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Il mattino seguente, all’Udi, l’ispettore Roger Furman era intento a far valere il suo ruolo di direttore. «Ci vogliono prove vere. Prove concrete. Ci vogliono fatti. Quando li avrete voglio essere avvisato, e voglio che succeda presto.»
Kate lo stava osservando con la testa appoggiata a una mano. Che faccia di culo. Distolse lo sguardo per rivolgerlo verso la finestra, fingendo di non sentirlo. Che cos’è che ti ha ucciso, Nathan? È stato un estraneo? O è stato qualcuno che conoscevi? Rachel ha detto che c’erano delle ragazze. Forse la causa della tua morte è stata una ragazza?
Sentiva il ronzio ininterrotto della voce di Furman, sapendo che molte di quelle parole erano dirette a lei. «Le indagini sugli omicidi non si conducono con le teorie campate in aria…» Conosceva il punto di vista alquanto limitato di Furman riguardo al modo di svolgere indagini approfondite. Come se lo sapessi tu, come si fa. «… Quel che serve sono fatti, prove. Indizi concreti.» Kate sentì il suo sguardo, sentì il suono del suo pugno che sottolineava il concetto colpendo la grande bacheca di vetro che dominava la stanza. Si voltò a guardare quella specie di lavagna. Ora vi campeggiava la foto di Nathan Troy.
Kate guardò Furman chiedendosi – e non era la prima volta – come facesse il sovrintendente capo Gander a sopportarlo. Probabilmente non ha scelta. «Siamo già in possesso di alcuni fatti, di alcune prove concrete» disse, indicando la lavagna con un cenno del mento. «Una torcia elettrica ritrovata insieme al corpo e un trattamento della pavimentazione del luogo che definirei molto interessante. Inoltre, abbiamo diversi nomi di persone da interpellare, che probabilmente ci forniranno altre informazioni.» Vide la bocca di Furman curvarsi all’ingiù e le venne voglia di colpirla con un pugno.
«Sono felice di sapere che avete trovato qualcosa di “interessante”» mormorò senza guardarla negli occhi, spostando lo sguardo su Bernie e Joe. «Per ora stiamo tenendo buoni i media. Si limiteranno a dare notizia della scoperta del corpo e poco altro finché non avremo prove incontrovertibili che si tratti di omicidio.»
A bocca spalancata, Kate lo fissò: non riusciva a credere alle sue orecchie. «Prove che si tratti… e che cos’altro potrebbe essere? Non si è suicidato per poi stendersi e costruirsi sopra un pavimento di assi!» Kate chiuse il quaderno di scatto, sospettando che Furman non avesse neanche letto le informazioni sul caso.
Poi sentì la voce di Joe. «Siamo in attesa di conoscere la causa del decesso dalle analisi della dottoressa Chong, ma Kate ha ragione. Sembra proprio un omicidio.»
Furman stava raccogliendo i fogli con gli occhi fissi su Joe. «Rintracciate quelle persone il più presto possibile.» Andò verso la porta, poi si voltò e, come saluto, fece una delle sue classiche sparate, evidentemente rivolto a Kate. «Se si tratta di omicidio, il lavoro della polizia va fatto su indizi concreti, non sulle ipotesi e su una serie di confuse teorie accademiche. Lavorate sugli indizi. Portatemi dei fatti. Voglio sapere tutto entro il fine settimana.» Raggiunse la porta a passi imperiosi e scomparve.
Abbassando le dita, Bernie mise in mano a Kate un foglio A4. «È meglio lasciarlo parlare. Breve rapporto di Connie: causa del decesso ancora da confermare, ma quasi certamente gli hanno giocato un brutto tiro.»
Kate esaminò il foglio. «Come ho già detto, la gente non si infila sotto i pavimenti per lasciarsi morire e poi ricoprirsi da sola. Ma di cosa diavolo andava blaterando Furman?»
«Ignoralo. Quello pensa solo ai soldi» disse Joe. «Spera di rimandare qualunque spesa finché non sarà inevitabile. Che cosa mi dite delle visite che dobbiamo fare? Avete preferenze?» domandò guardando entrambi i colleghi.
Bernie stava leggendo le informazioni sulla lavagna con fare accigliato. «Quei tre tizi suoi ex coinquilini vanno sentiti subito, ma non abbiamo indirizzi. Per rintracciarli ci serve Sherlock. Dov’è finito?»
«È qui, da qualche parte» rispose Kate, pensando a come Julian Devenish e il componente più anziano dell’Udi si rapportassero l’uno all’altro: da Bernie arrivavano per lo più battute e commenti sarcastici, cosa che lei aveva riconosciuto come pratica comune nelle forze di polizia, particolarmente nei confronti dei giovani. Da parte sua, Julian se la cavava bene e a volte gli rendeva pan per focaccia. Riaprì il quaderno. «Uno dei nomi citati da Rachel Troy lo conosco.»
Bernie annuì, appoggiando la grossa testa sul pugno massiccio. «Che sorpresa. Chi?»
«John Wellan. Insegna ancora al Woolner College. Dico che lo conosco, ma i miei contatti diretti con lui si sono limitati a qualche occasionale ricevimento per i dipendenti universitari, e quel genere di cose, presente?»
«Come no. I bagordi accademici sono il mio hobby preferito.»
Kate sfogliò le pagine dell’agenda, lanciandogli un’occhiataccia. «Stai tornando aggressivo. Gli telefono e fisso un appuntamento.»
«Allora, dov’è questo istituto di cui parlava Connie?»
La porta si aprì e, con aria afflitta, entrò Julian, maneggiando delle carte. Sentì la domanda di Bernie e agitò in aria un paio di fogli per poi posarli sul tavolo davanti a lui. «È tutto qui. Istituto d’arte e design di Birmingham. Ci sono tre sedi: Margaret Street, in centro, un’altra ad Aston e poi Woolner, il campus principale, su Linden Road, a Bourneville.»
Bernie esaminò i fogli. «Bel lavoro, Sherlock.»
«Ci sono per caso informazioni sugli ex coinquilini di Troy?» chiese Joe.
Julian prese un mazzetto di fotocopie. «Sto ancora cercando, ma ho trovato una busta di vecchi ritagli di giornale che riguardano la scomparsa, così li ho fotocopiati.» Li passò a Joe, dall’altra parte del tavolo.
Joe prese gli articoli e si avvicinò alla lavagna. «Che ne dite se ne tiro fuori qualche fatto, di quelli che piacciono tanto a Furman?»
Ridacchiando, Kate lanciò un’occhiata a Bernie. «Che cosa ti succede? Mi sembri un po’… ingrugnito» concluse, scegliendo il termine che solitamente era lui a usare riferendosi a lei.
Bernie indicò il soffitto. «Ai piani alti c’è una riunione in corso. Tra i pezzi grossi e i Resti Umani.» Kate riconobbe il nome con cui il collega designava il reparto Risorse Umane delle forze di polizia. «Stanno facendo una lista del personale in esubero e già mi sembra di vederci sopra il mio nome, ma ti dico una cosa: dopo aver sentito blaterare Facciadiculo, stamattina, penso che forse non è neanche una brutta idea.» Kate annuì. Le era già capitato di sentirgli dire cose simili in passato e di chiedersi come mai gli agenti di polizia dessero soprannomi a qualsiasi cosa. E a chiunque. Decise di non riflettere su quale potesse essere il suo.
Julian si avvicinò e si mise a sedere. Gli era rimasto in mano un solo foglio. «Da’ un’occhiata a questo, Kate.»
Bernie sollevò gli occhi verso il soffitto. «Chiamala dottoressa Hanson. Quante altre volte te lo devo dire?»
Kate osservò la piantina del Woodgate Park che Julian aveva in mano e vide la linea che il ragazzo stava indicando. «La M5? Mi sono accorta che è vicina al parco. Quando eravamo là ne ho sentito il rumore.» Kate studiò la spessa linea che si snodava sulla mappa. La sua attenzione si soffermò su un punto in particolare. «E c’è anche un’uscita piuttosto vicina.»
«Quale sarebbe il punto, Devenish?» chiese Bernie, di ritorno dopo aver messo su l’acqua nella cosiddetta «area ristoro», un angolo dell’Udi attrezzato con lavello e bollitore.
Julian sollevò lo sguardo verso di lui. «Può averlo ucciso chiunque questo studente, magari un estraneo, uno che si spostava in macchina e che potrebbe aver percorso miglia e miglia per arrivare al parco.» Poi assunse un’espressione sgomenta. «Anche se… vent’anni. Chiunque sia stato, è probabile che ormai sia morto.»
Bernie lo guardò di traverso. «Vent’anni non sono poi così tanti.»
«Lo sono eccome, se uno è più anziano» rispose Julian, lasciando vagare lo sguardo sul viso di Bernie.
Kate stava prendendo in considerazione le parole di Julian. Tenendo conto della sua esperienza nel campo e del luogo in cui era stato lasciato il corpo, al momento c’erano le stesse possibilità che Troy fosse stato assassinato da un estraneo come da qualcuno che conosceva. «Dovremo tenerci aperte entrambe le piste: omicidio per mano di un estraneo e di persona nota.»
«E qui io mi sto disidratando. Il bollitore è acceso. Quando sei pronto, Devenish, tre zollette di zucchero.»
Mentre Julian si alzava, Kate guardò l’orologio. Doveva raggiungere l’università entro quarantacinque minuti. Esaminando le informazioni che Joe aveva appena aggiunto alla lavagna, rintracciò il numero di telefono di John Wellan e sollevò il ricevitore proprio mentre l’agente Whittaker si precipitava oltre la soglia, con tre grossi faldoni in equilibrio su un braccio. Raggiunse il tavolo e li lasciò cadere con un tonfo.
«Fermo lì. Che cos’è tutta questa roba?» chiese Bernie, guardando i faldoni e poi fissandolo in cagnesco.
Whittaker se ne stava già andando. «Sono i fascicoli dell’indagine su Nathan Troy, del 1993. Quelli che mi avete chiesto di recuperare.»
«E adesso dove te ne…»
«Torno giù. Ce ne sono altri due.»
Kate sentì la voce di Bernie mentre qualcuno rispondeva all’altro capo del filo. «Ma porco cane. Come pensi di cominciare a spulciare tutta questa roba, eh, Corrigan?»