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Kate e Bernie stavano percorrendo in auto i pochi chilometri che li separavano da Selly Park, un piccolo quartiere residenziale costruito nel diciottesimo secolo nella zona di Sally Manor, che confinava con Selly Oak, Moseley e il campus universitario. «Questa visita potrebbe fornirci proprio ciò che serve a questo caso: risposte elementari a domande elementari.»
Kate si limitò ad annuire, senza specificare che preferiva fare domande generali e poi esaminare il contenuto delle risposte. Bernie indossava il vecchio giaccone trapuntato con le tasche che si metteva invariabilmente ogni volta che faceva freddo, la grande cravatta appoggiata al torace massiccio e alla pancia. Era un agente di grande esperienza, che conosceva bene il suo lavoro e a Kate piaceva molto, nonostante la sua capacità di irritarla fino a farla impazzire. Con un sospiro, pensò alla cotta che si era preso per Connie Chong. A Rose Road lo sapevano tutti. Bernie non se ne era accorto, e lei aveva seri dubbi che fosse consapevole di dover apportare come minimo qualche cambiamento di natura sartoriale al suo look, se davvero sperava di fare qualche progresso.
Bernie ricominciò a parlare. «Troy studiava nel dipartimento di questo professore, quindi se c’è qualcuno che può saperne qualcosa è lui.»
«Non ne sono così sicura, sai? John Wellan mi è parso volesse sottintendere che Levitte non si curava granché degli studenti.»
Bernie non rispose, limitandosi a seguire il percorso sullo schermo, che indicava un indirizzo al civico 4 di Hyde Road. «Levitte mi ha detto che queste viuzze ingannano. E quella di casa sua è isolata… Mi hai detto di averlo incontrato, una volta.»
«Anni fa. Io e Kevin eravamo ancora sposati e lui voleva comprarmi un dipinto di Levitte, quindi siamo venuti qui.» Kate si accorse dell’occhiata intensa che le stava lanciando Bernie. «Che cosa c’è? Ci siamo rimasti giusto un’oretta e non mi ricordo molto. I dati che riguardano Levitte li ho dovuti cercare sul sito dell’università.» Kate li riassunse brevemente. «Professore di belle arti negli anni Novanta. Ora è sulla settantina. Più o meno in pensione, due matrimoni. Un figlio e due figlie dalla prima moglie, che è morta. I figli sono un po’ più grandi di Troy se fosse ancora vivo, quindi penso che dovremmo parlare con tutti. Sono già riuscita a contattare il figlio. Lo vedo domani nel tardo pomeriggio.»
La luce all’interno dell’auto calò all’improvviso: avevano svoltato in un vialetto curvo, stretto fra i cespugli robusti e gli alberi inarcati che lo fiancheggiavano. La stradina si aprì su un’ampia estensione di terreno in cui si stagliava una singola casa. Bernie sbuffò. «Accidenti. Benvenuti a casa Levitte. Enorme. E chi potrebbe mai vedere questo posto dalla strada? E dove sono i numeri dall’uno al tre?» La grande residenza in stile georgiano distava ancora alcuni metri. Gli alberi che la circondavano erano molto più alti e fitti di come Kate se li ricordava. «Sai che cosa farei io se questa fosse casa mia?» Bernie indicò gli alberi oltre il parabrezza. «Quelli li abbatterei, tanto per cominciare. Troppo buio.»
Kate seguì il dito di Bernie. «Sono tassi.» Poi esaminò l’ampia facciata della casa, con i due camini di mattoni che salivano da ciascuna estremità, elevandosi ben al di sopra delle gronde del tetto poco profondo. Le sembrava di ricordare qualcosa. Uscirono dalla Range Rover e si incamminarono verso l’edificio, oltrepassando una Mercedes sportiva blu scuro e un alberello che cresceva proprio al centro dello spazio aperto davanti alla casa.
«Un posto stupido per piantare un albero, se vuoi il mio parere» borbottò Bernie mentre lo oltrepassavano.
«È un sorbo rosso. L’albero a cui il diavolo avrebbe impiccato sua madre.»
«Grazie di avermi informato. E se ti vengono altri pensieri botanici tienteli pure per te.»
Appena oltre la soglia della porta aperta c’era un uomo alto ed elegante, dai folti capelli color argento. La bocca si aprì in un sorriso e osservò i suoi ospiti dall’alto del lungo naso aristocratico, massaggiandosi le mani per proteggerle dall’aria fredda. I visitatori si avvicinarono. «Sei Kate, vero? Kate Osbourne, cara la mia ragazza! Che delizia rivederti. Non mi ero reso conto che fossi tu la persona di cui parlava il detective. Entrate. Su, venite, venite. Fa proprio freddo, vero?»
Kate continuò a salire i gradini e si sentì afferrare per le braccia. L’uomo la baciò sulle guance. Un po’ sconcertata, sollevò lo sguardo sull’accademico. «Grazie per aver accettato di vederci, professor Levitte.»
«Finiscila subito. Henry» la rimproverò lui, come avrebbe fatto uno zio con la nipotina. Poi si rivolse a Bernie. «E lei dev’essere il sergente Watts. Benvenuto anche a lei. Avete avuto difficoltà a trovare la strada?»
L’uomo li accompagnò in un atrio dal soffitto altissimo, da cui partiva una scalinata curva che saliva al piano superiore. La visita di Kate, una decina d’anni prima, non l’aveva preparata a ciò che ora si parava davanti ai loro occhi. Tutto lo spazio disponibile sulle pareti era occupato da uno spettacolare affresco realizzato interamente a mano, che rappresentava una foresta di rigogliosi alberi dai tronchi marroni e dalle foglie di ogni forma e colore, di tutte le tonalità del verde – dal quasi nero al verde oliva scuro fino al giallo più pallido, con piccoli guizzi di pistacchio lattiginoso sullo sfondo e boccioli carnosi color rosa chiaro, come fiori di magnolia. L’intera massa verdeggiante si protendeva strisciando verso il piano superiore. Le immagini erano tanto grandi e lussureggianti che sembravano addirittura emanare calore. Col gomito Kate diede un rapido colpetto allo stomaco di Bernie. «Taci.»
Raggiunsero quindi un’ampia sala quadrata con un caminetto acceso. Henry Levitte indicò loro un divano addossato a una parete. «Vorreste incontrare anche mia moglie?»
Kate e Bernie si scambiarono un’occhiata. «Non penso…» iniziò Bernie.
«In ogni caso le dico che siete arrivati. Sono sicuro che sarebbe felice di conoscerti, Kate.» Uscì dalla stanza a grandi passi, più alto e impettito di parecchi uomini che avevano la metà dei suoi anni, anche se Kate notò che sembrava più magro di come se lo ricordava. Fragile, addirittura.
Bernie si lasciò cadere sul divano. «Non ho mai visto niente del genere! Ma pensa te, uno arriva e così, come se niente fosse, si trova in una giungla del cavolo! E come mai ti chiama con il tuo cognome da sposata?»
Kate attraversò la stanza per osservare una schiera di quelle che sembravano essere foto di famiglia appese a una delle pareti vicine. La sua attenzione fu catturata da una in particolare. I vestiti delle persone ritratte sembravano risalire almeno a trent’anni prima. Un giovane Henry Levitte, con i capelli scuri, il naso e la mandibola ben pronunciati, era seduto accanto a una donna snella e dagli occhi grandi che indossava una camicia di buratto. La donna seguiva lo sguardo sorridente di Levitte, che era posato su tre bambini seduti lì vicino: un ragazzino dall’aria seria e due bambine, una delle quali stringeva una specie di coniglio di peluche. Una fotografia appesa lì accanto, invece, mostrava una donna dai tratti decisi e i capelli scurissimi. L’attenzione di Kate si spostò su altri dipinti incorniciati appesi lì vicino, in cui riconobbe le striature e le linee curve tipiche della mano di Henry Levitte. Poi osservò un gruppo di porcellane eccessivamente decorate e alcuni tubi di metallo lucido…
«Vedo che stai osservando le foto segnaletiche.» Henry Levitte era ricomparso e si stava avvicinando al tavolino con le bottiglie. «Theda scenderà tra poco. Che cosa preferisce bere, sergente Watts?»
Theda. Nome insolito. Forse tedesco?
Bernie osservò le bottiglie radunate sul tavolo. «Per me è un po’ presto e oltretutto sono in servizio. Grazie lo stesso.»
«Neanche un cognac Hine Antique potrebbe risvegliare il suo interesse?»
Ora Kate si era resa conto di un ticchettio regolare che, dall’ingresso, si stava avvicinando al salotto. Lei e Bernie si voltarono a guardare la porta che si apriva lentamente e la donna che apparve subito dopo. La donna dai tratti decisi della foto appesa al muro.
«Theda, cara, lascia che ti presenti i nostri ospiti. Questo è il sergente Bernard Watts e questa è Kate Osbourne, di cui ti ho parlato.»
«Suvvia, Henry. I nostri visitatori non vorranno certo bere a quest’ora del giorno.» Entrò nella stanza avvolta in un paio di collant lucidi, i piedi grassocci strizzati in un paio di scarpe a punta con il tacco alto. Aveva un accento leggermente del Nord, cosa che smentì l’idea di Kate che potesse essere di origine tedesca. Rivolse un sorriso a labbra strette a Bernie. «Sergente.» Gli fece un cenno con il mento e gli strinse la mano, facendo tintinnare i ciondoli d’oro del bracciale che portava al polso. Poi si avvicinò a Kate. «E lei, signora Osbourne. Non sa quanto sia lieta di conoscerla.» Vedendola avvicinarsi, Kate provò l’impulso di arretrare. «Di questi tempi ammiro davvero tanto le giovani donne come lei, sa. Lavorate e crescete i figli, spesso da sole. Prego, si sieda.» Tese la mano ampia e sicura verso il divano e Kate andò a sedersi accanto a Bernie. «Ecco. Brava.»
«Come vuoi tu, cara, allora niente alcol. Che cosa suggerisci?»
«Vado a dire alla signora Danes di farci un caffè.» Si incamminò verso la porta, lanciando un’occhiata a Kate. «E lei ha un aiuto in casa, signora Osbourne? La posso chiamare Kate?»
«Kate va benissimo e un caffè mi farebbe piacere, ma non si disturbi troppo, la prego. Questa è una visita ufficiale.»
«Non se ne parla.» La donna si voltò e uscì dal salotto con un gran rumore di tacchi.
Gli occhi del professor Levitte erano rimasti fissi su Kate. «Mi ricordo di quando sei venuta qui con tuo marito a comprare Paesaggio al sole. Quanti anni sono passati?» Sorpresa di sentirgli ricordare quel dipinto in particolare, Kate non disse nulla e si limitò ad ascoltare la voce melodiosa dell’uomo, che continuò a parlare. «C’era una bambina deliziosa con voi. Aveva i capelli rosso Tiziano, della stessa tonalità dei tuoi.» Sollevò un dito ammonitore. «Fosti proprio birichina a rifiutarti di posare per me a quel tempo. Saresti potuta essere la mia Lizzie Siddal, sai? Quanti anni ha tua figlia, adesso? No, lasciami indovinare…»
Theda Levitte era tornata con un vassoio e il marito si alzò per aiutarla. Bernie ruppe il breve silenzio. «Stavo dicendo alla Doc, quel vostro ingresso…»
«Sposta quelle riviste dal tavolino, per favore, Henry» ordinò Theda. L’uomo obbedì, poi si mise a sedere sul divano di fronte a quello degli ospiti, dando le spalle a una finestra che si affacciava sul giardino. In quel momento arrivò una donna con una teiera di porcellana dai vistosi decori dorati e con dei piatti che posò sul tavolo, di fronte ai coniugi Levitte. Theda fece un piccolo cenno quando la donna lasciò la stanza, poi si rivolse a loro, mostrando di nuovo quel sorriso a labbra chiuse. «Ah, sì, l’atrio! Tutta opera di Henry, vero, caro? È il suo grande capolavoro.» Si affaccendò con quanto era stato messo sul tavolo. «Non è delizioso? Ho deciso che prenderemo un tè, cosa che spero vada bene a entrambi. È la miscela Breakfast Blend di Harrods. Non abbiamo miscele esotiche in casa, vero, Henry?» Vedendola ridere, Kate si accorse per la prima volta che i denti superiori sporgevano troppo sopra a quelli inferiori. «Ora, sergente Watts, prende sia zucchero che latte? Le andrebbe una fetta di torta? E a lei, Kate?»
Kate si sentiva a disagio per varie ragioni. Ed ecco che Bernie si fece sentire. «Come ho detto al telefono, questa è una visita ufficiale. Abbiamo alcune domande riguardo a un caso su cui stiamo indagando.»
Il professore annuì con la testa elegante. «Certo, certo. Kate, non avevi incontrato Theda quando eri venuta l’altra volta?»
Siamo venuti qui nella speranza di portare avanti le indagini e adesso siamo impantanati in una festicciola con tè e pasticcini. «No» rispose lei, secca.
Theda Levitte le lanciò un’occhiata e fece un cenno di assenso, intenta a tagliare la torta. «Non so quando sia venuta, ma sarò stata a Londra a fare compere. Vive da queste parti?»
Il marito rivolse un sorriso indulgente a Kate. «Se la memoria non mi inganna, vivi a Harborne, no? La mia famiglia ci ha abitato per parecchi anni, sai. Parrocchiano della chiesa di St Peter’s per una vita…»
Theda Levitte lo guardò accigliata. «Non penso che il sergente Watts sia venuto qui per stare a sentire la storia della nostra famiglia.»
«Certo che no, cara.» L’uomo tornò a guardarli con aria raggiante. «Allora! Come possiamo aiutare le forze dell’ordine?»
Kate fu sollevata di sentire che finalmente erano arrivati al dunque. «Speravamo che ci potesse dare qualche informazione su uno dei suoi studenti nei primi anni Novanta. Nathan Troy.»
Henry Levitte bevve un sorso di tè, riflettendo su ciò che aveva detto Kate, le sopracciglia unite dalla fronte corrugata, la testa chinata da una parte. «Troy… Troy… Era… no, non sono sicuro di ricordare qualcuno con quel nome. Theda?»
Le spalle grassocce si alzarono e ricaddero subito. «Woolner era la tua vita, Henry, non la mia.»
Intervenne Bernie. «Magari potrebbe essere d’aiuto se ve lo descrivessi un po’. Era un ragazzo del posto, veniva da Castle Vale. Alto. Capelli scuri. Il suo tutor era il dottor Wellan. Stiamo parlando del…»
«Ah! Ecco, visto?» disse il professore, illuminandosi. «Forse ora riesco a ricordarlo vagamente, ma temo che sia tutto. Se era uno degli studenti di Wellan dovreste chiedere a lui. I miei contatti con lui devono essere stati minimi.»
Kate sbirciò l’alta pendola accostata a una delle pareti. Wellan aveva ragione. Il professor Levitte non avrebbe fornito loro alcuna informazione utile e, personalmente, voleva andarsene il prima possibile. Poi sentì parlare la signora Levitte. «Castle Vale, ha detto? Woolner non attira molti studenti di quella parte della città, non è vero, Henry?» Si portò alla bocca un altro boccone di torta. «E di questi tempi sembrano esserci talmente tanti teppisti con il cappuccio calato sulla testa, no?»
Il marito le diede un delicato colpetto di rimprovero sulla coscia grassoccia. «Via, Theda. È importante mantenere un atteggiamento privo di pregiudizi.»
«Non farmi ridere! Non fanno in tempo a vederti che ti hanno già scippata.»
Kate era impaziente di proseguire. «Questa è la seconda volta in cui la polizia ha manifestato un interesse nei confronti di Nathan Troy. La prima volta è stata nel 1993, quand’è scomparso. E ora…»
Henry Levitte sollevò l’elegante mano dalle dita lunghe. «Adesso me lo ricordo… Be’, non ricordo esattamente lui, ma ricordo l’episodio di quando se ne andò.» Si rivolse alla moglie. «Ti ricordi, mia cara? Il ragazzo se ne andò e poi venne la polizia…»
La donna lo interruppe in tono acido. «Mi pare molto probabile che se ne sia andato perché a Woolner era fuori posto.» Ingollò altra torta.
I pensieri di Kate andarono alla famiglia Troy. «Nathan Troy non se n’è andato. Come ho detto prima, è scomparso. Ora sappiamo perché. È stato assassinato.»
L’orologio a pendolo ticchettò nel silenzio. Theda Levitte smise di masticare e deglutì. «Che cosa tremenda. Ne siete sicuri?» si voltò. «Henry! Di’ qualcosa.»
«Ne siamo sicuri» disse Bernie. «Il corpo è stato ritrovato qualche giorno fa ed è stato identificato.»
«Dovete proprio parlare con John Wellan» ripeté Henry Levitte. «È la persona che ha maggiori possibilità di ricordare qualche dettaglio riguardo a questo giovane.»
La signora Levitte emise un suono sprezzante e si chinò verso Kate e Bernie. «Non sono convinta che quell’uomo vi possa essere di grande aiuto. Sapete che gli studenti lo chiamano “Johnny”? E lui li lascia fare!»
Kate sentì che Bernie era a disagio quasi quanto lei. Spostò l’attenzione sulla finestra e sul giardino avvolto dalla foschia. Si bloccò. Con il viso premuto contro il vetro c’era una figura macilenta, dagli occhi infossati e la pelle quasi trasparente. Kate rimase a fissarla, riconoscendola senza comprenderne il motivo, accorgendosi a malapena di Bernie che, nell’alzarsi, per poco non aveva fatto cadere la tazza di porcellana colma di tè bollente. Osservò quella figura sollevare le mani pallide e sottili e cominciare a battere contro il vetro, infrangendo il silenzio della stanza.
I signori Levitte si alzarono precipitosamente, voltandosi verso la finestra. Tutti i presenti rimasero pietrificati da quella visione, e mentre le mani smettevano pian piano di battere, scivolando via lungo il vetro, l’apparizione indietreggiò fino a svanire nella nebbia.
Henry Levitte fece scorrere una mano tra i capelli con fare assente e poi si voltò per tornare a guardare gli ospiti di fronte a sé. «Mi scuso per questo. Era…»
La moglie lo interruppe. «Versa altro tè, Henry.» Si affrettò a raggiungere la porta, rivolgendo a Bernie uno sguardo imbronciato. «Quello che sta macchiando è un pregiato tappeto di seta turca.» La donna scomparve e dall’altra stanza udirono la sua voce stizzita: «Signora Danes? Signora Danes!»
Mentre la signora Danes si prodigava a smacchiare il tappeto di seta turca, Henry Levitte disse: «Mi scuso per quel piccolo… spettacolo, poco fa». Si rivolse alla moglie, a voce bassa. «Devo…?»
«Me ne sono già occupata io» sbottò lei.
Bernie lanciò un’occhiata a Kate, in attesa che qualcuno le spiegasse cos’era accaduto. Henry Levitte li stava guardando con un sorriso. «Altro tè, Kate? Sergente Watts? Un po’ di torta?»
Kate si rese conto che di loro spontanea volontà non avrebbero offerto alcuna spiegazione e capì di dover chiedere. «Chi era alla finestra, poco fa?»
«Be’, a dire il vero» rispose Theda Levitte, evidentemente in collera «questo non ha assolutamente niente a che fare con la ragione per cui siete venuti. Anzi, visto che Henry non vi può essere d’aiuto neanche per quella…»
Henry Levitte le batté di nuovo una mano sulla coscia robusta mentre si rivolgeva a Kate. «Quella era mia figlia» disse. Kate vide un’espressione di profonda tristezza attraversargli il viso. «Lei è… fragile, come sua madre, la mia prima moglie, ma è tutto sotto controllo. Theda ha avvisato gli infermieri che si occupano di lei e ha chiesto che mandino qualcuno a prenderla.» Guardò l’orologio. «Saranno qui tra poco.»
Kate fece per alzarsi. «In tal caso, credo sia ora di andare. Non sa dirci nient’altro di Nathan Troy? Che persona fosse? I suoi amici?»
Theda Levitte si voltò a guardarla. «Ora che ci penso, nei primi anni Novanta si sentiva dire che gli studenti si drogassero.» Diede una gomitata al marito. «Diglielo, Henry. Probabilmente era coinvolto in uno di quei giri.»
Kate e Bernie fissarono Levitte, in attesa. Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, poi disse: «Theda ha ragione. A quei tempi era un problema reale, al Woolner. Per alcuni mesi è stato un bel grattacapo».
«Di che genere di droghe stiamo parlando, professore?» domandò Bernie.
L’uomo alzò le spalle, con indifferenza. «Oh, lo sapete… allora andava molto la cocaina, in città. E anche il crack.»
Kate sollevò le sopracciglia. «Sta dicendo che Nathan Troy potesse fare uso di droghe pesanti?»
Henry Levitte sollevò le mani. «Sto solo dicendo che è una possibilità, considerata la sua scomparsa improvvisa.»
Kate stava cercando di dare un senso a quelle parole. «Mi dispiace, ma devo chiedervi di chiarirmi questa cosa. A quel tempo sapeva con precisione che Nathan Troy faceva uso di sostanze simili?» I Levitte rimasero in silenzio. «E se lo sapeva, ha fatto qualcosa al riguardo?»
Levitte assunse un’espressione vacua, mentre la moglie la guardò con astio. «Che cosa intende? Come faceva Henry a sapere una cosa del genere? Nathan non era un suo studente. E comunque, che cosa avrebbe potuto farci?» Quella risposta fece aggrottare la fronte a Kate, che sapeva bene come all’università gli insegnanti avessero direttive precise sui provvedimenti da prendere in certe situazioni. Theda Levitte posò una mano sul braccio del marito, facendo brillare i diamanti dell’anello che portava al dito. «La notizia che ci avete dato riguardo a questo studente è spaventosa.» Kate la guardò, rendendosi conto di provare una profonda antipatia nei confronti della donna, non da ultimo per il fatto, piuttosto evidente, di non volersi neanche prendere il disturbo di chiamare Nathan Troy per nome. «Vi abbiamo detto tutto ciò che sappiamo e avrete capito che Henry è turbato da… alcune questioni familiari. Anzi, a dire il vero in questo momento siamo entrambi troppo scioccati e sconvolti per proseguire.»
Bernie si chinò in avanti. «Potremmo contattarla di nuovo, professore.»
Theda Levitte sbirciò rapidamente il viso di Kate e poi rivolse uno sguardo di complicità a Bernie. «Sono certa comprenderete se vi dico che, per qualunque conversazione futura, penso sia meglio incontrarsi altrove. Può darsi abbiate sentito dire che tra poco Henry riceverà un’importante onorificenza per il suo contributo al mondo dell’arte e per le sue attività caritatevoli. Non vogliamo essere compromessi dal benché minimo coinvolgimento in una faccenda così… penosa come un’indagine per omicidio.» Si voltò. «Non è vero, Henry?»
Henry Levitte coprì la mano della moglie con la sua. «Queste due persone hanno un lavoro da svolgere, mia cara.»
La bocca della donna si contrasse. «E sono sicura che abbiano capito cosa intendo.» Rimase in silenzio per un attimo, poi: «Avete incontrato i genitori di questo ragazzo?».
«Sì» rispose Kate.
«Be’, se li rivedete, vogliate portare loro le nostre più sentite condoglianze.»
Theda guardò il marito alzarsi e attraversare a spalle curve la stanza per raggiungere una piccola scrivania. Prese un oggetto da un cassetto e poi andò dritto verso Kate. «Prendi questi, cara. Potrebbero essere utili alla tua famiglia o ai tuoi amici. Se tu o il sergente avete bisogno di farmi altre domande su Troy, mi trovate alla White Box Gallery tutti i giorni a partire da lunedì prossimo. Sarò lì a preparare la mia retrospettiva. Ora vi chiediamo di scusarci. Siamo entrambi sconvolti, in una certa misura, dalla notizia della dipartita di uno studente di Woolner, anche se non lo conoscevamo bene.»
Kate prese la spessa busta che le aveva porto l’uomo e lo guardò attraversare la stanza per tornare a sedersi accanto alla moglie. Lei e Bernie si alzarono. «Spero che sua figlia torni presto in salute, professore» disse Bernie mentre si voltavano per andarsene.
Theda rispose al posto del marito. «Sono sicura che lo farà. Episodi come questo non sono così rari. Nonostante ciò che avete visto, Cassandra ha una fibra forte.»
Rimanendo impassibili, Kate e Bernie fecero un cenno di ringraziamento e uscirono dal salotto per attraversare l’atrio verdeggiante e poi uscire.
Una volta risaliti sulla Range Rover, si guardarono a vicenda. «Cassandra» bisbigliò Kate.
Bernie guidò lungo lo stretto viale d’accesso, mentre entrambi scrutavano la folta macchia di alberi in cerca di tracce della giovane sofferente che avevano appena identificato come Cassandra Levitte.
Il salotto rimase in silenzio, salvo il fruscio smorzato di un paio di gambe che attraversavano la stanza per raggiungere la finestra che sovrastava il vialetto.
«Andati?» domandò lui.
«Andati.» La donna si voltò. «Hai l’aria di uno che ha bisogno di bersi qualcosa.» Si allontanò dalla finestra e si avvicinò al tavolino con le bottiglie. Poi si avvicinò al marito con due bicchieri di scotch. «Smettila di fare questa faccia preoccupata. Ciò che hanno detto non ha assolutamente niente a che fare con te. E come potrebbe?» Le brillarono gli occhi. «E adesso ci sono… altre cose a cui pensare, no?» Lui le prese il bicchiere di mano, gli occhi pieni di trepidante attesa. Bevve il liquore tutto d’un fiato e posò il bicchiere. Lei fece lo stesso, poi afferrò l’orlo del vestito di lana aderente, lo sollevò fino alla vita e si mise a cavalcioni dell’uomo. Le mani di lui corsero verso i bordi di pizzo delle calze. China su di lui, la moglie gli infilò la lingua tra le labbra. Entrambi si guardarono negli occhi e lasciarono che una risata sommessa salisse gorgogliando dalle loro bocche, riempiendo la stanza.