle proposte era un’opzione a lui gradita. Bernie lo stava ancora fissando, con un sopracciglio sollevato. «Sua moglie… ha studiato qui?»

La risposta di Johnson, quando arrivò, fu decisa. «No.»

La Range Rover avanzava con in sottofondo il costante ronzio del motore. Kate stava ascoltando Bernie esprimere la sua opinione sul colloquio mentre la periferia della città scorreva accanto a loro. «Ha iniziato con modi abbastanza gentili. Poi si è messo sulla difensiva. Non aveva voglia di parlare dei bei vecchi tempi da studente del Woolner College o sbaglio? Perché, secondo te?»

Kate sorrise. «È un bell’uomo. E se fosse stato un dongiovanni, a quei tempi?»

«Esatto. Dà l’impressione di essere rigido ma penso che ai tempi, probabilmente, fosse una persona piena di amici. Anche se, a quanto dice, Troy non faceva parte di quel gruppo. Al punto che quasi non esisteva per lui, se prendiamo per buone le sue dichiarazioni.» Le lanciò un’occhiata. «Che cosa stai pensando?»

«Non gli andava l’idea che potessimo andare a trovarlo a casa, vero?» disse Kate.

Bernie sogghignò. «Forse non vuole che sua moglie senta che cosa combinava negli anni Novanta. Vuole che qualunque cosa abbia fatto al Woolner rimanga tra quelle mura.»

Johnson si alzò, dando le spalle alla grande finestra istoriata, ripensando alla conversazione avuta pochi minuti prima, poi prese il telefono. Quando risposero alla sua chiamata, parlò a voce bassa. «Hai un problema.»

«Ah, sì? E chi lo dice?»

«Lo dico io. Le domande erano molto dirette.»

«È così che fa la polizia.»

«E stare sul vago non ha aiutato per niente. Torneranno. Non molleranno. Soprattutto lei. Tutto questo non ha niente a che fare con me e…»

«Sei un bastardo ingrato con la memoria troppo corta. Ne riparleremo.» Fine della telefonata.

Niente di umano
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