20
I due agenti si avvicinarono alla grande costruzione in mattoni, nella luce piatta del tardo mattino. Bernie strizzò le palpebre scrutando il cielo carico di pioggia. Entrando si ritrovarono di fronte a un ampio corridoio. Erano a metà strada quando una campanella emise un suono acuto: le porte si spalancarono, vomitando una massa di ragazzini vestiti di bianco e blu scuro, che presero a fluire in entrambe le direzioni. «Maledizione» borbottò Bernie. Lui e Joe avanzarono faticosamente verso un uomo che gesticolava sopra alle teste degli studenti.
Quando lo raggiunsero, quello tese loro la mano. «Dermot O’Hanlon, preside della scuola, quindi… aiuto! Venite nel mio ufficio.»
Si misero al passo con il preside. «Ho telefonato ieri per…» disse Bernie. «Meno male che lo ha fatto, altrimenti non vi avrebbero permesso di oltrepassare il cancello.» Il preside si fermò e aprì una porta. «Prego, signori.» Joe e Bernie si misero a sedere senza aspettare di essere invitati a farlo, mentre l’uomo passò davanti ai due per accomodarsi dietro a un’ampia scrivania coperta da una quantità di faldoni.
Avendo già anticipato al telefono la ragione della loro visita, Joe arrivò subito al punto. «Stuart Butts. Che cosa ci può dire di lui?»
«Che cosa ha fatto stavolta?» chiese O’Hanlon, pronto al peggio. Visto che gli agenti non rispondevano, l’uomo si piegò su un fianco e, sollevando un massiccio faldone da dietro la scrivania, ve lo depositò con un tonfo. «Lo tengo sempre sotto mano, per esperienza. È tutto qui dentro.»
«Che ne direbbe di raccontarci i punti principali?» suggerì Bernie.
O’Hanlon fece scorrere le pagine del faldone. «Stuart Butts è intelligente ed è un bravo manipolatore. Ha una certa inclinazione alla violenza. Comunque ve lo riassumo in una sola parola: perfido.» Rivolse loro una breve occhiata, come per assicurarsi che le sue parole fossero state correttamente recepite, poi proseguì. «Ciò che lo rende anche più pericoloso è il fatto che, guardandolo, non si direbbe. Porta sempre l’uniforme. Niente strane pettinature, niente tatuaggi, niente piercing al viso. È tutto dentro. Cioè, a meno che non decida lui di mostrarsi diverso.» Elencò i problemi emersi nel corso della carriera scolastica di Stuart. Una squallida lista di fenomeni di bullismo nei confronti dei compagni e di resistenza agli insegnanti, oltre a due sospensioni: una per aver rigato l’auto di un dipendente scolastico e l’altra per aver legato uno studente più piccolo alla staccionata del cortile della scuola. Questi comportamenti gli erano valsi le attenzioni di due psicologi evolutivi, che avevano entrambi diagnosticato un disturbo della condotta, prescrivendo sei mesi di cure in uno speciale centro per giovani con difficoltà emotive, dove era stata fatta una seconda diagnosi di iperattività e sindrome da deficit di attenzione. O’Hanlon li guardò, serio. «Poi lo hanno rimandato qui. Gli abbiamo vietato ogni contatto diretto con gli animali del laboratorio di scienze. Sta prendendo il Ritalin, ma gli insegnanti non hanno riscontrato nessun cambiamento effettivo.» Guardò Bernie. «Questo perché Butts ha un problema di deficit di attenzione quanto possiamo averlo io o voi. È astuto, eversivo e crudele. E se la prende con tutti, studenti o insegnanti non fa differenza.» Abbassò lo sguardo sul faldone per poi tornare ai suoi interlocutori. «L’anno scorso c’è stato un incendio a scuola. Per mano sua.»
«Prove?» chiese Bernie. O’Hanlon scosse la testa. «Ha degli amici?»
O’Hanlon diede un’alzata di spalle. «Fondamentalmente è un solitario.»
Bernie lo scrutò. «Immaginiamo che salti regolarmente le lezioni.»
L’uomo annuì. «Immaginate bene.»
«E con chi?»
O’Hanlon tese un braccio e prese una delle cartellette sulla scrivania. «Mi viene in mente solo Bradley Harper. Sono una strana coppia. Come ho detto, Butts è intelligente. Harper no.» Sollevò un mazzetto di fogli A4 uniti da una graffetta, a labbra strette. «Decisamente non è uno di quegli studenti che se ne vanno di qui con lode ed encomio.»
Bernie decise di non perdere altro tempo. Andò dritto al sodo: «La nostra priorità non sono i brutti voti di questo Harper. Vogliamo sapere che tipo è. Che interessi ha. Ha già marinato le lezioni con Stuey Butts?»
Il preside, frugando in una cartelletta marrone, tirò fuori altri fogli. «Date un’occhiata.» Gli agenti lessero le fotocopie dei registri scolastici degli ultimi due mesi dell’anno precedente. Il preside indicò qualcosa con un dito. «Vedete? Harper marina la scuola piuttosto regolarmente.» Prese un altro foglio. «Il suo profilo di studente non indica nessun interesse. Niente a scuola. Niente fuori dalla scuola.» O’Hanlon lasciò cadere il fascicolo sulla scrivania e si appoggiò allo schienale della poltrona, massaggiandosi un occhio con il palmo della mano. Poi sbatté le palpebre e guardò gli agenti oltre il tavolo. «Nessuna aspirazione, nessuna innata predisposizione per una materia piuttosto che per un’altra. La sua famiglia non manifesta alcun interesse né impegno per l’istruzione del ragazzo, anche se i suoi due fratelli studiano qui e vanno bene. Una volta ho incontrato la madre. Un donnone che disse “mi avrebbe preso a sculacciate” se avessi permesso a qualunque insegnante di trattenere Bradley a scuola dopo la fine delle lezioni. Non è un cattivo ragazzo, ma quando è qui fa praticamente da tappezzeria. Non fa niente. È il figlio maggiore, e sospetto che la madre lo abbia viziato troppo. Non so che cosa faccia nel tempo libero. Tirando a indovinare, direi che mangia. Quello lo fa abbastanza bene.» Il preside sospirò rumorosamente. «Di questi tempi le critiche su quello che le scuole fanno e non fanno si sprecano, ma il fatto è che non possiamo fare tutto da soli.» Scuotendo la testa, rimise i fogli nella cartelletta e la lasciò cadere in un vassoio sulla scrivania. «Paragonato a Harper, Butts ha un notevole potenziale come studente.»
Joe annuì. «Quand’è l’ultima volta che Harper è venuto a scuola?»
O’Hanlon lo guardò. «Buona domanda. Dopo la vostra telefonata di ieri ho controllato con il suo tutor. L’ultima frequenza risale a lunedì mattina della scorsa settimana.» Indicò la data. «Ma quando ho fatto un ulteriore controllo, nessuno degli insegnanti delle varie materie di quel giorno è riuscito a ricordarsi di averlo visto. Questo è il problema con gli alunni come lui. Che sfuggono a tutto. Ho telefonato alla madre per dirle che secondo me Bradley non veniva a scuola e lei mi ha insultato. So che quella donna ha parecchie difficoltà, ma non accetto comportamenti simili dai genitori. Da allora non l’ho più sentita e non abbiamo più visto Bradley.»
Scambiandosi un’occhiata con Bernie, Joe distese le gambe. «Se Stuart Butts e Bradley Harper hanno effettivamente saltato le lezioni, quel giorno, secondo lei dove possono essere andati?»
O’Hanlon fece un cenno verso la finestra. «Le possibilità sono alquanto limitate. Non credo siano andati al centro ricreativo, né a spasso per negozi o per le strade della loro zona, perché sanno che il personale scolastico addetto controlla se ci sono in giro studenti che hanno marinato la scuola. Direi che il luogo più probabile è il Country Park, qualche chilometro più in là, in quella direzione, ma chi può saperlo davvero, con ragazzi come questi?»
Bernie non si era mai sentito a suo agio negli edifici scolastici e il caldo all’interno dell’ufficio di O’Hanlon stava cominciando a fargli venire l’emicrania. «E che cosa avrebbero potuto fare al parco? Harper ci sarebbe andato da solo?»
«Non credo che possa avere tanto spirito d’iniziativa» rispose O’Hanlon. «E personalmente ne dubiterei. Un paio di insegnanti mi hanno riferito una voce secondo cui l’anno scorso avrebbe subìto un’aggressione in quel parco.»
Bernie guardò Joe di traverso. «Ci racconti ciò che sa al riguardo.»
«Niente. Come ho detto, si tratta di una voce sentita tra gli alunni della scuola, ma non siamo mai riusciti a verificarla. E non so che cosa possano combinare lui e Butts insieme, se e quando vanno in quel posto.» Il preside spostò lo sguardo da un agente all’altro. «Siamo ben consapevoli dei tipi poco raccomandabili che frequentano quel posto.» O’Hanlon ributtò il fascicolo di Stuart Butts sul pavimento. «Quando parlerete con Butts, il mio consiglio è di non credere a una parola di quello che dice.» Poi esitò, lanciando una rapida occhiata dall’altra parte della scrivania, scegliendo le parole. «Abbiamo notato che dispone di un flusso regolare di denaro.»
«Da dove arriva?» domandò Bernie.
«Non ne ho idea.» L’uomo sollevò le spalle, il viso stanco. «Nel caso ve lo stiate domandando, mettiamo in guardia i nostri studenti da quell’area del parco. Sappiamo bene che ci sono state delle denunce per spaccio di droga, presenza di maniaci sessuali e quant’altro.»
Bernie si alzò e gli tese un biglietto da visita. «Se le viene in mente altro ci faccia uno squillo. Conosciamo la strada.»
O’Hanlon abbandonò la poltrona e raggiunse la porta prima di loro. «Vi devo accompagnare fuori comunque.» E così fece, precedendoli fino all’entrata principale, dove rimase a osservarli.
I due agenti entrarono nella Range Rover. Bernie era irritato. «A sentire lui non si direbbe che la legge siamo noi, ovvero l’unica difesa contro tossici, maniaci e pedofili.»
«Immagino che cerchi di fare il suo lavoro meglio che può» commentò Joe.
Bernie avviò il motore. «Da ciò che ha detto sembrerebbe che Butts e questo Harper abbiano lasciato la scuola insieme, quel lunedì. Dobbiamo cercare Harper. Fargli qualche domanda. Magari con lui arriveremo da qualche parte.»
Più tardi, quel giorno, Kate stava mettendo insieme qualcosa per cena, mentre Mugger le si strofinava contro le gambe emettendo lamenti striduli. Lei abbassò gli occhi e sorrise. «Okay, adesso.» Smise di cucinare per riempirgli la scodella di croccantini, accarezzandogli il pelo, e all’improvviso si ritrovò a pensare a Nathan Troy in jeans e maglietta nel mese di novembre.
Lasciando il gatto a sgranocchiare tutto entusiasta, Kate si sciacquò le mani sotto l’acqua corrente, le asciugò e ricominciò a preparare la cena, aggiungendo delle verdure fresche alla soia e guardando l’orologio. In quel momento udì la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi con forza. Sentì il tonfo della cartella sul pavimento di legno e lanciò un’occhiata all’orologio a muro, rallegrandosi: in orario.
Maisie entrò in cucina con le guance arrossate e si avvicinò ai fornelli per esaminare che cosa stesse preparando la madre. Kate la abbracciò rapidamente e scelse di ignorare la smorfia di disgusto. «Ciao. Come è andata la lezione di matematica?»
«Mmm… bene.»
A parte le volte in cui Maisie aveva veramente voglia di parlare, farle dire qualcosa sulla scuola era come cavare sangue da una rapa. Kate trattenne un sospiro. «Le cose cominciano a diventare difficili?»
«Difficili?» ripeté Maisie, aggrottando le sopracciglia come se stesse pensando a un concetto mai sentito prima. «Vado di sopra. Compiti.»
La ragazzina scomparve e Kate rifletté sul sottile cambiamento che aveva cominciato a notare in lei, una crescente indipendenza. Stava maturando. O ancora no?
Si incamminò verso la finestra e rimase a fissare la sua figura riflessa nel vetro, sentendosi sopraffatta dalle responsabilità, personali e professionali, di quel periodo della sua vita. Era stata una lunga giornata ed era stanca. I dettagli del nuovo caso dell’Udi si intrufolarono nei suoi pensieri e il vetro si appannò mentre sussurrava: «Ti prego. Fa’ che non sia un altro recidivo».
Sentì lo squillo del telefono nell’ingresso, seguito da passi rapidi sulle scale. Poi udì la voce di Maisie: «Mamma! È per te. È Joe».
Kate andò nell’ingresso a prendere il ricevitore.
«Ciao, Joe.»
«Ho un aggiornamento per te, Rossa.» Kate ascoltò il resoconto della visita alla scuola di Stuart Butts e delle informazioni ricevute: al parco con Butts poteva esserci un altro studente. Una telefonata alla madre del ragazzo aveva rivelato che mancava da casa dal lunedì in cui era uscito da scuola. «La madre ha fatto denuncia di scomparsa alla stazione di polizia del suo quartiere stamattina presto, ma per ora è tutto ciò che sappiamo.»
Sentendosi il cuore battere più rapidamente, Kate rimase con lo sguardo fisso sulle scale lì vicino. «Come mai ha sporto denuncia così tardi?»
«Glielo chiederemo. Siamo abbastanza sicuri che i ragazzi siano usciti da scuola insieme. Hai qualche idea per stimolare la memoria della donna sui posti dove possono essere andati?»
Kate si concentrò. «Portate con voi qualcosa di tangibile che possa guardare: una pianta dell’area in cui vive la sua famiglia, compreso il Woodgate Park. Evidenziate le caratteristiche principali della zona, come le strade maestre, la loro casa, i binari ferroviari e così via.»
«Perché i binari? Hai in mente qualcosa di specifico?»
«No. Ma sono tutte caratteristiche geografiche che influenzano l’uso che le persone fanno del territorio che conoscono. Alcune ricerche suggeriscono che i giovani, quando si muovono quotidianamente nel loro quartiere, tendono a percorrere le strade principali restando sul lato più vicino a casa, e roba simile. Questo fornisce loro una zona relativamente ampia in cui spostarsi sentendosi a proprio agio e al tempo stesso consente loro di evitare la sorveglianza diretta di persone che li conoscono o che potrebbero riconoscerli.»
Dal silenzio all’altro capo del filo capì che Joe stava prendendo appunti. «Lo faremo. Poi andremo a far visita a Butts a casa sua, chiedendogli come mai non gli sia venuto in mente di nominare Bradley Harper. E c’è qualcos’altro. Il preside ci ha detto che Harper forse è stato aggredito al Woodgate Park, l’anno scorso.» Kate sentì la voce di Bernie in lontananza. «Grazie, Rossa. Dobbiamo andare. Stiamo per iniziare il turno serale.»
Kate abbassò il ricevitore, la mente travolta da un’ondata di ipotesi e possibilità.