60
Era un ripostiglio piccolo e freddo, con giusto un filo di luce che penetrava da una stretta finestra all’estremità opposta. Kate scese i tre bassi gradini e si trovò in mezzo a una serie di scatoloni, le orecchie tese mentre respirava l’aria stantia. Nient’altro che un profondo silenzio. Sollevò il coperchio di una delle scatole. Vuota. Ne sollevò un altro. Pieno di scarpe vecchie di ogni foggia e misura, da grandi scarpe stringate in stile Oxford a scarpine di cuoio da bambino con il velcro. In fondo alla stanza c’era una rastrelliera appendiabiti tutta piena di vestiti. La luce cadeva su una manica lunga e biancastra. Kate si avvicinò e sollevò la stoffa sottile e ruvida. Era buratto. Lì accanto era appeso un pesante giaccone nero da uomo. Perché usare una stanza segreta per tenere vecchi vestiti malconci?
Si voltò verso un’altra scatola dal coperchio semichiuso. La vista del suo contenuto la lasciò di stucco: maschere di ogni genere e modello, alcune con la cerniera, altre con complesse decorazioni di borchie. Tra di esse sporgevano bacchette di legno con maniglie e diverse «code» di pelle. Lasciò cadere il coperchio e ne sollevò un altro. All’interno c’era un’infinità di buste di plastica. Fissò le pasticche rotonde all’interno, molte delle quali recavano impresso il muso di gatto stilizzato che aveva visto anche a casa sua. Era circondata dal contenuto dell’armadio al piano superiore. Era stato messo lì, al sicuro. In un luogo segreto. Finché non ce ne fosse stato bisogno.
Tornò a guardare la rastrelliera appendiabiti e vide che dietro c’era una scaffalatura bassa e polverosa piena di vecchi giocattoli. Cassandra era stata in quella stanza e probabilmente in quella al piano superiore. Kate fece un passo in avanti e sentì qualcosa di liscio sotto i piedi. Abbassando lo sguardo, vide una scatola da scarpe rovesciata su un fianco, il coperchio a una certa distanza e il contenuto sparpagliato a terra. Si inginocchiò a raccogliere le fotografie e, con orrore crescente, rimase a fissare le immagini di giovani corpi pallidi tra quelli più maturi di alcuni uomini…
Tic tic tic tic.
La testa di Kate scattò di colpo in direzione della porta, gli occhi sbarrati. C’era qualcuno. Dentro la casa. Con gli occhi sulla porta quasi chiusa e le orecchie tese, Kate immaginò un paio di piedi grassocci costretti nelle scarpe con il tacco a spillo attraversare l’ingresso. Rimase in ascolto. Ora niente. Non un fiato. La porta si allontanò lentamente, solo di qualche centimetro, dallo stipite.
«Questi li porto dentro, signora?»
Kate sobbalzò alla forte voce maschile proveniente dall’ingresso, quasi subito seguita da un’altra voce appena oltre la porta del ripostiglio, una voce irritabile e familiare. «Li appoggi lì e faccia attenzione! In quella c’è della roba di vetro. Quant’è?»
«Undici sterline.»
Kate ascoltò il ticchettio che si allontanava. Il rumore di altri passi, più pesanti, si affievolì, seguito da quello della porta che veniva chiusa e dal rombo attutito di un motore diesel che veniva avviato. Kate stava respirando a malapena. Era nei guai, e lo sapeva. Conosceva abbastanza quella donna da poter prevedere la sua reazione quando avesse scoperto che si era introdotta in casa sua. Doveva rimanere in attesa. E quando se ne fosse andata, avrebbe dovuto prendere una parte di ciò che aveva visto, come prova.
Con gli occhi fissi sulla porta, si inginocchiò e passò le mani sul pavimento, sollevando una manciata di fotografie per infilarsele in tasca.
«Vieni fuori, vieni fuori, dovunque tu sia…» All’udire la voce che canticchiava, Kate rimase pietrificata. Le foto le scivolarono di mano. Sa che sono qui. Come è possibile? Ha visto il coniglio! Ha capito che è successo qualcosa. Sta per entrare. «Roderick? Ohhh, Ro-de-rick? Ti hanno lasciato andare?» La voce che fluttuava dall’ingresso, appena oltre la porta, si fece truce. «Dai, bastardello sfigato. Voglio sapere che cosa ti ha detto la polizia. E che cosa gli hai detto tu.»
Kate era irrigidita, le orecchie tese ad ascoltare la voce che si allontanava e il ticchettio dei tacchi che si interrompeva. Che cosa sta facendo? Sta salendo di sopra? Se è così, presto tornerà. O è uno stratagemma per farmi uscire? Quasi stordita dalla tensione, Kate si alzò in piedi, costringendosi ad aspettare. Dopo altri due minuti non ce la faceva più. Non poteva rimanere lì. Non solo Theda Levitte doveva aver visto il coniglio. Doveva aver visto anche che la grande sala al piano di sopra era aperta. Era già stata davanti a quella porta e Kate poteva immaginare cosa doveva aver pensato afferrando la maniglia. Sarebbe tornata.
Kate sapeva di dover fare qualcosa. Stava quasi per raggiungere la porta dello stanzino, ignara di cosa avrebbe fatto dopo, quando il ticchettio dei tacchi tornò a farsi sentire. Si fermò, senza respirare, ascoltando il suono avvicinarsi e poi allontanarsi. Infine un altro forte colpo della porta d’ingresso seguito dal rombo attutito di un potente motore che si allontanava. Aggrottò la fronte. La Mercedes. Theda Levitte se ne stava andando. Dopo un minuto di attesa che le parve interminabile, Kate uscì nell’atrio. Era vuoto. Tutto taceva come prima. Doveva tornare indietro, raccogliere il maggior numero di prove possibile e in particolare una cosa che, si rese conto proprio in quel momento, avrebbe avuto un ruolo chiave nell’indagine. Riattraversò la stanza di corsa, raggiungendo gli abiti appesi. Tese una mano e toccò la spalla della giacca nera. Pesante, pratica, poco costosa. Di un genere che nessuno in quella casa avrebbe acquistato. Vi fece scorrere sopra una mano. Nathan Troy si era trovato in pericolo di vita, nella villa di Hyde Road. E quel giorno Cassandra aveva visto la sua giacca e tutte le altre cose contenute nel ripostiglio.
Kate sentì di nuovo il suono di rapidi passi attutiti che attraversavano l’atrio e si fermavano davanti alla porta. Voltandosi, vide che si stava aprendo. La giacca le scivolò di mano e cadde a terra.