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Più tardi, quel pomeriggio, Connie passò dall’Udi, portando con sé quello che sembrava un grosso album fotografico. Bernie osservò la patologa avvicinarsi a Kate. Le guardò insieme, entrambe piccole e graziose. Sapeva per esperienza che erano tutte e due molto dirette nell’esprimersi, ma le loro somiglianze finivano lì. Connie era praticamente sempre calma e pacifica, mentre Kate poteva essere impaziente, provocatoria e a volte anche esageratamente aggressiva. Si alzò e andò da loro, contraendo rapidamente gli addominali. «Hai qualcosa per noi, Connie?»
«Niente di sconvolgente, ma ho fatto tutto con cura e minuzia per la vostra indagine.» Posò sul tavolo il volume quadrato rilegato a spirale. «Questo è il mio libro delle corde, la mia collezione personale. Una lettura fondamentale prima di andare a dormire.» Bernie si passò l’indice all’interno del colletto della camicia, mentre arrivavano anche Joe e Julian. Connie sollevò la robusta copertina nera per rivelare una prima serie di sei campioni, ciascuno in una busta di plastica trasparente, tutti ordinatamente etichettati e accompagnati da appunti.
«È per Bradley Harper?» domandò Kate.
«Esatto.» Connie voltò diverse pagine rigide. «Ieri sera ho esaminato tutti i campioni. Stamattina ho fatto una prova sui suoi resti con tre possibili corde.» Si fermò e indicò qualcosa. «È questa.» Osservarono una corda bianca dall’aspetto robusto. «Dei settanta campioni circa contenuti qui, questo è il più probabile in termini di spessore e consistenza della superficie. Vedete la tessitura dall’aspetto leggermente a spina di pesce?» Guardò tutti i presenti. «Secondo me è molto simile a ciò che è stato usato per strangolare Nathan Troy.»
Kate toccò la plastica, tastando la corda all’interno. «Per cosa verrebbe usata normalmente?»
Connie fece spallucce. «È molto robusta, quindi può essere usata per un gran numero di attività, anche domestiche, come quelle che richiedono un sistema tipo puleggia, per esempio le finestre a ghigliottina o l’applicazione di oggetti pesanti alle pareti. Sfortunatamente per l’Udi, è molto comune.»
Kate lanciò un’occhiata a Joe, pensando ad alcune finestre a ghigliottina che avevano visto di recente a Worcester. Connie raccolse l’album e li salutò, chiedendo a Bernie: «Dove ci troviamo?».
Lui si massaggiò le guance. «Alla reception tra dieci minuti? Guido io.» Connie annuì con un sorriso e aprì la porta, da cui giunse un suono di passi pesanti sulle scale.
Kate aggrottò la fronte. «Che cosa sta succedendo?»
«Sono gli agenti che si avviano al parco per una rapida perlustrazione in cerca di Stuart Butts. Ci sarà una gran folla laggiù: la Scientifica è pronta e domani mattina comincia con il georadar» rispose Joe.
Le ricerche nel parco dimostrano che Gander sta prendendo sul serio ciò che ho detto. Kate guardò Bernie con un sorriso stanco. «E che cos’altro sta succedendo?»
Lui le lanciò un’occhiata irritata. «Non sta “succedendo” niente. Stamattina sono arrivato alle otto e mi farebbe piacere prendermi una pausa. Connie ha suggerito che potremmo fare un giro a vedere qualche quadro in quel Barber Institute, all’università.»
Joe stirò le lunghe braccia. «Penso che anche noi potremmo prenderci una pausa, Rossa. Che ne diresti di un bicchiere di vino da Malmaison prima di tornare a casa?»
Kate scosse la testa. «Scusa.»
«E se allora ti facessi fare una piccola deviazione? Solo per qualche minuto?» Joe si alzò per prendere le chiavi della macchina e il cappotto di cashmere. Kate esitò, poi prese la sua roba e lo seguì fuori dall’Udi.
Attraversarono il parcheggio di corsa, nella nebbia gelida. «Dove stiamo andando?»
Joe abbassò lo sguardo su di lei. «Vorrei la tua opinione su una cosa.»
Kate si diresse verso la sua auto. «Ti seguo e poi vado a casa.»
Nel giro di pochi minuti la Volvo aveva messo la freccia e si stava immettendo in strada. Kate fece lo stesso. Poi parcheggiarono fuori da un agglomerato di casette edoardiane a schiera, ciascuna di tre piani. Erano su Regent Road, che correva parallela a High Street. Kate uscì dalla macchina e raggiunse Joe che la stava aspettando, osservando le case. Dopo una manciata di secondi Kate lo guardò, aggrottando la fronte e stringendosi nelle braccia. «Si gela. Che cosa stai guardando?»
«Che cosa ne pensi?»
«Di che cosa? Sono troppo stanca e ho troppo freddo per giocare agli indovinelli. Parla.»
«Quella con la porta blu. È mia.» Quelle due brevi parole la colpirono al plesso solare con la forza di un pugno. Non riusciva a trovare niente da dire. «L’ho comprata la scorsa settimana. Che cosa ne pensi?» chiese di nuovo, guardandola.
Kate ricordò che aveva nominato un agente immobiliare quando avevano cenato tutti a casa sua. Guardò la porta blu Oxford, il glicine secco e senza foglie che nei mesi seguenti sarebbe diventato uno splendore. Vide anche che la copertura esterna intorno alla base del bovindo al pianterreno si stava scrostando tutta e che le finestre dei due piani superiori erano nelle stesse condizioni. «È deliziosa, Joe. O lo diventerà. Servono… dei lavori. Ti è costata molto?» Sono affari tuoi? Si morse il labbro. Comunque era una domanda idiota. In quella zona i prezzi erano alti nonostante la crisi.
«Scontata per via delle condizioni. Va sistemata tutta.»
Lei gli rivolse un’occhiata cauta. «Quindi… l’hai comprata per fare un investimento.»
«L’ho comprata per farne casa mia.»
Le ultime due parole rimasero sospese nell’aria tra loro. «Ce l’hai già, una casa.»
«È in affitto.»
Kate si rese conto che Joe si riferiva al suo appartamento di Edgbaston. «No, parlavo di casa tua a Boston.»
«Quella l’ho venduta alla fine dell’estate scorsa.» Kate era sconcertata. Un’altra cosa che non sapeva. Continuano a non essere affari tuoi, Hanson.
Lei si voltò e Joe le aprì la portiera della macchina. Lei lo guardò. «E il tuo trasferimento? Manca meno di un anno, ora. Quest’anno.»
Salì in macchina e lui abbassò la testa, guardandola negli occhi. «Chissà cosa potrebbe succedere, da qui alla fine dell’anno?»