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Alle sei e un quarto Kate era in camera sua, di fronte alla specchiera, intenta a combattere l’ansia mentre scrutava la sua immagine riflessa. Erano due anni che non si metteva quell’abito blu scuro lungo fino al ginocchio, e prima di allora l’aveva messo una sola volta. Come in quell’occasione era attillatissimo, da cima a fondo. Si voltò per lanciare un’occhiata critica sul dietro. Stessa aderenza.

Il disagio fu rimpiazzato da una crisi di insicurezza. Si avvicinò cauta al tavolo da toeletta, prese uno specchietto e tornò alla specchiera per vedersi meglio dietro, sentendo che nel frattempo il telefono dell’ingresso stava squillando. È come una seconda pelle. Perché non te lo sei provato prima?

Guardò l’orologio. Era troppo tardi? Forse no. Poteva cambiarsi rapidamente e mettere l’abito di pizzo nero con la schiena scoperta. Si allontanò un poco, e voltandosi si guardò camminare verso lo specchio con le scarpe scamosciate dal tacco vertiginoso. Che diavolo sta succedendo? Senza che lei facesse niente, le scarpe aggiungevano un innegabile sex appeal ai suoi movimenti.

Arrivò una voce da dietro la porta. «Mamma? Mamma! Joe e Bernie stanno arrivando… saranno qui tra un paio di minuti.»

Esausta, spostò l’attenzione sulla chioma che le accarezzava entrambe le spalle. Spingendo indietro i capelli, pensò al programma della serata: al telefono Henry Levitte aveva acconsentito a incontrarli fra le sette e quarantacinque e le otto, dopodiché, alle nove, ci sarebbe stata una presentazione ufficiale della mostra in presenza di alcune cariche istituzionali e lui avrebbe fatto un breve discorso di ringraziamento. Per quell’ora noi dovremmo aver già ampiamente finito.

Fece un respiro profondo. Era ora di scendere.

Julian entrò in salotto con andatura dinoccolata, rallentando quando si accorse di essere arrivato prima di Kate e vide che Kevin, l’unico nella stanza, lo fissava sopra al giornale che stava leggendo. A disagio, ma non abbastanza disinvolto per andarsene con eleganza, si mise a sedere sul bordo di una sedia, con tutta l’aria di uno che si sentiva con le spalle al muro. Kevin lo scrutò. «Quindi dove ve ne andate tutti, di preciso? Un’occasione ufficiale?» Esaminò lo smoking di Julian, probabilmente degli anni Ottanta, a giudicare dai risvolti troppo ampi e dalle maniche troppo lunghe. «Una roba in abito da sera, eh?»

«È l’inaugurazione privata della retrospettiva di Henry Levitte alla…» Al rumore attutito di due portiere d’auto che sbattevano, Julian balzò come un’antilope verso la porta del salotto e corse nell’ingresso.

«Sì, occupati tu dei visitatori» lo incoraggiò Kevin, con la gamba appoggiata a uno sgabellino. «Ah, troppo tardi» commentò quando Julian tornò indietro al suono della porta che veniva aperta da qualcun altro.

Maisie arrivò saltellando e si mise sul divano, mentre Kevin sollevava una mano in segno di avvertimento. «Occhio alla gamba!»

«Sono arrivati Joe e Bernie e hanno un aspetto veramente fantastico.» Guardò dall’altra parte della stanza. «Ciao, Julian. Anche tu sei proprio carino.» Kevin guardò i nuovi arrivati. Non li salutò. Fu Maisie a prendere l’iniziativa sociale. «È passata un’eternità da quando la mamma ha detto che sarebbe scesa tra un minuto. Se fossi in voi mi metterei a sedere.»

Joe attraversò la stanza per osservare il giardino sul retro immerso nel buio, mentre Bernie si lasciò cadere su una poltrona con un cenno di saluto a Julian. «Quello smoking è un gioiellino, Devenish. Quasi quasi torno a mettermelo anch’io.» Julian lanciò un’occhiata al poderoso girovita di Bernie. «Sapete, mentre venivamo qui ho pensato a una cosa. Se vado avanti a lavorare ancora un po’, potrei anche considerare l’idea di venire a vivere da questa parte di Harborne.»

Kevin scrollò rapidamente il giornale e lo piegò. «Proprio un bel quartierino» mormorò a voce talmente bassa che lo sentì solamente Joe.

Invece tutti sentirono il suono che seguì: passi sulle scale e un ticchettio di tacchi nell’ingresso. La porta del salotto si aprì lentamente e tutti si voltarono a guardare nello stesso istante. «Sono pronta.»

La prima a ritrovare la voce fu Maisie. «Wow, mamma! Allora le hai, le “armi segrete” di cui parla la mamma di Chel!» I colleghi di Kate rimasero a guardarla mentre si voltava verso l’ingresso e tutti la seguirono.

La voce di Kate tornò a farsi sentire in salotto. «Non farò tardi. Non dimenticarti, Maisie, a letto alle…»

«Lo so.» Mentre il rumore del motore dell’auto si allontanava, Maisie gridò: «Divertitevi!». Richiusa la porta, tornò in salotto e vi trovò suo padre con un’espressione irritata. «Cosa c’è?»

Niente di umano
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