65

Theda Levitte si voltò, seduta sulla sedia con un’espressione furibonda sul viso. «Perché sono stata trascinata qui? Voglio andarmene.»

Kate si mise a sedere in un angolo, mentre Joe e Bernie si sedettero di fronte alla donna. Fu Bernie a esordire: «Lei è stata convocata per un interrogatorio e questi sono i patti: può aspettare che arrivi il suo avvocato o può accettare l’avvocato d’ufficio che è già qui. Che cosa preferisce?». La donna si volse di nuovo verso il tavolo, schiumando di rabbia, la bocca irrigidita. Bernie si alzò. «Bene. La trasferiamo nell’area di custodia finché il suo avvocato…»

«Vada avanti» latrò lei. «Io non ho fatto niente e non rimarrò qui un minuto di più del necessario.» Bernie fece un cenno al giovane agente accanto alla porta, che lasciò la stanza. Attesero in un silenzio carico di rabbia finché l’avvocato d’ufficio non comparve e non si mise a sedere accanto alla donna.

Bernie tese il braccio verso il registratore, avviando la procedura con la formula consueta e con l’elenco dei presenti. «Ha il diritto di rimanere in silenzio, ma può nuocere alla sua difesa se a una nostra domanda omette di citare qualcosa di cui poi si avvarrà in tribunale…»

«Vaffanculo!»

«… Qualunque cosa dirà potrà…» Bernie andò avanti, fissando il muro davanti a sé, mentre la luce del registratore brillava. Rimasero seduti in silenzio, i visi pallidi per via del riverbero della luce diretta sul tavolo. L’avvocato d’ufficio Eunice Wilton aveva la faccia di una cui fossero piombati addosso all’improvviso tutti i problemi di questo mondo. A Rose Road era nota con il nomignolo di «Pappamolla».

I piccoli occhi neri di Theda Levitte scivolarono su Kate, seduta in una zona della stanza relativamente in ombra. Bernie parlò di nuovo. «Per via di alcune informazioni in possesso della polizia delle West Midlands, è mio dovere registrare ufficialmente questo interrogatorio.» La donna lo guardò in cagnesco, appoggiandosi allo schienale. «Lei è stata arrestata per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Nathan William Troy, diciannove anni, avvenuto il dieci novembre del 1993 o nei giorni precedenti o immediatamente successivi, e per la distruzione premeditata di prove collegate al suddetto omicidio. Questo colloquio viene registrato ufficialmente nella centrale di polizia di Rose Road, Harborne, Birmingham. Sono le…» Proseguì nel silenzio pesante. «Sono presenti al colloquio…» Gli occhi della donna non si staccarono dal suo viso. «Potrebbe presentarsi e confermare che non c’è nessun altro…»

«No comment.»

Eunice ebbe un sussulto sulla sedia. «No, no. Deve fare ciò che le chiede il sergente Wa…»

«Lo sanno chi sono, capra.»

Bernie puntò lentamente un dito. «La smetta. Aspetteremo.» Irrigidita dalla rabbia, Theda Levitte fornì i dettagli richiesti. Kate si accorse che era talmente infuriata che parlava con un accento settentrionale più spiccato. Bernie continuò. «… E qualunque cosa dica potrà essere usata come prova…»

«No comment.»

Eunice stava passando un gran brutto momento. «Shh! Non ancora.»

Kate guardò il viso della donna. «Non ti azzardare a zittirmi» gridò. Lanciò un’occhiata furibonda a Bernie e poi a Joe. «È ancora qui Roderick. Che cosa ha detto di me?»

Bernie la squadrò, disgustato. «Deve dar retta all’avvocato. Siamo qui per ottenere informazioni, non per darle a lei.»

Tutti, compresa Kate, sobbalzarono quando Theda Levitte rispose con un grido stridulo: «Qualunque cosa abbia detto, è un bugiardo!».

«Signora Levitte, la prego.» Eunice stava lanciando occhiate infastidite verso l’altra parte del tavolo.

«Deve cominciare a comportarsi bene o la chiudiamo in cella!» ruggì Bernie.

«Se vi ha detto che io so qualcosa, qualsiasi cosa, lo nego.» Si voltò, distogliendo lo sguardo da Bernie e incrociando le braccia.

Kate guardò l’avvocato, il cui viso ormai aveva il colore di un pesce vecchio di due giorni. «La prego, signora Levitte. Deve ascoltare…» gemette.

Voltando alcuni fogli sul tavolo, Bernie trovò quel che cercava e fece scorrere il dito sull’elenco stilato da Kate, che conteneva ciò che aveva visto a Hyde Road. «In casa sua c’erano oggetti che indicavano attività di natura sessuale tra maschi adulti e minorenni. Lei ha distrutto i suddetti oggetti perché sapeva che le forze di polizia stavano arrivando a perquisire la sua proprietà. Che cosa ha da dire in proposito?» Nessuna risposta. Kate vide gli occhi di Bernie vagare su una stampata che aveva sul tavolo. «Proviamo con questa. Lei lavorava come infermiera in un ospedale psichiatrico di Sheffield nei primi anni Ottanta. Il suo cognome, allora, era Barr. Lasciò quell’impiego in seguito ad accuse di maltrattamento da parte di alcuni pazienti. Ha precedenti per furto e frode sotto lo stesso nome…»

«È storia vecchia» sbottò la donna.

Bernie la guardò intensamente. «Sì. Ma la riguarda direttamente. Questa è la sua opportunità di recuperare. Ci dica che cosa sa delle attività sessuali che Henry Levitte praticava nella sua abitazione, oppure dovrò interrompere questo colloquio a causa della sua ostilità e mancanza di collaborazione.» Le rivolse uno sguardo feroce. «Si decida.»

Durante il discorso di Bernie, Eunice aveva rivolto a Theda continui sguardi impauriti. «È nel suo interesse agire come dice il serg…»

Come se l’avvocato non avesse parlato, Theda Levitte fissò Bernie. «Non posso dirvi niente al riguardo, perché non so niente.»

Bernie la guardò, furente. «È stata sposata con Henry Levitte per una ventina d’anni. Viveva in quella casa con lui.»

«E allora? Continuo a non sapere nulla di… quell’aspetto della sua vita.»

Kate spalancò gli occhi. Rivolse tutta la sua attenzione a Joe, che parlò in quel momento. «Per la registrazione: ora è il tenente Corrigan che parla. Signora Levitte, quando fa riferimento a “quell’aspetto” della vita di suo marito, questo include l’abuso di uno o più dei suoi figli?» Kate trattenne il fiato.

«Lei era un’adolescente al tempo in cui incontrai Henry. Non ne sapevo niente.»

«Ma poi è venuta a saperlo» ribatté Joe, gli occhi fissi in quelli della donna.

«No.»

«Però sapeva che Henry Levitte abusava verbalmente del figlio Roderick» continuò Joe.

Theda Levitte guardò lui, poi Bernie, poi di nuovo lui. «Che cos’è questa roba? Niente di tutto ciò ha a che fare con me. Non sono figli miei.»

Kate colse il cenno di assenso tra Joe e Bernie, che intervenne di nuovo. «Nei suoi anni di matrimonio con Henry Levitte, lei sapeva che lui utilizzava maschi minorenni a scopi sessuali…»

«Non ne so niente. Non avete niente contro di me, perché non c’ero mai.» Kate osservò i piccoli occhi neri altalenare di nuovo tra Bernie e Joe.

«Che cosa sta dicendo? Che non era mai in casa quando succedeva qualcosa di cui non sapeva niente?» Bernie si sporse in avanti. «La smetta di giocare. Parli

Kate e i due colleghi attesero, mentre un’espressione calcolatrice attraversava il viso di Theda Levitte. Aveva preso una decisione. «Ho incontrato Henry quando stava lavorando in una galleria di Sheffield.» Contorse la bocca. «Non è stata una storia granché romantica e non mi ci è voluto molto per capire di che cosa si trattava: sesso. Il che mi andava benissimo, perché i soldi mi piacciono davvero tanto.»

Kate non riusciva quasi a respirare. Bernie si tolse le mani dalla bocca e parlò. «Sta dicendo che sapeva cosa faceva?»

La testa di Theda Levitte fece un cenno di diniego con grande decisione. «No. Non lo sapevo. Non volevo saperlo.» Vide le espressioni incredule degli astanti. «Pensate a che cosa ho ottenuto sposandolo: una grande casa, soldi, una bella macchina.» Si strinse nelle spalle. «Non mi interessava nient’altro. Non erano affari miei.» Nel silenzio lugubre, la donna proseguì. «Avevamo questo accordo. Lui mi dava delle date in cui voleva la casa tutta per sé. Erano un paio di giorni una volta al mese, qualche volta due. In quei periodi prenotavo una stanza d’albergo a Birmingham, mi prendevo del tempo per me, mi facevo viziare. Posso darvi i dettagli, le ricevute degli alberghi, potete controllare la mia presenza in quei posti.» Guardò dall’altra parte del tavolo. «Io non ero mai a casa in quelle date. Lui non mi dava mai spiegazioni su quello che succedeva e io non gli facevo mai domande.»

Joe la guardò negli occhi. «Lei sapeva che in casa sua c’era una stanza al piano superiore che veniva utilizzata per organizzare delle attività sessuali, e un’altra stanza in cui venivano conservati gli oggetti citati dal sergente Watts.»

La donna lo fissò. «Quella stanza del piano di sopra veniva sempre tenuta chiusa. Non mi è mai stata data la chiave. Quanto agli “oggetti”, non so di che cosa stiate parlando.»

«Chi ha ucciso Nathan Troy? Aveva preso parte a uno di quei festini?» La voce di Kate aleggiò nella stanza. I piccoli occhi si volsero verso di lei.

«E come faccio a saperlo? Non sono stata io. Perché avrei dovuto uccidere lui o chiunque altro?»

Kate si alzò e andò alla porta. La donna non aveva negato che Nathan Troy si trovasse a casa loro e questo, agli occhi di Kate, confermava ciò che le aveva già rivelato la giacca di Nathan appesa nel ripostiglio segreto, cioè che il viaggio di Nathan Troy verso la morte era cominciato a Hyde Road. Raggiunse la porta, poi si voltò: «Dov’è Cassandra?».

Theda Levitte roteò gli occhi. «Potrebbe essere ovunque. A spendere soldi, a adescare uomini. Chi lo sa?»

Kate uscì. Joe la guardò uscire, mentre Bernie ricominciò. «Per la registrazione, la dottoressa Hanson sta lasciando la stanza. Theda Levitte, in questo momento la accuso ufficialmente di aver distrutto prove essenziali all’indagine sulla morte di Nathan William Troy…»

Kate rimise il pennarello nella piccola vaschetta sotto la lavagna, poi si mise a sedere sul tavolo, fissando ciò che aveva scritto, i nomi che aveva cancellato. Parole che erano state dette per descrivere Henry Levitte nel corso delle indagini. Artista rinomato. Venerabile. Uomo straordinario. Padre devoto. Vecchio stronzo. Vanitoso. Egoista. Ricordò l’esperienza che ne aveva avuto lei stessa: un uomo teatrale al punto di sembrare un damerino, che si affidava alla forza e alle capacità della moglie. Lo ricordò quando dipingeva tranquillamente nella galleria mentre la retrospettiva cresceva intorno a lui. Gli occhi di Kate si spostarono sulla lavagna. Nessuno aveva descritto Henry Levitte come un uomo pigro, invece lo era. Non aveva organizzato la sua stessa retrospettiva. Aveva scaricato quella responsabilità su Roderick, sapendo che non sarebbe stata una grande scelta. Sempre a fare la bestia da soma. Ogni volta che Roderick falliva, faceva affidamento su John Wellan che avrebbe raccolto i cocci. Era troppo stanca per continuare a pensare. Era ora di andare a casa.

Facendo ruotare le spalle per ridurre la tensione, Joe studiò i lineamenti duri della donna davanti a loro. «Henry Levitte dava delle feste a casa vostra. Offriva prestazioni sessuali con minorenni. Lei ci ha appena detto che disponeva di un “ampio gruppo” di compagni. Lo interpreto come un riferimento ad altri uomini coinvolti in quelle attività sessuali.» La guardò negli occhi. «Cosa che significava un sacco di lavoro organizzativo: avvisare i partecipanti delle date, assicurarsi che fossero presenti sufficienti “attrazioni” per gli ospiti.» La guardò, ostile. «Per qualche ragione non riesco a immaginarmi Henry Levitte che fa tutte queste cose. Sta dicendo che non era lei a farlo. Ragion per cui doveva esserci un organizzatore. Chi era?»

Guardandola in faccia, Joe capì di aver colto nel segno. La donna cercò di darsi un contegno con un’alzata di spalle. «Non intendo aiutarvi a fare il vostro lavoro… e non c’era nessuno.»

«Sì che c’era. E penso che ci sia ancora. Qualcuno che conosce molto bene.» La ruga tra le sopracciglia folte della donna si fece più profonda mentre guardava Joe alzarsi per fare un breve cenno a Bernie e dirigersi verso la porta.

Nei quarantacinque minuti passati da quando era arrivata a casa, Kate aveva preparato la cena, con l’aiuto di Maisie. Ora era seduta a tavola e stava giocherellando con il cibo, spostandolo con la forchetta. «Tua madre è fuori dal mondo, topolina.»

«Mamma?»

Kate sollevò lo sguardo, disorientata. L’avevano strappata dai pensieri in cui era immersa. Pensava alla voce di Theda Levitte durante l’interrogatorio. «Che cosa? Scusate, io…»

«Papà si è appena offerto di comprarmi un biglietto per…»

Voci. Biglietto! La forchetta di Kate cadde rumorosamente sul piatto. Uscì di corsa dalla cucina e andò in studio, cercando il cellulare in borsa, digitando il numero a memoria. Risposero quasi immediatamente. «Pronto, parlo con Bill Troy?»

«Sì… dottoressa Hanson?»

«Mi dispiace disturbarla, signor Troy, ma c’è una cosa che devo sapere. Quando io e il tenente Corrigan siamo venuti a trovarla, ci ha detto che aveva comprato i biglietti ferroviari per la gita a Londra con Nathan e che glieli aveva spediti per posta.»

«Sì, è vero.»

Kate cercò di mantenere una voce ferma. «Riesce a ricordare qualche dettaglio riguardo alla spedizione?»

Ci fu un breve silenzio, poi: «Mi ricordo tutto. In seguito si rivelò essere l’ultima cosa che avevo fatto per mio figlio». Kate si morse il labbro, in attesa, mentre per qualche secondo la linea rimase silenziosa. «Gli telefonai e gli dissi che stavo per mandargli i biglietti. Glieli spedii il nove novembre, per posta prioritaria, e il giorno seguente telefonai per controllare che la busta fosse arrivata.»

«E lui le disse che era arrivata?» domandò Kate.

«No. Nathan non c’era. Era all’università, ma uno degli altri studenti rispose al telefono e disse che era arrivata quel mattino e che era ancora nell’ingresso, così Nathan l’avrebbe trovata al suo rientro. Avevo messo il mio nome e indirizzo sul retro.»

Kate si alzò, tenendosi una mano sulla fronte. «Con chi parlò?»

«Non lo so, mi dispiace.»

«Grazie, signor… No, aspetti. Che ore erano quando telefonò a casa?»

«Nel tardo pomeriggio. Credo dopo le quattro.»

«Grazie» disse piano Kate prima di riattaccare.

Doveva esserne sicura. Tirando fuori il quaderno dalla borsa, accese la lampada sulla scrivania e cominciò a sfogliare le pagine, chinandosi sotto la luce. Eccola. L’intervista cognitiva. Aggrottò la fronte. Ciò che aveva scritto non aveva alcun senso.

Infilandosi il cappotto, tornò in cucina e vi trovò Kevin che affettava il formaggio. Maisie non si vedeva da nessuna parte, ma dal piano di sopra si sentiva il ritmo dei bassi di una musica a tutto volume. «Esco.»

La voce di Kevin la seguì. «Esci? E dove vai? Quindi adesso sono semplicemente il babysitter, io?»

Niente di umano
titlepage.xhtml
index_split_000.html
index_split_001.html
index_split_002.html
index_split_003.html
index_split_004.html
index_split_005.html
index_split_006.html
index_split_007.html
index_split_008.html
index_split_009.html
index_split_010.html
index_split_011.html
index_split_012.html
index_split_013.html
index_split_014.html
index_split_015.html
index_split_016.html
index_split_017.html
index_split_018.html
index_split_019.html
index_split_020.html
index_split_021.html
index_split_022.html
index_split_023.html
index_split_024.html
index_split_025.html
index_split_026.html
index_split_027.html
index_split_028.html
index_split_029.html
index_split_030.html
index_split_031.html
index_split_032.html
index_split_033.html
index_split_034.html
index_split_035.html
index_split_036.html
index_split_037.html
index_split_038.html
index_split_039.html
index_split_040.html
index_split_041.html
index_split_042.html
index_split_043.html
index_split_044.html
index_split_045.html
index_split_046.html
index_split_047.html
index_split_048.html
index_split_049.html
index_split_050.html
index_split_051.html
index_split_052.html
index_split_053.html
index_split_054.html
index_split_055.html
index_split_056.html
index_split_057.html
index_split_058.html
index_split_059.html
index_split_060.html
index_split_061.html
index_split_062.html
index_split_063.html
index_split_064.html
index_split_065.html
index_split_066.html
index_split_067.html
index_split_068.html
index_split_069.html
index_split_070.html
index_split_071.html
index_split_072.html
index_split_073.html
index_split_074.html
index_split_075.html
index_split_076.html
index_split_077.html
index_split_078.html