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Kate guidò sulla spianata di terreno sopraelevato e parcheggiò in uno spazio stretto. Più in basso ferveva una grande attività. Con l’impressione di assistere ormai a una terribile routine, uscì dalla macchina e andò giù per la discesa ripida. Niente stivali di gomma, quel giorno. Sentiva il fango freddo sui piedi attraverso le scarpe. Quando vide Joe, Kate alzò la mano in un cenno di saluto. Contò il numero degli operatori della Scientifica presenti: quindici. L’indagine dell’Udi era ora una delle priorità di Rose Road, che ci stava investendo parecchio dal punto di vista economico. Furman si sarebbe infuriato.
Andò incontro a Joe. Lui la guardò. «Comincio a sentirmi sulle spine. E tu?» Lei annuì. Bernie stava osservando i movimenti accurati di Connie che, usando una specie di palettina da giardiniere, era intenta a spostare delicatamente il terriccio appena smosso dalla scavatrice gialla lì accanto.
Kate abbassò lo sguardo sull’oggetto delle loro attenzioni e fece una domanda improvvisa, illogica, che manifestava tutta la sua crescente stanchezza. «Non mi dirai che è Stuart Butts, vero?»
Connie si accovacciò sui talloni, con il camice tutto sporco e i capelli arruffati. «Non se ne parla nemmeno.» Indicò qualcosa con lo strumento di metallo. «Per essere in queste condizioni, sarebbe dovuto sparire almeno cinque o sei anni fa.» Ricominciò a lavorare, mentre Kate, esaminando il disegno di linee scure nella terra grassa, per il momento tutto ciò che riusciva a vedere, si arrovellava a rintracciare un’identità più plausibile per il cadavere. Connie si fermò di nuovo per sollevare lo sguardo verso di lei e poi verso Bernie e Joe, mentre arrivavano gli agenti della Scientifica e cominciavano a posizionare grandi luci per quando sarebbe scemata quella naturale. «Non avrò molto da dirvi finché questo…» indicò le leggere ondulazioni nel terreno «… non sarà del tutto scoperto e lo avremo portato all’obitorio, almeno per un esame preliminare.» Si rimise all’opera. «Il che non avverrà prima di domani nel tardo pomeriggio. Voglio dire, sempre che siamo fortunati e che il mio sostituto abbia voglia di fare gli straordinari.»
Gli occhi di Kate vagarono sui resti indistinti mentre una brezza leggera arrivava ad avvolgere tutti i presenti, sollevando piccole foglie secche e minuscoli filamenti di vegetazione. Un movimento quasi impercettibile di qualcosa vicino al punto in cui si trovava Connie catturò la sua attenzione. Anche Connie se ne accorse. Kate guardò di nuovo, con maggiore attenzione.
La brezza leggera soffiò ancora, sollevando ciocche di capelli sottili. Prove delle attività criminali di Noonan? O qualcuno che fa parte della nostra indagine?
Una volta rientrata all’Udi, Kate chiese ai colleghi se non avessero avuto notizie di Cassandra. Tutti scossero la testa. Cassandra non era a casa di Miranda, e Theda Levitte, quando Joe le aveva telefonato per chiederglielo, aveva strillato «No» nella cornetta e aveva riappeso subito. Di conseguenza aveva ricevuto una visita della polizia, che le aveva causato un altro accesso d’ira, ma non ne avevano ricavato niente di utile. Cassandra non era tornata alla Hawthornes. Kate andò alla finestra, scrutando la strada nell’inutile sforzo di convincersi che stava facendo qualcosa di sensato. Dove sei, Cassandra? Si voltò. «Dobbiamo fare qualcosa. Non sta bene, ha bisogno di assumere medicinali con regolarità ed è in pericolo.»
Joe la guardò. «In questo momento ci sono sei agenti a cercarla. Alla Hawthornes, a Hyde Road, persino al Woolner.»
«E se non la trovano da nessuna parte?»
Con quella frase si guadagnò un’occhiataccia da parte di Bernie. «Queste sono procedure standard di polizia. Dacci fiducia e lasciaci fare il nostro lavoro.» Kate tornò al tavolo e si mise a sedere di fronte a lui, lottando per contenere il disagio.
Lui la stava ancora guardando. «Continuo a pensare a ciò che hai detto ieri in merito alla gravidanza di Cassandra… che era possibile che fosse stato suo padre. Okay, le ha fatto quello che le ha fatto, ma non riesco a immaginarmela che sopporta una cosa del genere praticamente da adolescente, da studentessa di college.»
Ora alla tensione di Kate si aggiunse anche l’impazienza. «Ne abbiamo già parlato. Per vittime come Cassandra, abituate ad anni di aggressioni sessuali subite all’interno della famiglia, può essere estremamente difficile interrompere il circolo vizioso.»
Lui la guardò, dubbioso. «Se lo dici tu.»
«Lo dico io.» Kate scorse alcune pagine del quaderno. «A metà ottobre del 1993 le hanno dato conferma che era incinta di nove settimane. Se le date sono affidabili, è probabile che il concepimento risalga a un momento imprecisato dell’agosto 1993. Potrebbe essere stato suo padre… o qualunque altro maschio coinvolto in questa indagine.» Spinse via il quaderno.
Julian si voltò verso di lei. «Quindi è rimasta incinta solo poche settimane prima della scomparsa di Nathan Troy.»
Bernie si appoggiò alla scrivania, le spalle incurvate. «Anch’io ho pensato a questa cosa. La sua relazione con il giovane Troy non era per niente una stronzata platonica. E se Troy fosse stato lì lì per diventare padre a diciannove anni? Nell’agosto del 1993 il suo grandioso futuro da artista era già sfumato, perché presto avrebbe dovuto mantenere un bambino. Stava pensando di battersela.»
Kate si rivolse a Bernie. «Che cosa ci ha detto sua madre di lui? Che aveva saldi princìpi morali.»
«Sì, va be’. Una madre direbbe sempre roba simile, no?»
Julian scrutò i colleghi. «Magari il padre era Buchanan?»
«Hai sentito che cosa ho appena detto?» gli chiese Bernie. «Troy è il più probabile…»
La porta si spalancò e apparve Whittaker. «Ora è pronto, sergente Watts, tenente.»
Kate guardò Bernie arraffare alcuni fogli. Lui le agitò davanti l’identikit. «Roderick Levitte non sa ancora di questo. Vieni?»
«E Cassandra?»
«Non possiamo fare più di quello che stiamo facendo. Roderick Levitte va interrogato sull’aggressione dell’anno scorso a Bradley Harper e pensiamo che possa confessare anche l’omicidio del padre. Se non ci parliamo e lui se ne va perché non possiamo più trattenerlo, potrebbe rappresentare una minaccia per la sorella, per ragioni che ancora non sappiamo. Adesso vieni?»
Kate li seguì fuori dall’Udi. «Su quali ragioni effettive si basa il fermo? Solo guida in stato di ebbrezza?»
«Per adesso» rispose Joe.
Bernie annuì, mentre si avviavano su per le scale. «Quando è arrivato blaterava di voler fare una “confessione”. Facciamo due chiacchiere con lui, gli mostriamo l’identikit e poi passiamo a parlare della morte del padre. Se dice qualcosa di anche solo vagamente incerto, lo tratteniamo. Non vogliamo che sia a piede libero, in giro a parlare e a inquinare qualsiasi altra informazione possiamo ottenere da quella sua maledetta famiglia. Non è stato uno psicopatico di passaggio a uccidere Henry Levitte e lo stesso vale per Troy e Harper. Vediamo che cos’ha da dire Roderick.»
Dietro allo specchio unidirezionale, Kate stava osservando Roderick Levitte con occhio critico. Bernie stava intonando il solito preambolo che si faceva all’inizio degli interrogatori, mentre il registratore era acceso. Levitte aveva rinunciato a esercitare il suo diritto di rivolgersi a un avvocato. Fino ad allora non c’era stato granché da registrare. Aveva un aspetto terribile.
Joe e Bernie erano al tavolo, seduti di fronte a Roderick. Bernie lo guardò furibondo e provò a dargli una scossa. «Quando l’ho arrestata per guida in stato di ebbrezza, lei ha detto di volerci dire qualcosa. Ha usato la parola “confessione”. Ecco la sua opportunità. Sentiamo.» Levitte non sollevò neanche gli occhi dal tavolo.
Joe intervenne dopo un cenno impercettibile da parte di Bernie. «Signore? C’è qualcos’altro che desidera dire o raccontarci?» Ancora nessuna risposta.
Bernie gli lanciò un’occhiata fiammeggiante. «Allora!»
Respirando a fatica, Kate aspettava che parlasse. O che si muovesse. A un certo punto Levitte fece entrambe le cose. Raddrizzò la schiena, guardò prima Bernie e poi Joe. «Ero ubriaco. Non sapevo cosa dicevo.»
I due colleghi si guardarono. Bernie si chinò di nuovo in avanti. «Ubriaco, ma sempre molto preciso nell’espressione. “Confessione” è una di quelle parole che capiscono tutti… in particolare quando viene pronunciata in un posto come questo. Davanti a degli agenti di polizia.»
Levitte si portò al volto una mano tremante. «Devo uscire di qui. Andare a casa. Adesso sono il capofamiglia. Hanno bisogno di me.» Kate si sentì tesa. Vuole uscire di qui per andare da Cassandra? I due agenti lo stavano fissando in silenzio. Il colore salì al viso di Levitte e la sua espressione si fece rabbiosa. «Sentite, sono sotto una considerevole dose di stress. Lo è tutta la mia famiglia. Lo sapete. Okay, quando sono arrivato qui ero messo male. Vi sorprende?» Stava rapidamente perdendo il controllo, come era successo quando Kate lo aveva visto in Margaret Street. Picchiò una mano aperta sul tavolo, alzando la voce. «Non potete trattenermi qui. Non ho fatto niente. Ho solo bevuto troppo. Lo fanno tutti, qualche volta. Anche voi. Non sapevo che cosa stessi dicendo o facendo. Sono sicurissimo di non avere nient’altro da dirvi, che diamine.» Si rimise a sedere, respirando affannosamente, voltandosi da un’altra parte.
Kate colse lo sguardo che balenò tra i due colleghi, guardò Bernie infilare la mano nella busta, tirarne fuori il foglio e posarlo di fronte a Levitte. «Per la registrazione: il detective sergente Watts sta mostrando al signor Roderick Levitte un identikit. Ha qualche commento al riguardo?»
Levitte lo guardò, passando dal pallore al colorito cinereo. Fissò i due poliziotti e poi di nuovo l’identikit, mentre le luci della stanza facevano luccicare le gocce di sudore che gli erano comparse sulla fronte. Le mani tremanti schizzarono in avanti ad afferrare l’identikit, che fu spostato al di fuori della sua portata. Ora il sudore gli stava grondando in viso e sopra la bocca semiaperta.
Rimettendo l’identikit sul tavolo, Bernie vi picchiettò sopra. «Abbiamo un testimone che ha identificato questo individuo come presente al Woodgate Country Park l’anno scorso, nel giorno in cui un quindicenne subì un’aggressione. Corrisponde anche ai dettagli fisici forniti all’epoca dalla vittima. Prese di nuovo la busta e ne estrasse una fotografia. «Ora il detective sergente Watts sta mostrando a Roderick Levitte una foto di Bradley Harper. È questo ciò di cui ci voleva parlare?»
Levitte sembrava sul punto di vomitare. «No!»
«Ha mai visto questo ragazzo prima d’ora, signore?» chiese piano Joe. Gli occhi di Levitte guizzarono da un agente all’altro, la bocca si serrò.
«Su. Abbiamo qualcuno che dice di aver visto quest’uomo, che ha il suo stesso aspetto, avvicinarsi al ragazzo. Un ragazzo che recentemente è stato trovato morto al Woodgate Country Park.» Gli puntò contro l’indice. «Ma lei sa già tutto, no? Lei l’ha ucciso. Lei ha ucciso Bradley Harper.»
Kate stava fissando il viso di Roderick Levitte. Era bianco come gesso. Il petto si alzava e si abbassava. Sollevò una mano ad asciugare la fronte bagnata. «È tutto sbagliato. Questo non è ciò che io… Ero confuso. Avevo sognato così tante volte che mio padre morisse e mi sentivo in colpa… Ecco che cosa intendevo con “confessione”. Ed ero ubriaco.» Abbassò lo sguardo sull’identikit e poi sul viso di Bradley Harper. «Okay. Sì. L’ho visto qualche volta al parco, un sacco di tempo fa. Io volevo solo parlare. Non gli ho fatto niente. Non gli ho mai fatto niente, lo giuro, no!»
Kate vide Bernie tendere i muscoli delle spalle e farsi rosso in viso. Il contrasto con il pallore di Levitte era ancora più evidente. «Roderick Levitte, la arresto per l’aggressione di Bradley Harper al Woodgate Country Park…»
«Questo è un incubo!» gridò l’uomo, coprendo le parole di Bernie.
«La arresto anche per il suo coinvolgimento negli omicidi di Nathan Troy e Bradley…»
«No! No! Fatemi uscire di qui.»
Ci vollero quattro robusti agenti per farlo spostare dalla stanza degli interrogatori e portarlo nella cella di custodia nel seminterrato.