32

Uscendo dall’auto nel silenzio del primo pomeriggio, in un quartiere di periferia, Kate scrutò la fosca villetta bifamiliare edoardiana. Sembrava trascurata, quasi abbandonata. Aveva controllato bene l’indirizzo. Prese la borsa dal portabagagli e si avvicinò alla casa, fissando il bovindo coperto di polvere al pianterreno. Sei in casa, signor Dixon? Mentre camminava sul vialetto coperto di ghiaia mista a erbacce ormai alte, guardò oltre i vetri polverosi e vide che la luce, entrando dalle finestre sull’altro lato della casa, illuminava una sedia di vimini dallo schienale alto e decorato. E in quella sedia c’era una sagoma semisdraiata. È a casa.

Si avvicinò all’ingresso e suonò il campanello, ascoltandone il riverbero leggero all’interno della casa, gli occhi sempre incollati alla scena in penombra che si vedeva dalla grande finestra.

Poi, a uno scricchiolio di cardini poco usati, Kate si voltò di colpo. Innervosita, guardò la porta aprirsi lenta verso l’interno. Non aveva visto nessun movimento nella stanza. Non può essersi mosso dalla sedia ed essere arrivato alla porta d’ingresso senza che lo vedessi. Ci deve essere qualcun altro in casa.

La tensione che percepiva aumentò quando un viso grigio e avvizzito apparve nella fessura tra la porta e lo stipite e parlò con voce roca. «Non sei dei Servizi sociali, quindi fuori dalle palle. Qualunque cosa tu voglia vendermi non ne ho bisogno.» La fessura si stava già richiudendo.

Kate tese svelta una mano verso la porta. «Signor Dixon?» L’uomo non rispose. «Io e lei dobbiamo parlare.»

«Tu credi?» La porta continuò a chiudersi. Kate sollevò il tesserino per mostrarglielo. L’uomo scorse il logo della polizia delle West Midlands e la porta si bloccò. Guardò in direzione di Kate, ma senza rivolgerle uno sguardo diretto. «Non ho niente da dire a quelli come voi.»

«Sono sicura che sia così, ma io ho delle domande da farle.»

«E io non ho le risposte che cerchi, quindi vaffanculo.» La porta riprese il suo lento movimento di chiusura.

«O qui o a Rose Road, signor Dixon» disse Kate in tono deciso. «Scelga lei. Ha cinque secondi prima che chiami i rinforzi.»

Il viso che si intravedeva dalla stretta apertura le lanciò un’occhiata torva. «Va bene, va bene. Non c’è bisogno di fare la stronza.» L’uomo aprì la porta, storcendo il collo. Kate entrò nell’atrio semibuio, investita da una zaffata di sudore stantio. Dixon chiuse la porta, lasciando Kate dov’era, e si diresse verso un’altra porta in fondo a un lungo corridoio. Attenta a eventuali suoni provenienti da altre parti della casa, e sbirciando la porta chiusa immediatamente alla sua sinistra, Kate lo seguì, notando un paio di scarpe sportive non troppo vecchie sotto a un paio di pantaloni larghi e cascanti. Erano Adidas. L’uomo spinse la porta ed entrò in una cucina fredda, dove si mise a sedere, le braccia incrociate, il viso sprezzante.

Kate scelse una sedia tra lui e la porta e andò dritta al punto. «Signor Dixon, lo scorso gennaio lei ha aggredito un giovane al Woodgate Country Park.»

Il viso avvampò di rabbia. «Mi sono fatto nove mesi di mazzate solo perché qualche ragazzino idiota…» Kate lo lasciò sbraitare, prestando ben poca attenzione al suo sfogo sull’inaffidabilità della vittima. Erano cose che aveva già sentito tante volte. L’uomo si fermò, senza fiato, sfinito, per guardarla dalle palpebre strette. «Sei bassa per essere una sbirra. Che cos’è che fai?»

«Gliel’ho detto, sono di Rose Road. Voglio che lei dia un’occhiata a un paio di fotografie.»

Il viso giallognolo si colorì di nuovo. «Ma perché venite sempre a pizzicare me?» chiese. «Ci sono un bel po’ di altri tizi che potrebbero…» Si interruppe quando Kate posò la prima fotografia sul tavolo davanti a lui, picchiettandovi sopra con un dito. «Questo adolescente è stato aggredito da un maschio adulto al Woodgate Country Park, l’anno scorso. Voglio solo che lei mi dica se l’ha mai visto.» Kate insisté sulla richiesta battendo di nuovo il dito sull’immagine.

Con un’espressione stanca ma circospetta, l’uomo guardò frettolosamente la foto. «Mai visto in vita mia.»

«Guardi bene, signor Dixon» ordinò Kate. «Potrebbe cambiare idea.»

Dixon ubbidì, sospirando rumorosamente. «Come ho detto, no. Non ho mai messo gli occhi su questo qui.» Il viso si raggrinzì tutto, scoprendo i denti anteriori storti. «E su nient’altro, se è per quello.» L’uomo colse il cambiamento dell’espressione di Kate. «Non mi guardare in quel modo. Questa è casa mia e qui dentro dico quel che mi pare e piace.» Scosse la testa. «Non capite mai le battute, voi.»

«L’ha visto?» ripeté Kate.

«No. Non l’ho visto, e se l’avessi visto non me ne sarebbe importato niente. Io preferisco i ragazzini snelli, biondi…»

«Lui è biondo» sbottò Kate. Era.

«E grasso, a vederlo. Io vado con gli smilzi.»

Kate usò la sua risposta per fargli un’altra domanda. «Lei va anche a fare terapia per chi ha commesso crimini sessuali. Come sta andando?» Kate pensò che l’uomo stesse per mentire e infatti fu così.

«Bene.» Evitando di guardarla, Dixon prese un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni. Frugò in cerca di qualcos’altro e poi la fissò. «Hai da accendere?»

Kate non intendeva farsi distrarre. «Che cosa mi dice dei suoi compagni, signor Dixon? Qualcuno di loro avrebbe potuto trovare di suo gradimento questo ragazzo?» Lo guardò mentre si alzava e si chinava sui fornelli unti con la sigaretta tra le labbra.

Poi l’uomo si raddrizzò, soffiò fuori il fumo e tornò a sedersi. «Io non ne ho, di “compagni”. È questo che ho imparato dalla terapia. Non vado in giro con nessuno. Non vedo nessuno. Ho già abbastanza menate nella vita e…»

Kate lo interruppe prima che andasse avanti con l’autocommiserazione. «Amici? Partner?» domandò, sempre pensando alla sagoma che aveva visto dalla finestra.

Dixon si ingobbì, aspirando dalla sigaretta ed evitando il suo sguardo.

«Niente.»

«Lei ha precedenti di violenza sulla sua ultima partner» disse Kate, secca.

La pelle malconcia e giallognola si arrossò di nuovo. «Solo per quello che mi aveva fatto lei!»

Kate aspettò e, quando vide che l’uomo non diceva altro, lo incalzò: «Che cosa le aveva fatto?».

Dixon rimase in silenzio per alcuni secondi. La rabbia svanì alla stessa velocità con cui si era presentata. «Mi aveva tagliato il pane tostato in quattro quadretti. Nessuno mi tratta come se fossi un bambino. Chi cazzo si credeva di essere?» Kate aspettò di nuovo. Aveva capito che l’uomo era afflitto da un immane senso di inadeguatezza, cosa dalla quale intuiva che la sua infanzia doveva essere stata talmente negativa che qualunque comportamento gli ricordasse quella vulnerabilità poteva innescare una spirale di furia e violenza. Picchiettò nuovamente sulla fotografia di Bradley Harper.

Dixon la riguardò e poi fece di no con la testa. «Non mi viene in mente nessuno che possa averci provato con lui ma… ma adesso che ci penso, credo ci fosse questo tipo che ho visto un paio di volte da quelle parti… Uno che attaccava bottone con i ragazzi cicciottelli. Io passavo di lì per caso… è successo mesi prima che mi arrestassero.»

«Mi parli di lui.»

Dixon si strinse nelle spalle, alzando una mano per toccarsi i capelli spettinati, mandando un’ondata di odore pungente verso Kate. «Non ho niente da dire.» La guardò dall’alto in basso. «Era un tipo elegante. Probabilmente è per questo che l’ho notato. Era un po’ fuori luogo.»

«Perché “elegante”?»

«I vestiti. La voce. Una volta l’ho sentito parlare al telefono.»

«Che cosa diceva?»

«Non lo so. È passato troppo tempo.»

«Continui a descriverlo» ordinò Kate.

Dixon assunse un’aria offesa. «Ma voi la usate mai la parola “per favore”?» Fece un sospiro. «Le volte in cui l’ho visto aveva una giacca scura e poi camicia e cravatta… anche se faceva caldo.» Strizzò gli occhi, guardando in su. «Bassino. Sul metro e settanta. Viso grassoccio e tondo. Capelli cortissimi… un po’ stempiati qui.» Si indicò le tempie. Kate pensò all’istante ad Alastair Buchanan. Quanto sarà stato alto Buchanan? «Colore dei capelli? Età?»

«Scuri, forse lì lì per ingrigire. Direi fra i trentacinque e i quarantacinque.»

«Si sforzi di indovinare.»

«Mah, sui quaranta. Non vado in giro a guardare come è messa la gente.» Fece una pausa. «Un’altra cosa. Aveva gli occhiali.» Formò due cerchi con gli indici e i pollici. «Sai, tipo Harry Potter.»

Kate tese la mano verso la fotografia. Quando erano stati da lui, Buchanan non aveva gli occhiali. Il che non significava che non li portasse. Voleva comunque saperne di più su Dixon. Fece la domanda successiva senza aspettarsi una risposta onesta. «Per quanto tempo ha compiuto molestie sessuali al Country Park, signor Dixon?»

Gli occhi dell’uomo elusero il suo sguardo. «Quella è stata l’unica volta.»

Kate sollevò le sopracciglia. «E l’hanno arrestata per quella?» domandò, meravigliandosi che l’uomo non immaginasse che, prima di fargli visita, lei si era informata su di lui nei minimi dettagli.

Con espressione ostile l’uomo avvampò di nuovo, senza preavviso. «Già! Succede!»

«Direi che questo episodio fa di lei la persona più sfortunata che conosca, signor Dixon.»

Il volto dell’uomo si contorse in una smorfia. «È perché non mi conosci.»

Kate prese l’altra fotografia e la posò davanti all’uomo. «E che cosa mi dice di quest’altro ragazzo?» L’immagine di Nathan Troy sorrideva.

Dixon sbuffò fumo, guardando la foto con scarso interesse. «Stai scherzando. Questo è completamente fuori dal mio raggio: troppo alto, troppo vecchio e troppo scuro. Te le ho dette le mie preferenze: giovani, biondi, smil…»

«Me le ha già dette.» Rimettendo in borsa entrambe le fotografie, Kate si alzò, si allontanò dal tavolo e poi si voltò. «Che numero di scarpe ha?»

L’uomo la guardò storto, ma non si mise a cavillare. «Quarantadue.» Lo sguardo si trasformò in un ghigno diffidente. «Questo significa che ti posso chiedere che misura…»

«Chi c’è in casa con lei?» domandò Kate.

L’uomo sollevò lo sguardo e la fissò. «Di che parli, adesso?»

«Non mi prenda in giro» lo ammonì lei, ripetendo la domanda.

Dixon sembrava sbigottito. «Nessuno. Sono solo qui. Non posso tenere nessuno…»

«Ho visto perfettamente che c’era qualcuno. Dalla finestra sul davanti, quando sono arrivata. Chi è?» chiese di nuovo Kate, ora sicura di sé.

«Non c’è nessuno, ti dico. Vieni qui a dare ordini e non sai niente di me.»

Kate arretrò di qualche passo, con espressione dura. «Se pensa che sia una stupida sta facendo un grosso errore. So tutto di lei, signor Dixon. Conosco la sua fedina penale, la sua condizione di elemento ad alto rischio, e so perché fa le cose che fa. Io so che cosa c’è nella sua testa. Conosco la sua personalità in tutta la sua inadeguatezza. So che non riesce o non vuole controllare i suoi comportamenti sessuali… e sospetto che non voglia, perché questo aspetto della sua vita le piace così com’è. Non venga a dirmi che cosa so!» Riprese fiato. «Io la conosco. Non ne dubiti.»

Nel silenzio della cucina fredda, Kate rimase a fissarlo, furente. Lo spaccone era scomparso per lasciare il posto a un uomo accasciato sulla sedia. Kate ripensò alla sua probabile infanzia, ma poi non si fece intenerire: come chiunque, anche lui aveva avuto la possibilità di fare delle scelte. E fino ad allora aveva fatto solo quelle sbagliate. «Sto aspettando.»

Dixon la fissò, immusonito. Si alzò, la oltrepassò con passo dinoccolato per raggiungere la porta e uscì. «Va bene. Visto che sai tutto.»

Kate lo seguì, ripensando alle volte in cui Bernie le aveva detto la stessa cosa. Lo seguì nel gelido corridoio in penombra e poi aspettò mentre si fermava davanti alla porta chiusa del salotto, fissandola con la mano sulla maniglia.

«Sicura di voler vedere?» Il suo alito le colpì il viso.

«Apra

L’uomo spinse la porta e Kate entrò. Ecco. La sedia di vimini che aveva visto dalla finestra e chi ci stava sopra, travestita con una specie di uniforme scolastica, afflosciata in una posizione innaturale, i capelli arruffati, il viso che fissava il pavimento, la bocca rossa spalancata.

Kate si voltò e tornò dove la aspettava Dixon, sapendo che tutto ciò che aveva visto e sentito avrebbe confermato il progetto di Salma di farlo incarcerare di nuovo. Le bastò guardarlo rapidamente, lì, in piedi sulla soglia, per vedere che era soddisfatto. Capì che l’uomo era davvero scarsamente consapevole di sé, ragion per cui non si rendeva conto che la sua libertà sarebbe durata ancora poche ore soltanto.

Kate sollevò lo sguardo verso l’ampio bovindo mentre usciva dalla stanza per raggiungere la porta d’ingresso. «La sua “fidanzata” ha bisogno di prendere un po’ d’aria, signor Dixon, e lei dovrebbe comprare delle tende.»

Mentre tornava a casa, Kate ripensò alle informazioni su Dixon che aveva a disposizione. Tutto ciò che sapeva di lui, compreso il suo legame con il Woodgate Park, ne faceva un ottimo candidato al ruolo di omicida di Nathan Troy. Scosse la testa. Intuiva che anche vent’anni prima Dixon non avrebbe avuto la sicurezza e le capacità necessarie a iniziare uno scambio di natura sociale con Nathan Troy, né sarebbe stato in grado di controllarlo. In questa indagine tutte le strade portano a quel maledetto parco. Si spostò nella corsia accanto, prendendosi un colpo di clacson irritato da una macchina troppo vicina.

Stava aspettando che qualcuno rispondesse al telefono. Ci vollero sei squilli.

«Che cosa?»

Diede un calcio a un arbusto poco distante. «Ma dove sei? Hai detto che venivi e portavi…»

«Sto arrivando.»

«Sbrigati. Lo sai quanto odio questo posto e… Aspetta.» Si voltò, abbassando il cellulare. C’era qualcuno che lo stava chiamando. Per nome. Aggrottò la fronte, guardando in alto, in ascolto.

«Stuart? Stuart! Ti devo parlare.»

Sollevò il cellulare, sempre più teso. «Senti, c’è qualcuno qui.»

«Sono quasi arrivato. Resta lì.»

«Non mi piace questa roba. Non so chi cazzo sia questa qua, ma mi sta chiamando per nome. Sa chi sono!»

«Che aspetto ha?»

In ansia, mentre cominciava a spostarsi, il ragazzo dette un’alzata di spalle. «Non lo so. È una tizia.»

Dall’altra parte ci fu un momento di silenzio, poi: «Piccola, snella? Capelli lunghi e rossi?»

«Sì, credo, ma…»

«Via. Adesso. Vieni in strada.» La telefonata si interruppe.

Sapendo della determinazione di Bernie a convocare di nuovo il ragazzo a Rose Road, Kate si mise entrambe le mani ai lati della bocca. «Aspetta!» il ragazzo era scomparso e lei capì subito che non avrebbe avuto senso inseguirlo nella luce ormai calante. Pensò a ciò che gli aveva sentito dire l’ultima volta che era venuto in centrale. Pensò alla giacca costosa, alle scarpe. Se il suo ragionamento filava, prendendo in considerazione la giovane età del ragazzo, poteva essere vulnerabile a…

Alla sua sinistra, non troppo distante, sentì il colpo attutito della portiera di una macchina che si chiudeva e rimase in ascolto. Poi un motore fu avviato e si allontanò, dissolvendosi in un morbido ronzio.

Niente di umano
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