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Erano all’Udi. «Mamma Levitte sta venendo qui e sa che non abbiamo prove concrete.» Con questa frase, Bernie guardò Kate, dall’altra parte del tavolo. Era tornata da poco dall’università e da allora buona parte della sua attenzione si era concentrata sul telefono, nella speranza di venire a sapere che Cassandra era stata trovata. «Peccato che tu non le abbia chiesto chiarimenti quando eri in casa sua.»
Kate alzò la testa di scatto. «Ma che cosa stai dicendo? Sappiamo che ha distrutto le prove. Hai idea di quanto sia stato spaventoso essere in quella casa, con quella lì dietro la porta?»
«Calmati. Sto solo dicendo che magari poteva essere d’aiuto. Abbiamo tre omicidi: Troy, Harper e adesso Levitte, e nessuna prova concreta che possa collegarli. Inoltre, c’è il corpo ritrovato al parco, chiunque sia. Stiamo ancora aspettando che Connie ci dica qualcosa.»
Kate si coprì il viso con le mani. «Non ce la faccio.»
Bernie guardò Joe e poi ancora Kate. «Adesso che cos’hai?»
Lasciando cadere le mani, lei rispose: «Il modo in cui lavorate voi in polizia! Non importa quante cose sappiamo, non bastano mai. Io ho visto tutte quelle cianfrusaglie da pedofilia organizzata là dentro. Ho visto il giaccone di Nathan Troy».
«Peccato, però, che non abbiamo niente in mano. L’Ufficio indagini della Corona ama avere buone probabilità di successo quando manda i casi in tribunale. Buone probabilità significa fatti e prove concrete.» Calò il silenzio. «Capisco come ti senti, Doc, però una cosa la devi capire anche tu: i casi forti arrivano in tribunale. Quelli deboli te li puoi scordare. Oppure ci arrivano ma poi si sgonfiano.»
«E se l’Ufficio indagini prendesse in considerazione di aprire i processi con meno prove, fidandosi del sistema delle giurie?» sbottò lei.
«In questo caso, con questa roba a sfondo sessuale, le prove concrete aiutano la gente a capire di cosa si parla. Qui sto parlando di giurie, e le giurie non sono come te, Doc. Questo è il tuo mondo, e tu ci sei dentro fino al collo.»
Kate si lasciò andare sulla sedia, con gli occhi chiusi. Questo non doveva necessariamente essere il suo mondo. Poteva voltare le spalle alla pressione, alle scorrettezze e all’ingiustizia e fare domanda per il posto da professoressa all’università. Basta casi irrisolti, basta cadaveri, basta Furman.
«Per la legge, tutto ciò che abbiamo è solo ciò che dici di aver visto a Hyde Road» proseguì Bernie.
«Ciò che ho visto davvero.»
Bernie guardò Joe e poi ancora Kate, cercando di controllare l’irritazione. «Mettiti nei panni di un componente di una giuria. Non solo gli viene raccontato di un’organizzazione di maniaci sessuali che si portava a casa dei minorenni, ma poi vede anche chi, in teoria, era uno dei colpevoli prima di essere fatto fuori. Un famoso, benvoluto professore universitario che è stato qualche volta in televisione e che è in attesa di prendersi una medaglia dalla Regina.» Kate aprì la bocca, ma Bernie continuò. «E chi è il tuo testimone eccellente? Stuey Butts. Anche tu sai che cosa direbbe un avvocato difensore come il tuo ex marito: “Giovane teppista inaffidabile che si arricchisce con il sesso”».
Kate si appoggiò allo schienale, guardando il telefono e poi il viso di Bernie. «Lo so. Ma continua a non andare bene. Continua a essere ingiusto. Noi guardiamo Stuart Butts e vediamo solo ciò che ha fatto, non ciò che gli altri hanno fatto a lui. È una vittima tanto quanto Nathan Troy.»
Nel silenzio dell’Udi, i pensieri di Kate tornarono al colloquio con Stuart Butts. Si raddrizzò sulla sedia. «Come faceva a sapere che lavoro con voi due?» Bernie e Joe si guardarono e poi fissarono Kate. «Stuart Butts. Ha chiesto di parlare con me… ha fatto riferimento a una vostra collega con i capelli rossi.»
Bernie scrollò le spalle. «Era già stato qui e sapeva che fai parte dell’Udi.»
Kate scosse la testa. «No, no. Pensateci. Quando ci avete parlato la prima volta io non ero presente. Ho osservato tutto da dietro il vetro. Lui non mi ha mai vista. E io sono entrata nella stanza degli interrogatori dopo che se ne è andato.» Un breve silenzio. «Come poteva sapere che lavoravo qui, come poteva conoscere il mio aspetto?»
Si alzò e si avvicinò alla lavagna. «Vedete questo?» Indicò un appunto che aveva scritto. «Quando l’ho visto al lago era al cellulare.» Voltandosi a guardare i colleghi, Kate batté sulla lavagna. «Con chiunque stesse parlando, quella persona gli ha detto chi ero. Stuart era al cellulare con qualcuno che mi conosceva. Almeno di vista.»
Afferrò il pennarello e cominciò a fare un elenco di nomi, pronunciandoli ad alta voce. «Questi sono tutti i personaggi dell’indagine con cui ho avuto contatti diretti: i genitori di Nathan Troy. La famiglia di Bradley Harper. Stuart Butts. Alastair Buchanan, Matthew Johnson, John Wellan, Henry e Theda Levitte, e i tre figli Levitte: Cassandra, Miranda e Roderick.»
Bernie la fissò. «Non starai suggerendo che uno dei genitori sia implicato… e comunque come ci aiuta a risolvere questo casino? La nostra indagine riguarda Nathan Troy. Potrebbe averlo ucciso Philip Noonan. Il vecchio Levitte, che era il nostro indiziato principale, è morto. Buchanan non mi piace ma non ci sono prove che lo colleghino agli omicidi. L’intera tribù Levitte, per quanto mi riguarda, è fatta di gente fuori di testa. Bradley Harper se ne sta in un frigorifero nel seminterrato e siamo ancora in attesa di sentire chi è quello che è saltato fuori al parco. Noonan potrebbe essere coinvolto anche in quell’omicidio. In breve, è un gran casino.» Si voltò, poi, ripensandoci, riprese a parlare: «E mettere ogni parola che la gente dice sotto a un microscopio non ci aiuta a identificare l’assassino di Troy, che è la nostra priorità».
Kate non stava più ascoltando. Era intenta a esaminare i nomi che aveva scritto, pensando al motore di una Mercedes e al rombo di un’automobile al lago. «Credo che possiamo ridurre un po’ l’elenco.» Joe si alzò e la raggiunse alla lavagna, con gli occhi fissi sui nomi e poi su Kate. «Quando ero in quella casa ho sentito il rumore della Mercedes di Theda Levitte.»
«Lasciami indovinare» disse Joe. «L’avevi già sentito quando hai visto Stuart al lago.»
Kate annuì, indicando i nomi. «Di tutte le persone elencate, quali possono avere accesso alla Mercedes e…»
Il telefono dell’Udi squillò. Kate ascoltò Bernie rispondere e poi riappendere mormorando un ringraziamento. «I resti del parco. Connie è pronta.»
Connie sollevò lo sguardo mentre Igor li faceva entrare nell’obitorio e aspettò che si avvicinassero al lettino in acciaio inossidabile su cui si trovavano i resti rinvenuti al parco. Kate li osservò con attenzione per qualche secondo, poi guardò Connie, che andò dritta al punto. «Giovane e maschio. Strangolato.» Bernie gemette e Kate chiuse gli occhi. Noonan. «E siccome so che adorate i dettagli, posso dirvi che era alto un metro e settanta e che quando è stato ucciso aveva fra i trenta e i trentacinque anni.»
Gli occhi di Kate si spalancarono. «Quando hai detto “giovane”…»
Connie le lanciò un’occhiataccia. «Chiunque abbia meno di quarant’anni per me è “giovane”.»
«Metodo di strangolamento?» domandò Joe, mentre Kate tratteneva il fiato.
«Legatura. Date un’occhiata.» Si voltò e prese qualcosa dal tavolo lì vicino. Sollevò una busta di plastica trasparente che conteneva un pezzo di corda molto simile a quella che aveva indicato in precedenza sul catalogo dei campioni, solo che questa era sporca e logora. «Una volta era bianca. Lo vedrete osservando l’interno della trama.»
Kate domandò: «C’è altro? Altre scoperte, tipo del DNA o…».
Connie le rivolse un’occhiata mite. «C’è molto altro, sì, se mi lasciate parlare, anche se non del genere che possa soddisfare ciò che avverto come un’improvvisa ossessione per le prove concrete.»
«Scusa» disse Kate, lanciando un’occhiata irritata a Bernie.
«Ho controllato il sistema in cerca di una corrispondenza di DNA. Era una persona scomparsa di nome Joel Smythe.» Bernie aprì la bocca, ma Connie lo zittì con uno sguardo. «Non ricominciate con le domande. Adesso ci arriviamo.» Rimasero tutti in silenzio. «I suoi vestiti sono lì.» Connie indicò un lettino e cominciò a leggere da un taccuino: «Una camicia di cotone a maniche corte, in origine bianca; un paio di pantaloni leggeri giallo scuro; sandali, niente calze, mutande a vita bassa. Tutto qui. Tutto consunto.» Indicò un’altra zona del tavolo. «E anche quelli». Guardarono ciò che stava indicando Connie: una massa di peluria vaporosa. I capelli biondi che la brezza aveva scompigliato quando erano al parco.
Kate aveva ascoltato con attenzione. «È stato ucciso d’estate… o almeno quando faceva caldo?»
Connie annuì. «Una conclusione ragionevole, corroborata da ciò che ho trovato nei risvolti dei pantaloni: resti di piccole piante fiorite, nello specifico…» consultò di nuovo l’elenco «Vicia sativa, anche conosciuta come veccia comune, e ranunculus anularis, che per noi è il ranuncolo selvatico. Sono piante che fioriscono d’estate o fino a settembre. Quindi, insieme agli abiti, sono buone indicazioni del periodo dell’anno in cui è morto.»
Joe sembrava avere in mente qualcosa. «Non aveva niente con sé? Una borsa, delle chiavi, un portafoglio?»
«Se era così, non li abbiamo trovati.»
Le mani di Bernie erano sprofondate nelle tasche della giacca, lo sguardo perso al di sopra dei resti. Stava riflettendo su ciò che aveva detto Connie. «Quindi non aveva niente nelle tasche.»
Connie sollevò le sopracciglia. «L’ho detto, per caso?» chiese con voce dolce, voltandosi verso il tavolo su cui erano posati i vestiti per raccogliere una busta di plastica con dentro qualcosa. «Chiunque abbia portato via i suoi effetti personali si è lasciato sfuggire questo.»
Si avvicinarono tutti al tavolo per guardare. «Che erroraccio» mormorò Joe. «Assassino frettoloso.»
Connie fece un rapido cenno di assenso e posò l’oggetto accanto alle ossa del suo proprietario. «All’inizio non potevo dire se fosse la sua. È il vecchio tipo di patente, di quelle senza fotografia, emesse prima del 1998. L’aveva presa l’anno precedente. L’indirizzo registrato è quello di casa sua, non dei suoi genitori, e pare che sia risultato residente lì fino alla scomparsa, che è la ragione per cui l’aveva ancora con sé. Ho inserito il numero nel sistema e ho ottenuto una seconda conferma del nome: Joel Smythe. Sulla patente stessa c’erano due annotazioni di infrazioni, una nel 2001 e una nel 2004.»
Kate osservò la patente, poi i resti. «Quindi abbiamo prove inconfutabili del fatto che si tratti di Joel Smythe?»
Connie era raggiante. «Voglio elogiare la tua attenzione alla concretezza delle prove, Kate.» Queste parole fecero sbuffare rumorosamente Bernie. «Sì, perché la corrispondenza del DNA era chiara; sì, perché la patente corrisponde all’identificazione, ma anche perché ho parlato con il padre di Joel Smythe, il quale mi ha detto che a sedici anni si era rotto il braccio destro sciando in gita con la scuola.» Indicò il braccio destro del cadavere. «Gli ho fatto una lastra. Ho trovato chiari segni di una vecchia frattura del radio e dell’ulna, coerente con la caduta descritta dal padre. Se ciò non bastasse a soddisfarvi tutti, al suo secondo arresto per guida in stato di ebbrezza gli avevano fatto una campionatura del DNA. Questo è Joel Smythe.»
Kate camminò accanto al tavolo, fermandosi ai piedi del corpo per riflettere. «Due ragazzi sono andati a frequentare il Woolner College. Uno dei due non se n’è mai andato. L’altro l’ha fatto… ma per tornare anni dopo.» Rimase in piedi, gli occhi fissi su quel che restava di Joel Smythe. Era chiaro che la sua vita non era proseguita tranquillamente, dopo che aveva lasciato il Woolner. Che cosa ti ha riportato qui, Joel? La pulsazione della ventola di estrazione dell’aria si insinuò nella testa di Kate e prese a battere ritmicamente: Dov’è Cassandra? Dov’è Cassandra? Dov’è…
Il cellulare di Bernie squillò nel silenzio. «Sì… Va bene.» Chiuse la comunicazione. «È arrivata mamma Levitte.»