14

La Volvo correva nella luce chiara di quel mercoledì mattina, mentre una melodiosa voce maschile saliva dal lettore CD. Love is the sweetest… Joe era concentrato sulla strada davanti a sé, seguendo il percorso silenziosamente indicato dal navigatore.

«Chi è questo?» chiese Kate.

«Al Bowlly and the Ray Noble Orchestra. Registrato nel 1932.»

«Americano?»

«Mm-mm. Inglese. Lavorava a New York negli anni Trenta. Mia nonna era una sua ammiratrice e in famiglia sentivamo i suoi dischi quand’ero piccolo.» Kate ascoltò con attenzione. Joe non parlava quasi mai della sua famiglia. A parte una volta, dopo la chiusura dell’ultimo caso che avevano seguito, quando le aveva raccontato di essere divorziato e di avere una figlia poco più che ventenne che viveva a Boston.

«Che fine ha fatto?»

«Se n’è tornato in Inghilterra all’inizio della seconda guerra mondiale. È morto quando gli è piombata addosso una bomba paracadutata per gentile concessione della Luftwaffe.» L’auto rallentò e Joe guardò fuori dal finestrino. «Siamo arrivati.»

Kate si voltò. Si trovavano davanti alla parte centrale di un grazioso gruppo di case in pietra dipinta di bianco che fiancheggiavano la strada curva, con tanto di eleganti finestre a ghigliottina ai piani inferiori. Sulla porta di una di queste case c’era un uomo ben vestito che li osservò uscire dalla macchina. «Molto carino» disse Kate, quasi senza muovere le labbra.

«Aristocratico» commentò Joe nello stesso modo, sapendo che Kate si stava riferendo all’edificio. Calpestarono la ghiaia del vialetto d’accesso. «Il signor Buchanan? Alastair Buchanan?»

L’uomo annuì. «Entrate.»

Joe e Kate lo seguirono all’interno, per un lungo corridoio che attraversava il centro della casa, fino a una grande cucina. Joe fece le presentazioni mentre Kate, senza dare nell’occhio, studiava la cucina verde scuro, le dispense lucide e la lunga isola centrale, con le sospensioni metalliche appese ad alcune catene fissate al soffitto.

Buchanan rivolse un’occhiata inquisitoria a entrambi. «Da quando mi avete chiamato continuo a chiedermi quale possa essere la ragione della vostra visita. Caffè?»

Kate annuì. «Grazie.» Mentre Joe con fare noncurante si avvicinava a una finestra per guardare fuori, Kate studiò l’arsenale di utensili da vero cuoco messi in bella vista. Non era roba da poco. Rivolse un ampio sorriso a Buchanan, passando una mano leggera sul piano di mogano liscio del bancone. «Ha una bella casa, signor Buchanan.»

«Ci sono voluti mesi solo a mettere insieme questa cucina.» Buchanan batté sul bancone. «Questo è arrivato da una vecchia farmacia dell’ovest della Francia.»

Kate rispose con un rapido cenno e un’altra carezza alla pastosa superficie di legno. «Sta benissimo qui. Deve averci lavorato sodo.» Kate aveva già effettuato un primo esame fisico della persona che aveva davanti. Poco più di quarant’anni, non troppo alto; capelli ancora scuri, forse un po’ ingrigiti sopra le orecchie, una lieve stempiatura. Era di bell’aspetto, o almeno lo sarebbe stato se avesse sorriso, ed era chiaramente un uomo che amava gli oggetti rari ed esclusivi e che aveva i mezzi per acquistarli. L’attenzione di Kate passò poi al torace. Non era grasso, ma con il passare degli anni avrebbe dovuto fare attenzione alla dieta.

«Zucchero? Latte o panna?» Kate scelse il latte per sé e per Joe, che era ancora alla finestra e dava loro la schiena, ma che sicuramente stava ascoltando. «Una quindicina d’anni fa tutto questo complesso stava cadendo a pezzi, ma poi l’azienda l’ha recuperato e restaurato e adesso è “casa dolce casa”.» Con un vassoio in mano, Buchanan fece loro cenno di sedersi a un lungo tavolo di faggio.

Si misero a sedere e Joe esordì. «Quando le ho telefonato le ho detto che avevamo bisogno di parlarle di un caso riaperto dall’Unità delitti insoluti.»

Buchanan annuì. «Mmm… Molto affascinante.»

«Stiamo indagando su un omicidio, signor Buchanan» disse Kate, gli occhi fissi sull’uomo. Non vide reazioni a livello facciale, ma percepì una tensione improvvisa nella parte superiore del corpo. Che il loro caso fosse arrivato addirittura ai giornalisti di Worcester? «La vittima è una persona che lei ha conosciuto: Nathan Troy.» Buchanan posò la tazza sul piattino e abbassò gli occhi, ma non fu abbastanza veloce: Kate si era accorta che gli si erano dilatate le pupille. «Speriamo che lei possa fornirci delle informazioni su di lui. Lei e Nathan Troy studiavate insieme al Woolner College circa vent’anni fa?»

L’uomo annuì. «Povero Nathan. Incredibile… Ed è passato così tanto tempo. Prima o poi ci si chiede dove siano andati a finire tutti questi anni.» Guardò Kate. «In effetti, ciò che ha appena detto non è del tutto vero. Non studiavamo insieme. Avevamo scelto corsi diversi. Io ero ad architettura, lui aveva scelto qualcos’altro. Non ricordo bene cosa.» Dopo tutte quelle parole rimase in silenzio.

Kate attese. Visto che Buchanan non aggiungeva altro, disse: «Lei e Nathan Troy eravate coinqulini».

Lui annuì brevemente. «Lo siamo stati per qualche mese.»

«Per più di un anno accademico, da quel che ne sappiamo» intervenne Joe. «Ci dica qualcosa di lui.»

Buchanan sospirò. «Be’… come ho detto, è un po’ uno shock… E purtroppo, sapendo che avete fatto tanta strada per venire qui, sono spiacente di non potervi dire molto. Viveva al primo piano di una casa che avevamo preso in affitto in gruppo. Io stavo al pianterreno.»

Kate decise di continuare con l’approccio paziente. Per il momento. «Sì, lo sappiamo. Eravate in quattro: Nathan Troy, Matthew Johnson, Joel Smythe e lei.»

«Esatto. Avete parlato con gli altri?»

Kate sollevò le sopracciglia. «Perché ce lo chiede?»

Si strinse nelle spalle. «Perché Matthew Johnson seguiva lo stesso corso di Nathan, quindi probabilmente saprebbe dirvi qualcosa di più. Come ho detto, io praticamente non lo conoscevo…»

«Le informazioni che sta iniziando a ricordare sono utilissime» lo rassicurò Joe. Buchanan strinse le labbra, perdendosi con lo sguardo fuori dalla finestra.

Kate decise che un po’ di incoraggiamento poteva essergli d’aiuto, quindi gli fece un sorriso. «Ci racconti tutto ciò che si ricorda di Nathan Troy, non importa se le pare di dire cose irrilevanti. Le saremo grati per qualunque informazione.» Attese di nuovo, lanciandogli solo un’occhiata di striscio, e accorgendosi che Buchanan era molto preso a riflettere. Che cos’è che gli dà tanto da pensare? Sospirò silenziosamente, decisa a trattarlo bene. Dopotutto, era vero che gli stavano facendo domande riguardo ad avvenimenti di un lontano passato.

«La ragione per cui non posso dirvi molto è il fatto che in quella casa non lo si vedeva quasi mai.»

Kate gli rivolse un’espressione sorpresa. «Perché no?» domandò Joe.

«Era quasi sempre fuori.»

«E dove andava?»

«Non ne ho idea.»

Kate sentì per la prima volta una piccola fitta di irritazione. «Signor Buchanan, voi quattro dovete per forza aver interagito almeno un po’ ogni giorno.» L’uomo non rispose, così Kate proseguì, enfatizzando le sue parole con un picchiettio leggero delle dita sulla superficie del tavolo. «Frequentavate la stessa università. Dividevate la stessa casa. Mangiavate lì. Usavate la stessa cucina e lo stesso bagno. È impossibile che non vi siate mai incrociati.»

«È come ho detto prima, io e Nathan seguivamo corsi diversi e in altre occasioni non avevamo grandi contatti perché lui non c’era quasi mai. Tornava tardi.»

Kate stava cominciando a perdere la pazienza. Lo fissò intensamente. «So per esperienza che è tipico della vita da studenti.» Buchanan distolse lo sguardo.

Joe cambiò argomento. «Che impressione aveva di Troy come persona?»

Con il passare dei secondi, Kate vide che Buchanan stava cominciando ad apparire stressato. «Non so che cosa vogliate da me. Davvero, non so che cosa dire. Era giovane… non lo eravamo tutti? Si faceva vedere poco.»

«Questo l’abbiamo già capito» rispose Kate. «Ci dica che tipo di persona le era sembrato nelle occasioni – a quanto pare rarissime − in cui vi capitava di stare insieme.» Lo fissò dall’altra parte del tavolo, decisa a ottenere una risposta a quella ragionevole domanda.

Appoggiandosi sul tavolo con le braccia conserte, Buchanan guardò Kate e poi Joe. «Okay, questa cosa sembrerà brutta, ma visto che continuate a chiedere, ecco qui. Nathan non era simpatico. Non era una persona piacevole.» Aspettarono. Kate era confusa. «Non che voglia dire male dei morti o cose simili, ma Nathan Troy era un buzzurro, se capite cosa intendo.»

Kate vide Joe aggrottare la fronte e guardò Buchanan. «No. Voglio sapere esattamente che cosa intende.»

L’uomo la squadrò con un ghigno, indirizzando la frase successiva a Joe. «Mi piacciono le donne che sanno cosa vogliono. E a lei, tenente?»

Kate strinse le labbra. «Ci parli di come Nathan Troy fosse un “buzzurro” e di qualunque altra cosa si ricordi al riguardo» ingiunse, ormai senza più curarsi di nascondere la sua irritazione.

Negli ultimi secondi Buchanan si era un po’ ricomposto e si mise comodo, appoggiandosi allo schienale della sedia. Aveva deciso che informazioni dare e ci sguazzava dentro come un pesce. «Nate Troy era un tipico esemplare di sottoproletario arrivato dall’istituto tecnico. Non c’entrava niente con il Woolner e lo sapeva bene.» Fece una pausa e Kate vide in quell’uomo la boria che traspariva dal ritratto che le aveva mostrato Rachel Troy. Le parole successive furono pronunciate in tono secco. «Si drogava. Era sempre a far baldoria. Era un ladro.» Vedendo che Kate era scioccata, il viso di Buchanan assunse un’espressione soddisfatta. Sollevò la tazza e bevve.

Lei lo guardò. «Sono parecchie informazioni, considerando che vi conoscevate appena.»

L’uomo la fissò per un istante, poi posò la tazza. «Io avevo deciso di non conoscerlo.»

«Che droghe prendeva? E che cosa aveva rubato?»

Buchanan parve impaziente. «Ma che ne so. Non avevo niente a che fare con lui. All’epoca avevo sentito dire che andava ai rave. Che prendeva l’ecstasy.» Kate attese. «Non mi ricordo che cosa avesse rubato… Sospetto che mi avesse preso un orologio.»

«Lei denunciò il furto?» domandò Joe.

Buchanan apparve sorpreso. «Che cosa? No. Era solo un Rotary che mi avevano regalato i miei quando mi avevano preso al Woolner.»

«Che cosa le fa pensare che fosse stato Nathan Troy a rubarlo?» insisté Kate, vedendo l’arroganza nel suo sguardo. Era una gran fortuna che Bernie non fosse con loro, pensò, visto che per il collega la gente snob era un po’ come il drappo rosso per il toro.

«Vi ho già spiegato chi era: un proletario disadattato.»

«A noi hanno detto che era uno studente eccellente» disse piano Kate.

«Temo di non poter commentare. Non seguivamo lo stesso…»

«Questo ce l’ha detto il suo tutor, il dottor Wellan.»

«Johnny Wellan?» schernì Buchanan. «Era famoso per la sua propensione a vedere il talento artistico dove non c’era.»

Kate lo guardò, fredda. «E potrebbe ipotizzare perché, secondo lei, Nathan Troy è stato ucciso?»

Le sopracciglia scure di Buchanan si sollevarono all’improvviso. «Io? No di certo. Solo Dio può saperlo. Forse quella sera è uscito e ha incontrato qualcuno sgradevole quanto lui.»

Joe lo guardò con insistenza. «E di quale sera si tratterebbe?»

«Qualunque sia stata la sera in cui è uscito senza più tornare a casa» ribatté Buchanan, senza perdere un colpo.

Joe continuò a fissarlo. «Lei presume dunque che sia stato ucciso al tempo della scomparsa, nel 1993?»

Gli occhi dell’uomo guizzarono da Joe a Kate e viceversa. «Avete detto…»

Joe scosse la testa. «Noi non abbiamo specificato quando è morto. Troy sarebbe potuto ricomparire dopo il 1993 ed essere stato ucciso più avanti.»

Anche Kate stava osservando Buchanan. Sembrava sulla difensiva. «Voi avete detto eccome di aver riaperto una vecchia indagine… di aver trovato un corpo. Okay, forse ho dato per scontato che sia morto poco dopo essere scomparso. Sarebbe logico, no?» Kate contò quindici secondi di silenzio prima che Buchanan chiedesse dov’era stato ritrovato il cadavere di Troy.

Glielo disse. «Conosce il Woodgate Country Park?»

«No. Praticamente non sono più tornato a Birmingham da quando me ne sono andato. Non è il mio genere di posto.»

Lei annuì. «Però sa che si trova a Birmingham?»

«Ci ho abitato per tre anni, ricorda?»

«Ci dica che cosa si ricorda delle precedenti indagini riguardo alla scomparsa di Troy» lo invitò Kate.

Buchanan bevve un sorso di caffè ormai freddo e poi fece un breve resoconto della visita della polizia nella casa degli studenti dopo la scomparsa. Stando a lui, nessuno dei coinquilini era stato d’aiuto.

Kate cambiò argomento. «Ci parli di una ragazza amica di Troy all’epoca. Una studentessa di nome Cassandra.»

A quel nome, il viso di Buchanan si fece sdegnoso: era una «che aveva mollato il Woolner» ma che continuava a bazzicare il campus.

«La conosceva bene?» chiese Joe.

«Io no. Ogni tanto si faceva vedere a casa nostra. Noi la tolleravamo. Era stramba. Per lei, qualunque uomo…» Si appoggiò allo schienale, il viso cupo.

Kate lo incitò. «Qualunque uomo…?»

«Non ci mischiavamo con gente come lei. È tutto ciò che posso dire.»

Ora Kate voleva andare fino in fondo. Era convinta che Buchanan fosse stato sul punto di dire che la ragazza aveva una vita promiscua. «Lei e gli altri coinquilini avevate delle relazioni stabili con ragazze, a quel tempo?»

L’uomo rivolse a Joe un ghigno malizioso. «A diciotto, diciannove anni? Improbabile!»

«E quindi come facevate a soddisfare le vostre esigenze sessuali?»

Buchanan parve sconvolto per un attimo, ma si ricompose rapidamente e lanciò un’altra occhiata a Joe. «Mi pare un po’ troppo diretta come domanda da porre in una conversazione, dottoressa Hanson.»

«Questa non è una conversazione, signor Buchanan.»

L’uomo la guardò e poi distolse lo sguardo. «C’erano una o due ragazze… occasionali.»

«Nomi?»

«Non me li ricordo» disse lui in modo ugualmente brusco.

Kate abbandonò l’argomento, lasciando vagare lo sguardo sulle pareti della cucina. «Questa è una bella casa per una famiglia. È sposato?»

«No.» La sua voce ormai si era fatta aggressiva. «E lei?»

Kate lo guardò dritto negli occhi. «Sembra che non abbia capito la situazione, signor Buchanan. Nel caso in cui la morte di Troy sia stata causata da un crimine, lei è un potenziale testimone. Qualunque domanda le facciamo a questo proposito è legittima, mentre la mia situazione personale non ha alcuna rilevanza.» Buchanan distolse lo sguardo.

«Prima ha citato l’impresa che ha restaurato queste case» disse Joe. «Di quale azienda si tratta?»

Buchanan tornò a guardare Kate. «Se proprio volete saperlo, e non ne vedo l’utilità, è la mia impresa immobiliare.»

Joe annuì lentamente. «È così che si guadagna da vivere? Lavorando come architetto per ristrutturazioni immobiliari?»

Lui scrollò le spalle, con fare guardingo. «In parte. Il mio studio si occupa anche di restauro. Quando viene demolito qualcosa per ricostruire daccapo e vengono trovate delle mura medioevali o un mosaico romano, vengono da noi. Prima di passare ad architettura ero iscritto ad archeologia. Aiutiamo i clienti a orientarsi in una miriade di normative, ci occupiamo dei ritardi nei lavori per conto loro.» Kate stenografava rapida, ascoltando il flusso costante delle informazioni. Quanta facilità nel parlare, se l’argomento lo mette a suo agio.

«E il suo compagno Joel Smythe?» domandò Joe. «Ha trovato un lavoro nel campo dell’archeologia dopo l’università?»

«Non ne ho idea. Dopo aver finito gli studi abbiamo perso i contatti.»

Guardò un orologio appeso lì vicino, ma Joe gli fece un’altra domanda. «Nathan Troy aveva mostrato interesse per qualche ragazza dell’università?» Osservò il viso impassibile di Buchanan.

«Non ne ho idea.»

Erano in autostrada, sulla via del ritorno verso Birmingham. Kate stava osservando il paesaggio campestre che sfrecciava accanto a loro mentre ascoltava la voce di Joe. «Quei ragazzi hanno convissuto per oltre un anno. Devono aver fatto qualcosa insieme.»

Kate annuì. Anche lei voleva sollevare delle questioni legate a Buchanan. «Ti sei accorto di quanto sia diventato loquace quando ci parlava di argomenti non direttamente collegati a Nathan Troy?» Aggrottò la fronte. «Inoltre, ciò che ha detto di lui come individuo mi ha veramente sorpresa. Non mi ero resa conto di essermi fatta un’opinione così positiva su Nathan. La mia reazione iniziale è stata di non dare credito alle parole di Buchanan, ma… suppongo ci sia la possibilità che sia stata poco obiettiva.»

«Forse ti sono piaciuti molto i suoi genitori» suggerì Joe, cambiando corsia per superare un veicolo troppo lento.

«E tu come giudichi Buchanan?»

«Restio a fornire informazioni.»

«Molto. Al punto di voler eludere le domande. Ti è piaciuto?»

«Per niente.»

Kate tornò a osservare il panorama, pensando alla riluttanza di Buchanan. E a ciò che aveva quasi detto riguardo alla ragazza di nome Cassandra. O aveva frainteso anche quello?

Dopo aver trascorso il pomeriggio all’università, Kate entrò in casa e venne accolta da un bombardamento di lamentele da parte di Maisie. «Mamma, devi fare qualcosa. La connessione a Internet in questa casa fa schifo. Ci vogliono ore per andare su Google e io e Chel lunedì abbiamo la verifica di storia.» Si incamminò verso l’ingresso. «Adesso la chiamo e le chiedo se più tardi posso andare da lei a ripassare.»

Kate si tolse il cappotto e andò al frigorifero, cercando qualcosa di commestibile negli scomparti. «Prima di farlo, per favore, potresti prendere due grosse patate dalla dispensa? Inoltre, per quanto mi riguarda, la nostra connessione va più che bene.»

Maisie andò in dispensa bofonchiando e tornò con le patate. «Mamma, fidati, per una della tua età è già molto che Internet esista. Non ti accorgi di quanto è lento.»

Kate esaminò la posta del giorno, che Phyllis aveva impilato sul banco in granito. «Mmm… sarà perché ai vecchi tempi dovevamo aspettare che si accendessero i fornelletti dei nostri computer.»

«Fornelletti?» Maisie mise il broncio. «Ha ragione papà. Ti rifugi nel sarcasmo.»

«Ma davvero.» Kate lasciò stare le lettere e prese ad affettare della frutta, premendone i pezzi nella centrifuga con fin troppa decisione. «La connessione in questa casa è veloce quanto quella dell’università.» Più o meno.

Mise un bicchiere di succo appena spremuto in mano a Maisie e la ragazzina se ne andò dalla cucina a grandi passi, scrollando i capelli e sollevando un’ultima polemica: «Un’altra cosa. Quando avrò il permesso di usare Facebook?».

«Quando avrai almeno tredici anni» rispose Kate nella cucina ormai vuota. Poi abbassò la voce. «Ma preferibilmente quando ne avrai trentacinque e con le modalità che dico io. Niente foto sul profilo e sotto monitoraggio costante

«Non ho capito» disse Phyllis, che entrava in quel momento.

«Parlavo tra me.»

Cinque minuti dopo, Phyllis se ne era andata e Kate si ritrovò sola in cucina a riflettere sull’incontro avuto con Alastair Buchanan e sulla sua riluttanza al dialogo. Guardò fuori dalla finestra: ormai si stava facendo buio. Riconobbe la possibilità che l’opinione di Buchanan su Nathan Troy fosse più accurata di quella espressa dai suoi genitori. Riconsiderò l’atteggiamento dell’uomo durante il colloquio. L’aveva sfidata. A volte si era mostrato troppo sicuro di sé. Sospirò. Perché sono una donna?

Mentre la sua mente passava di nuovo in rassegna l’incontro con Buchanan, le venne in mente un dettaglio emerso durante le precedenti discussioni con l’Udi: la vicinanza tra il Country Park e l’autostrada. La M5 correva accanto a uno dei confini del Woodgate Country Park per poi proseguire a sud, verso Worcester.

Worcester. Buchanan.

Niente di umano
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