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«Qui, ragazzi!» L’uomo col Barbour schioccò la lingua e si avvolse su un braccio i guinzagli di cuoio intrecciato, in modo da poter battere le mani. In risposta giunse solo qualche latrato attutito. Dove diavolo erano andati a finire? L’uomo sollevò la manica per guardare l’ora: erano le sei e cinquanta del mattino. Il martedì era sempre una giornata piena, al lavoro. Se voleva arrivare in ufficio in orario, doveva tornare a casa, farsi una doccia, fare colazione e uscire al più tardi alle otto e mezzo. Passò in rassegna l’area circostante, gli occhi velati dal freddo intenso. Irritato, si diresse verso i latrati, chiamando di nuovo: «Barney! Zac! Qui. Ora!».
Raggiunse il lago, dove temeva che li avrebbe trovati, anche se sperava che non fosse così, perché non aveva tempo di asciugarli. Ma non erano in acqua. Non si vedevano da nessuna parte. Tese le orecchie. I latrati venivano dall’interno di una costruzione di legno dall’altra parte del lago. Accelerò e si diresse verso il piccolo edificio, chiedendosi come avessero fatto i cani a entrare. Mentre si avvicinava esaminò le porte: una era mezza aperta ed entrambe erano danneggiate. Salì le scale e spinse il battente. Inizialmente la porta non cedette, ma con una seconda spinta l’uomo riuscì a entrare.
Barney e Zac si erano fermati in un punto sul pavimento di legno, i corpi che fremevano, le lingue penzoloni, le code ritte. L’uomo si avvicinò, vedendo che saltellavano sulle zampe anteriori. Riconobbe quel comportamento, sapeva che cosa significava: profonda frustrazione. «Qui, ragazzi. Dai.» I cani rimasero dov’erano. Posando un ginocchio a terra, l’uomo grattò e accarezzò il dorso di Zac e il fianco di Barney. «Ehi, ehi, cosa state combinando voi due? Che cosa vi ha fatto agitare tanto?»
Alzò lo sguardo sul punto del pavimento in cui mancavano alcune assi. Immaginò che le zampate rabbiose dei cani le avessero fatte saltare e cadere di sotto. Incuriosito, si chinò sul buco. L’eccitazione dei cani aumentò quando un’altra asse si staccò. Con un dito, l’uomo sollevò un listello, che posò da una parte mentre i cani guaivano e gli gironzolavano intorno.
Provò a guardare all’interno della piccola apertura, ma senza riuscire a scorgere niente: era troppo buio. Raddrizzò la schiena e infilò la mano in una delle tasche della giacca, ne estrasse una torcia e si chinò in avanti per illuminare. Gli ci volle qualche secondo per capire che cosa stesse guardando. I cani uggiolavano e gemevano. «Buoni… buoni, voi due. Va… va tutto bene» li tranquillizzò, anche se aveva capito che le cose, invece, non andavano bene per niente.
Inspirando forte, spense la torcia e prese il cellulare. L’operatrice rispose quasi subito. «Emergenze. Come posso aiutarla?»
«Pronto?»
«Servizi di emergenza. Come posso aiutarla?»
Fece calmare i cani e si passò una mano sulla fronte umida. «Non direi proprio che si tratta di un’emergenza…»
La voce stanca dell’operatrice insisté: «Qual è il suo problema, signore?».
«I miei cani…» Percepì l’impazienza dell’interlocutrice, la immaginò stringere le labbra in un’espressione scocciata. Probabilmente era stufa di prendere chiamate di gente che segnalava gatti rimasti bloccati su un albero. «Hanno trovato… credo… credo che abbiano trovato un corpo.»
Lo sbattere della porta, seguito dall’incedere pesante del sovrintendente capo Gander che entrava di gran fretta nella stanza, catturò l’attenzione del sergente Bernard Watts. Sollevando le sopracciglia e passandosi una mano tra i capelli, che andavano ingrigendo, Bernie lanciò un’occhiata dall’altra parte del tavolo, verso il tenente Joe Corrigan, il collega in trasferta da Boston, Massachusetts, al quartier generale di Rose Road.
«Dov’è Kate?» Gander proseguì senza aspettare che gli rispondessero. «Hanno trovato un corpo al Woodgate Country Park. Vicino al lago.»
Bernie rivolse un’occhiata interrogativa al sovrintendente. «E sarebbe per noi? Per l’Unità Delitti Insoluti?»
«Dai primi rapporti pare che sia lì da un po’. Potrebbe essere collegato a uno dei vecchi casi insoluti registrati nel sistema. Andate sul posto. Il medico legale e gli agenti della Scientifica sono già lì. Fatevi dire cos’hanno scoperto.» Stava già per andarsene quando si voltò con agilità sorprendente, puntando gli indici per sottolineare il concetto. «Chiamate Kate. Se è disponibile voglio che venga anche lei, subito.»
Bernie afferrò il telefono mentre la figura massiccia del sovrintendente scompariva oltre la porta.
Quel primo giorno del primo trimestre del nuovo anno accademico, Kate Hanson era immersa nella vasca da bagno. Il profumo di una candela accesa lì vicino si era unito al vapore che saliva a grandi volute verso il soffitto. Immersa fino alle spalle, i folti capelli rossi legati sulla nuca, Kate sollevò la spugna e osservò l’acqua gocciolare giù, con ritmo ipnotico. Improvvisamente fu investita dal ricordo di una telefonata di Kevin, il suo ex marito, alle nove di sera della vigilia di Natale. Parlando di straordinari e di un’imminente partenza per Parigi, Kevin si chiedeva se per caso Kate non potesse cortesemente dare del denaro a Maisie da parte sua. Con un sospiro, sul sottofondo degli annunci dell’aeroporto e di una risata femminile smorzata, Kate aveva riattaccato, era andata a prendere la borsa, aveva preso dei soldi, li aveva infilati in un biglietto di auguri imitando la firma di Kevin e scrivendo «con tanto affetto» e aveva sigillato il tutto in una busta indirizzata alla figlia.
Ributtando la spugna in acqua, Kate fece un respiro profondo, concentrandosi sulla giornata che l’attendeva: un tranquillo passaggio al nuovo trimestre accademico, che sarebbe cominciato con una mattinata di pratiche amministrative. La prima lezione non sarebbe arrivata prima di… Rilassati. Anno nuovo, Kate nuova… Tutte le mie responsabilità ben organizzate…
Qualcuno bussò con insistenza alla porta del bagno e le giunse la voce di una delle sue tante responsabilità. «Mamma?»
… ben gestite, e al diavolo Kevin e le sue…
«Mamma!»
Kate si tirò a sedere, creando così un’ondata che finì per rovesciarsi sul pavimento. «Smettila di gridare, Maisie.»
«Telefono! È per te.»
Si immerse di nuovo nel tepore dell’acqua. «È troppo presto. Chiunque sia, digli di richiamare.»
«È Bernie. Vuole parlarti. Ha detto che è importante.» Kate sentì il rumore di due piedi che scalpicciavano via svelti.
«Oh, santo…» Si alzò e agguantò un asciugamano. Vi si avvolse, uscì dalla vasca e si infilò le pantofole rosa che le aveva regalato Maisie a Natale. Aprì la porta del bagno, attraversò il pianerottolo e scese le scale per sollevare il ricevitore del telefono all’ingresso. «Che c’è?»
«Buon anno, Doc!»
«Anche a te. Che cosa vuoi?»
«Hai da fare stamattina?» Kate alzò gli occhi al cielo e si strinse addosso l’asciugamano, con la pelle d’oca. «Io e Corrigan stiamo andando a ispezionare la scena di un crimine. Goosey ci vuole lì tutti e tre.»
Kate si allarmò. «Vengo. Dov’è? Che cosa…»
«Il lago del Woodgate Country Park. Lo conosci?»
«Lo troverò. Che cosa sapete?»
«Niente, a parte il fatto che secondo Goosey si tratta di un cold case.»
Una volta tornata in bagno, Kate si mise un velo di crema idratante sul corpo, abbondando in particolar modo sui dieci centimetri di cicatrice – ormai in via di guarigione − che aveva sulla coscia, ricordo di un contatto troppo ravvicinato con una recinzione di filo spinato nel corso della precedente indagine dell’Unità delitti insoluti. La cicatrice reagì con una contrazione dolorosa. Si passò il pettine tra i capelli, ma dovette subito rinunciare e usare un elastico per domare la folta chioma. Affrettandosi a tornare in camera, tirò fuori dall’armadio un paio di caldi pantaloni di tweed e un soprabito, sentendo nel frattempo qualcuno che saltellava sul pianerottolo. «Maisie?» Nonostante i pochi dettagli ricevuti nel corso della telefonata, si tolse gli stivali di pelle, li mise in un sacchetto e poi si infilò un paio di stivali di gomma nera lucida. «Maisie!»
Maisie era sul pianerottolo, ancora in pigiama, seduta a gambe incrociate sulla bassa cassapanca di legno, la ciotola dei cereali in mano e le cuffie dell’iPod nelle orecchie, la testa che annuiva a ritmo di musica sotto la massa caotica dei riccioli rosso scuro. Kate le diede uno strattone.
«Ehi! Oh.»
«Ho fretta e tu a quest’ora dovresti essere già vestita.»
«Non ho potuto farlo perché sono dovuta correre a rispondere alle tue telefonate e…»
Kate le indicò la camera e si allontanò parlando. «Ora chiamo la madre di Chelsey e le dico che saremo da loro tra… sette minuti al massimo.» Tra le aste in legno della balaustra, Maisie osservò la madre scendere in fretta e furia. Posò la ciotola sul pavimento e si avviò verso la sua camera a passo sciolto, mentre Mugger attraversava di corsa il pianerottolo per leccare il latte avanzato.
Dopo appena dieci minuti che erano insieme nella piccola auto di Kate, Maisie e la sua amica Chelsey avevano preso a comunicare per squittii e gridolini, facendola innervosire. Colse l’occasione per dare un’occhiata alla ragazzina seduta accanto a lei, che sembrava il ritratto della salute. L’opposto di quando, l’anno precedente, Chelsey era stata rapita dall’uomo ricercato da Kate e dai colleghi dell’Udi. Harry Creed.
Tornò a concentrarsi. Se il traffico si fosse mantenuto scorrevole, avrebbe raggiunto i colleghi nel giro di venti minuti. Focalizzando l’attenzione sulla strada davanti a sé, pensò al sergente Bernard Watts, nato e cresciuto a Birmingham. Alto e imponente, Bernie era uno che non le mandava a dire. A volte pure troppo. Da accademica originaria del sud, la prima impressione che Kate aveva avuto di lui era che fosse uno spaccone di prima categoria e l’emblema del politically incorrect. Ora invece vedeva in lui un agente esperto e leale, anche se la sua ostilità nei confronti delle teorie psicologiche le dava ancora fastidio.
Kate lasciò a scuola le ragazze prima di ricominciare a guidare lungo Edgbaston Park Road. Oltrepassò la cancellata dell’ingresso principale dell’università, la sua destinazione abituale, e lasciò che i pensieri vagassero fino a soffermarsi sul tenente Joe Corrigan. Il suo ruolo principale a Rose Road era quello di addestratore all’uso delle armi da fuoco, un’indicazione evidente dei cambiamenti avvenuti nei corpi di polizia inglesi negli ultimi dieci anni. Era alto come Bernie, ma aveva i capelli scuri e poco più di quarant’anni. Joe Corrigan. Il suo nome era quasi sinonimo di calma. Sorrise. Non era stata esattamente «calma» la reazione delle donne che lavoravano a Rose Road, quando si era presentato la prima volta.
Il traffico era rallentato e Kate picchiettò le dita sul volante, impaziente di procedere. Accese il navigatore, indicando con voce chiara e autorevole: «Woodgate Country Park».