56

Il lunedì mattina presto, alla luce abbagliante del sole invernale, Kate corse su per i gradini ed entrò nel grande atrio deserto del Woolner per poi proseguire sulle scale. Le indagini potevano solo trarre beneficio da informazioni di natura storica e lei era lì per ottenerle dall’unica persona che pensava gliele avrebbe fornite. Anche se era ben lontano dai pettegolezzi accademici. Bussò alla porta e guardò all’interno della stanza. Wellan era solo. Le fece cenno di entrare. «Benvenuta nel mausoleo. Le lezioni sono ancora sospese, quindi sto recuperando un po’ di tempo con le tesine e i lavori che devo ancora valutare. Sono indietro di sei mesi, quindi che il cielo mi aiuti. Si sieda.»

«Non la tratterrò a lungo. Condoglianze per Henry, a proposito, anche se so che non eravate amici.»

Lui le lanciò un’occhiata inquisitoria. «L’ha trovato lei. È stato brutto?»

Lei annuì. «Sì. Mi servirebbero delle informazioni generali sul college, se ha tempo.»

«Spari.»

«Quando ha iniziato a lavorare qui?»

Lui sorrise. «Nell’ultima Era glaciale… più precisamente nel settembre 1991. Sono tornato ad Atene a completare il contratto che avevo lì, dunque quando ho iniziato qui sarà stato… ottobre o novembre.»

«E allora Henry Levitte era a capo del Dipartimento di belle arti?»

«Sì. Era nella commissione che mi fece il colloquio.» Si chinò in avanti. «Sa che anni dopo ho scoperto che era contrario alla mia assunzione?» Tornò ad appoggiarsi allo schienale. «Ma non pensi di usarlo come soluzione per la sua indagine: “È stato il dottor Black, nella Galleria, con una spatola” o qualunque cosa sia stata usata per ammazzarlo.» Prese la scatola del tabacco. «Tutti sanno che il vecchio stronzo non mi piaceva, ma è passata un’eternità dagli anni Novanta e con il tempo ho perfezionato l’arte di ignorarlo completamente, a meno che non fosse inevitabile.»

Kate si massaggiò la minuscola ruga sopra al naso. «Capisco, ma probabilmente, al di fuori della famiglia, lei lo conosceva bene come chiunque altro, considerato che siete stati colleghi per parecchi anni. Secondo lei Levitte era un uomo che amava esercitare il suo potere sugli altri?»

Wellan continuò a muovere le dita con perizia, gli occhi fissi sulla sigaretta che stava arrotolando: «Henry Levitte era un vecchio vanitoso ed egoista, con un ego grande quanto un pianeta. E no, non mi piaceva. Lui controllava la sua famiglia. Per quanto ne sappia, delle figlie non gli importava molto. Era il figlio che avrebbe portato il nome dei Levitte verso la gloria futura: il figlio maschio. Ha incontrato Roderick. È un totale incapace e il vecchio stronzo non perdeva mai occasione per dirglielo.»

Kate lo guardò soffiare il fumo. «Non le piace nessuno in quella famiglia, vero?»

L’uomo scosse la testa. «No, e adesso c’è quella vecchia strega della moglie che mi tormenta perché Roderick ha bevuto ed è scappato da qualche parte.»

Kate scelse le parole con cura. «Capisco che fosse un uomo potente nei confini della sua famiglia, ma che cosa mi dice dell’esterno… qui, per esempio?»

Wellan le rivolse uno sguardo mite. «Non si sta per caso riferendo al nostro stimato capo? Non si sta chiedendo come abbia fatto Johnson ad arrampicarsi tanto velocemente sul viscido palo della gerarchia accademica?» Sogghignò. «Se le sembra che sia amareggiato, sappia che non lo sono. Non farei parte di nessun club che mi ammettesse tra i suoi membri, eccetera.»

Kate annuì, assente, guardando una domanda che si era annotata. Doveva fargliela. Wellan avrebbe potuto ricordare qualcosa di rilevante. «Lei ha mai notato qualcosa di particolare nel modo in cui Levitte andava in giro, nel corso degli anni? Vestiti, cose del genere?»

Lui la guardò di traverso. «A parte il fatto che d’estate il vecchio stronzo amava mettere il panama e i completi di lino color crema? Era davvero un cliché ambulante, quell’uomo. È a questo genere di cose a cui sta pensando?»

Lei alzò le spalle. «Magari a cose più personali… magari un anello… o un orologio.»

Wellan espirò un flusso costante di fumo. «Non mi ricordo niente di tanto specifico. Né un orologio, né un anello.»

Qualcuno bussò brevemente alla porta e poco dopo si affacciò un giovane viso femminile. Wellan si alzò. «Aspetta fuori, per favore. Ci metto un minuto.» Tornò a rivolgersi a Kate. «Guardi, Kate, mi dispiace. Hanno cancellato le lezioni ma non il ricevimento studenti.»

Fuori dal college Kate assunse un’espressione imbronciata. Continuò a camminare, pensando alla natura umana e all’avidità. La penna Montegrappa rubata qualche giorno prima. L’automobile d’epoca. Tutte prove della passione di Wellan per gli oggetti eleganti. Tuttavia non aveva notato l’IWC. Kate lasciò vagare i suoi pensieri. Perché nei primi anni Novanta non apparteneva già più a Henry Levitte? Forse l’aveva già prestato o dato a qualcuno? Un altro favore?

I suoi pensieri furono interrotti dallo squillo del cellulare. Lo tolse dalla tasca e rispose.

«Doc?» Era Bernie. «Ti ricordi che avevamo chiesto ad Adam di fare quella perlustrazione con il georadar al parco per trovare segni delle passate attività di Noonan?»

«Sì?»

«Hanno trovato tracce di resti umani. Stanno andando tutti…»

Kate si mise a correre. «Ci vediamo là. Dove, esattamente?»

«A una cinquantina di metri dal lago.»

Niente di umano
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