17
«L’ho già vista, Cassandra» disse Kate, smettendo di guardare la lavagna per rivolgersi a Bernie.
Lui sollevò lo sguardo e la fissò. «E come mai? Non dirmi che è uno di quei personaggi con cui ogni tanto vai a parlare in prigione.»
Lei scosse la testa. «Non l’avevo mai vista in carne e ossa. Ma c’era un suo ritratto nella scatola che ci hanno dato i genitori di Troy… anche se nel corso degli anni è cambiata moltissimo. Dovremo tornare da Henry Levitte a chiedergli di lei. A giudicare da ciò che abbiamo visto prima, dubito che riusciremo a parlare direttamente con Cassandra, almeno per un po’.» Kate si avvicinò e si mise a sedere di fronte a lui. «Ti rendi conto che ora abbiamo una nuova immagine di Nathan Troy, in totale contraddizione con quella che ci eravamo fatti parlando con i suoi genitori e con John Wellan? Più cose sento e meno credo di conoscerlo. Tu che cosa pensi di quello che hanno detto? Riguardo a Troy e all’uso di droghe?»
Bernie fece spallucce. «Difficile a dirsi. Non sono stati troppo chiari in proposito. E poi, la moglie non ha mai avuto granché a che fare con il Woolner, quindi alla fine che cosa può saperne? A me è parso che riferisse dei pettegolezzi e basta.»
«Mmm. E comunque hanno dato a intendere che praticamente Troy non lo conoscevano. Se non erano sicuri della faccenda delle droghe potevano anche risparmiarsi di sparlare così di quel ragazzo, considerato ciò che gli è successo.» Kate vide che Bernie si stava osservando una mano, sulla quale era comparso un arrossamento. «Ho in borsa qualcosa che ci puoi mettere.»
«No, tutto a posto» mormorò lui, facendo per prendere una stampata dal tavolo.
«E che impressione ti sei fatto di lui? Henry Levitte?» incalzò Kate.
«Mi è parso a posto. Non è stato arrogante. Era parecchio felice di vederti.»
Kate si alzò e tornò alla lavagna, posando gli occhi sui dati che aveva scritto. «E lei?»
Bernie sollevò lo sguardo. «Visto che sei lì, aggiungi pure che nella loro relazione è lei a portare i pantaloni. È molto più giovane di lui, vero? Sulla cinquantina, tu che diresti?»
Kate aggiunse qualche parola alla lavagna e poi andò a sedersi sul bordo del tavolo, ripensando a Theda Levitte. «Probabilmente. Sai che se avessi cercato di immaginarmi sua moglie non avrei mai e poi mai pensato a qualcuno anche solo lontanamente simile a lei? Come hai detto tu, è più giovane e più energica. Probabilmente è lei a gestire l’esistenza di Levitte e a lui va bene così. Ma a parte questo, cos’hanno in comune? Non riesco a immaginarmeli a parlare d’arte.»
«Ah, quella è una che non nasconde niente. Letteralmente. Per quelle come lei mia madre aveva un detto: “Tendine alle finestre ma niente mutande”. Ma comunque, chi può dire come fanno due persone ad attrarsi a vicenda?»
Kate infilò la mano in borsa, in cerca della busta bianca che le aveva dato Henry Levitte, la aprì e ne estrasse alcuni cartoncini bianchi rigidi. «Ci faremo un’altra chiacchierata con Levitte. Da soli.» Agitò i cartoncini davanti a Bernie. «E, per la gioia di madame Levitte, lo faremo in questa galleria, dove si terrà la cerimonia a lui dedicata.»
«Credo che se la moglie non gli starà addosso riusciremo a farlo parlare di più.» Bernie guardò Kate. «Ti ricordi la mia teoria sul caso, su cosa credo che ci sia sotto?» Le tese la stampata. Kate la prese, ripensando alle voci sui brutti personaggi che a quanto pare frequentavano il Woodgate Country Park e alla possibilità di un assassino recidivo che sfruttasse l’autostrada. «Continuo a pensare che si tratti di un recidivo, ma se fosse un maniaco sessuale della zona? Ho chiesto a Julian di fare una ricerca sugli arresti avvenuti nel parco tra il 1990 e il 1994. Da’ un’occhiata. A proposito, non c’è niente nel 1993, l’anno in cui è morto Troy, e solo uno nel 1994. Ha controllato anche l’anno scorso e sono saltati fuori tre nomi. E indovina un po’: uno dei tre è lo stesso del 1994. Leggiti i dettagli dell’arresto e poi dimmi che cosa pensi di questo caso.»
Kate passò in rassegna le informazioni: gli arresti erano molti meno di quanto si sarebbe aspettata. Tutte e tre le persone identificate nel corso dell’anno precedente erano colpevoli di reati a sfondo sessuale e presumibilmente rappresentavano la punta di un iceberg di perversioni. Con ogni probabilità, gli arresti erano pochi perché in casi del genere è sempre difficile dimostrare la colpevolezza del sospettato.
«Su, Doc, dimmelo tu. Di che si tratta in questo caso?»
Kate sollevò lo sguardo dalla stampata proprio mentre entrava Joe. «Sesso?»
Lui sogghignò, andandosi a sedere accanto a lei. «Sono felice di aver deciso di passare di qui.»
«Sesso e tempo, Doc. Questo l’hai visto, Corrigan?»
Joe lanciò un’occhiata di traverso alla stampata e annuì. «Con questo il nostro caso potrebbe assumere dimensione locale.»
Kate li guardò. «Allontanando magari l’ipotesi di un recidivo che opera spostandosi lungo la M5.»
Bernie scosse la testa. «Non correre, Doc. Non escludiamolo.» Fece cenno al foglio che Kate aveva ancora in mano. «Ha risvegliato il tuo interesse?»
Kate annuì, leggendo i dettagli che riguardavano i tre uomini arrestati l’anno precedente per crimini sessuali al parco: Ernest Phillips, Ronald Dixon e Edward Morrell. Morrell era l’uomo arrestato anche nel 1994.
«C’è qualcos’altro che ti viene in mente leggendo quelle informazioni?»
Kate fece qualche rapido calcolo sulle date di nascita. «Oggi hanno tutti tra i quarantacinque e i cinquant’anni.» Sollevò lo sguardo sui colleghi. «Probabilmente Morrell opera da anni in quel parco. Lo stesso potrebbe valere per Phillips e Dixon.»
Bernie aveva un’aria soddisfatta. «Un poco di buono negli anni Novanta è un poco di buono anche l’anno scorso. La mia teoria la conosci: non cambiano, quelli. Morrell non fa che confermarlo.»
Kate sospirò. «E tu sai bene che non sono d’accordo con il tuo punto di vista. Tanti colpevoli di reati sessuali riescono eccome a controllarsi, se vengono aiutati…»
«Sì, sì, se lo dici tu. Ma adesso sto pensando che questi tre potrebbero scucirci qualche informazione in cambio di una vita tranquilla.»
Kate scorse nuovamente la pagina e vide che gli indirizzi erano tutti di Birmingham. «Ne conosci qualcuno?»
«Non ancora, ma lo farò. Andrò a far visita a ciascuno di loro, e lo farò presto.»
«Stai pensando che uno di questi uomini potrebbe essere implicato nella morte di Nathan Troy?»
Bernie le lanciò un’occhiata significativa. «Sto cercando di tenere la “mente aperta”, come dici sempre tu. Che è la ragione per cui non mollo la teoria del recidivo della M5. Ho messo Jules al lavoro su quella pista.»
«Che cosa speri di trovare?»
«Casi simili al nostro negli ultimi vent’anni. Con queste caratteristiche specifiche…» Le contò sulle dita di una mano. «Giovane. Maschio. Sospetto rapimento per mano estranea. Vicinanza alla M5. Dobbiamo tenere l’indagine su due binari: maniaco sessuale del posto e recidivo sconosciuto che gira in autostrada.»
Joe sollevò lo sguardo. «Non dimenticare la terza opzione, quella della Rossa: parliamo con chiunque abbia conosciuto personalmente Troy, cosa che potrebbe portarci a capire perché sia stato ucciso.»
Bernie fece una smorfia. «Che è quello che abbiamo fatto finora, e come risultato abbiamo ottenuto solo un mucchio di contraddizioni da persone che sostengono di non saperne niente. Dobbiamo fare dei progressi o Furman troverà presto qualche scusa per chiudere l’indagine e risparmiare soldi.»
Quindici minuti dopo, Bernie era solo nella sala dell’Udi, con il ricevitore accostato all’orecchio e le dita che tamburellavano sul tavolo, in attesa di parlare con un uomo che un tempo era un personaggio noto a parecchi agenti di polizia. Abbassò lo sguardo sui ritagli di giornale davanti a sé, molti dello stesso autore. Aveva ottenuto il numero di telefono attuale da uno degli agenti che lavoravano ancora a Bradford Street, il vecchio quartier generale prima che tutto venisse trasferito a Rose Road. Sapeva di non essere autorizzato a fare ciò che aveva in mente. Da dicembre Rose Road aveva un dipartimento a parte, dedicato ai contatti con la stampa e alle relazioni con il pubblico, pieno di regole e divieti su ciò che si poteva o non si poteva divulgare e, nel caso, a chi. Il principale propugnatore di tutto ciò era Roger “Facciadiculo” Furman.
«Buon pomeriggio, tesoro. Posso parlare con Paul Billington, per favore?»
La donna gli chiese chi fosse e di spiegare come avesse avuto quel numero.
«Detective sergente Watts, Rose Road. Ho…» Bernie chiuse gli occhi di colpo e allontanò il ricevitore dall’orecchio quando il telefono all’altro capo del filo andò a sbattere contro una superficie dura. Quando lo avvicinò di nuovo sentì la stessa voce femminile gridare forte. Pochi secondi dopo gli giunse all’orecchio la voce di un uomo. «Sei tu, Wattsie? Come va, amico?»
«Bene. Tu, tutto bene?» Andò dritto al punto. «Paul, mi servono delle informazioni. Abbiamo un caso del 1993, uno studente scomparso dal Woolner College di Bourneville. Nome: Nathan Troy. Sono stati trovati i resti.»
«Ti invidio, amico. Di questi tempi, se voglio occuparmi di un crimine, non mi resta altro che mettermi a guardare C’è un cadavere in biblioteca. È roba per la squadra dei casi irrisolti di cui fai parte adesso?»
«Sì. Unità delitti insoluti.»
La voce di Billington aumentò di volume. «Sì, certo che vengo a Rose Road.» Poi si fece bassa: «Al Bell. Tra quindici minuti».
Bernie si stava godendo la solitudine del piccolo pub, mentre sorseggiava una birra tra le sedie imbottite e le immagini di caccia appese alle pareti. Era il suo genere di posto, quello. Tradizionale. Niente souvenir da bar sport. Nessuna rumorosa macchinetta luccicante. Mentre si gustava la birra e il silenzio, le campane della chiesa vicina cominciarono a suonare entusiasticamente. Proprio in quel momento si spalancarono le porte della saletta.
Billington venne dritto al suo tavolo e si mise a sedere, gli occhi accesi dalla curiosità. Bernie gli strinse la mano. «Grazie di essere venuto.»
«Ne avevo bisogno. Paula pensa che essere in pensione significhi curare il giardino, fare la spesa e guardare sceneggiati in televisione. Adesso è a fare pilates, quindi sono a piede libero.»
Bernie annuì. Paul e Paula Billington. In centrale erano circolate parecchie battute su di loro nel corso degli anni, tra cui molte variazioni sul tema di chi tra i due portasse i pantaloni. Bernie fece cenno alla pinta di birra sul tavolo. «Te l’ho ordinata, ma la devi pagare tu. Se ne dicono già troppe sulle eccessive amicizie tra polizia e giornalisti. Facciadiculo andrebbe in estasi se venisse a sapere che non solo ci siamo visti, ma che ti ho pure pagato da bere.»
Billington tornò dal bar e si sedette ad assaporare la birra mentre Bernie lo osservava, esaminandogli le spalle spioventi e il ventre arrotondato. «Ti trovo bene, Paul» disse. Poi andò al sodo. «Ti sei occupato della scomparsa di Troy. Te ne ricordi?»
L’uomo annuì e bevve un altro sorso di birra. «Abbiamo battuto tutta la zona intorno al college finché le indagini non hanno cominciato a rallentare. Che cosa stai cercando?»
Bernie si chinò in avanti, a voce bassa, gesticolando come a voler enfatizzare le frasi. «Tutto questo è strettamente confidenziale.» Billington aprì la bocca per protestare. «Sì, sì, lo so che sei in pensione, ma non vivi certo su un’isola deserta. In questo momento stiamo seguendo due o tre piste diverse.»
«Vale a dire che non avete ancora niente di concreto?»
Il viso contratto, Bernie rivolse un’occhiataccia all’interlocutore. Sempre a voce bassa, continuò: «Quel che voglio da te sono dettagli di qualunque tipo sui possibili testimoni: gente che aveva visto questo Nathan Troy andarsene in giro al tempo della scomparsa. Ci servono date, orari, luoghi. Quanto ai dettagli, i rapporti a nostra disposizione sono» agitò una mano «leggermente limitati.»
Billington sorseggiò altra birra. «Prima di uscire di casa, ho dato una rapida occhiata a quel che ho.» Anche lui stava parlando a voce bassa, nonostante l’unica altra persona presente fosse la barista. «A quel tempo si era dato credito alla teoria che si trattasse di una sparizione volontaria avvenuta il dodici, tredici novembre o giù di lì. Più tardi do un’altra occhiata agli appunti e ti faccio sapere.»
Bernie annuì. «C’è dell’altro. Negli anni Novanta al Woolner c’era un altro studente, di nome Joel Smythe. Dopo aver terminato gli studi, se n’è tornato a casa, nel Surrey, si è sposato, ha avuto un paio di figli. Vorremmo interrogarlo, ma non possiamo perché qualche anno fa è andato a Londra in viaggio d’affari e non si è più preso la briga di tornare. A parte una telefonata alcuni mesi dopo la partenza, nessun familiare ha più avuto sue notizie. Vorrei che controllassi se hai anche qualcosa su di lui.»
Billington alzò le mani. «Ma dai. Questo voleva andarsene e avrà deciso di…»
Bernie gli lanciò un’altra occhiataccia. «Io penso di saperlo, tu pensi di saperlo, ma in realtà non sappiamo un bel niente. Da quando eri nel giro è cambiato tutto. Non si dà più niente per scontato. Di questi tempi si tiene la mente aperta, si individuano i fatti, si costruiscono teorie.»
Billington ghignò. «Ho sentito dire che lavori con una rossina, una psichiatra. Mi sa che la sua presenza si fa sentire.»
Senza prendersi il disturbo di correggerlo, Bernie proseguì. «I rapporti dell’epoca li abbiamo già riletti tutti. Adesso tocca a te vedere cosa si trova negli articoli di giornale di allora.»
Billington si strofinò le mani. «Nessun problema. Qualunque cosa tu stia combinando, mi salverà da una morte per soffocamento da televisione pomeridiana.»