40

Il lunedì mattina, Kate entrò nel suo ufficio dell’università a passo di marcia, spossata e in ritardo di venti minuti per il ricevimento studenti. Gli studenti erano stati fatti entrare sotto la supervisione di Crystal e stavano chiacchierando tra loro. Giunta alla scrivania, Kate fece un bel respiro, prese la cartelletta piena di appunti e li distribuì al gruppo, scusandosi per il ritardo. Crystal le lanciò un’occhiata e con un gesto le chiese se voleva qualcosa da bere. Kate annuì, sprofondando dietro la scrivania mentre gli studenti leggevano gli appunti. Nel giro di un minuto o poco più arrivò una tazza di tè, accompagnata da due compresse di paracetamolo.

Dannato Kevin. Kate lo maledisse in silenzio mentre ingoiava gli antidolorifici. Maledisse anche se stessa, perché gli permetteva sempre di irritarla. Quando gli serviva un favore faceva di tutto per rendersi simpatico e Maisie era elettrizzata all’idea di avere il padre in casa; ma da quel momento fino a che non se ne fosse andato si aspettava di essere servito e riverito per via del suo infortunio. La sera prima si era dovuta mordere la lingua quando lui aveva suggerito che Maisie rimanesse alzata oltre l’orario stabilito.

Il tè e il paracetamolo fecero il loro effetto e nel giro di un’ora, concluso l’incontro con il gruppo di studenti, Kate aveva cominciato a scorrere pigramente una nuova pila di tesine da leggere, con la mente che guizzava verso la potenziale cattedra e tutto ciò che ne conseguiva.

Squillò il telefono. Afferrò la cornetta. «Sì?»

Era Joe. «Ehi, secchiona. Ho telefonato alle nove e non c’eri. Adesso sembra che tu sia arrabbiata come una bestia. Non è che sei ancora preoccupata per la storia di venerdì sera?»

«No, ma continuo a rimuginarci sopra e a pensare a quel che avete detto tu e Bernie. Chiunque abbia fatto la segnalazione su ciò che stava succedendo a casa mia ha scelto di chiamare la stazione di Bradford e non Rose Road perché sa, o sanno, che lavoro lì. E voleva essere sicuro che gli agenti non mi conoscessero e che quindi mi arrestassero dopo aver trovato la droga. Penso che Bernie abbia ragione. C’è qualcuno che mi vuole screditare.»

«Ci hai preso in pieno, Rossa.»

Kate si appoggiò allo schienale della sedia. «Chissà cosa stava facendo Furman, venerdì sera?» Sospirò. «Dimentica quello che ho detto. Era una battuta di cattivo gusto. Sono nervosa e…»

«Anche in ritardo perché…?»

«Kevin è tornato a casa.» Le ci vollero qualche secondo e il silenzio all’altro capo del filo perché si rendesse conto di ciò che aveva detto. «No, aspetta!» Si interruppe, raccomandandosi di stare calma. I suoi problemi domestici non interessavano a Joe. «Ha una ferita a una gamba. È una sistemazione temporanea. È a casa da neanche due giorni e già non lo sopporto più.»

«Be’, è carino quando la gente si aiuta nei momenti di crisi.»

Kate sorrise nonostante il cattivo umore. «Lascia stare questa filosofia da finto ottimista. Non funziona. Che cosa c’è?»

Si sentì una risata sommessa. «Ho bisogno di te.»

«Vedi di non cominciare.» Kate si massaggiò una tempia.

«Ci hanno telefonato dalla clinica Hawthornes. Cassandra Levitte sta abbastanza bene da ricevere una visita.»

Kate si raddrizzò sulla sedia. «Davvero? Finalmente! Ed è il momento giusto. Potrebbe darci informazioni utili per quando interrogheremo suo padre.»

«Che ne dici se ti faccio da secondo, considerato che è una donna e che ha problemi mentali?»

«Quando?»

«Oggi pomeriggio alle tre e mezzo.»

Kate e Joe erano nella clinica Hawthornes, una grande dimora di inizio secolo che un tempo doveva aver ospitato una sola famiglia, ma che ora era divisa in piccoli appartamenti indipendenti per persone con seri problemi mentali. La direttrice Leila Jones, con i capelli neri raccolti in intricate treccine che sparivano sotto alla cuffia di stoffa chiara, spiegò il ruolo della clinica Hawthornes nella vita di Cassandra Levitte: «Un certo numero dei nostri residenti ha bisogno di attenzioni costanti da parte degli specialisti. Cassandra non fa parte di questa categoria. Viene da noi quando è in crisi e richiede sostegno a breve termine, protezione e guida nella cura di sé.» Lanciò un’occhiata a Kate. «Questo è un luogo in cui si sente al sicuro.»

Kate annuì. «Che cosa succede se non c’è posto per Cassandra quando ne ha bisogno?»

La direttrice sorrise. «La famiglia di Cassandra è molto premurosa e finanziariamente generosa.» Queste parole fecero scattare uno sguardo di intesa fra Kate e Joe. «Suo padre paga in modo che ci sia sempre una stanza per lei in quella che in origine era la vecchia stalla.» Kate prese un appunto veloce mentre Joe studiava la donna appariscente seduta davanti a loro.

«Cassandra fa spesso uso della vostra clinica, signora?»

Leila Jones abbassò lo sguardo su una serie di brevi appunti sulla scrivania. «Dalla sua prima visita, nel gennaio del 1994, Cassandra è stata da noi in dodici occasioni, per lo più in situazioni di emergenza.» Rivolse un’occhiata inquisitoria a Kate. «Siete informati sulla natura delle difficoltà di Cassandra?»

«Non ho mai letto una diagnosi ufficiale delle sue condizioni.»

«Qui alla Hawthornes abbiamo uno psichiatra che visita regolarmente gli ospiti e che le ha diagnosticato un disturbo dell’umore. Aiutiamo Cassandra a gestire gli episodi di “euforia” e quelli di depressione assicurandoci che assuma regolarmente i farmaci prescritti. Per la maggior parte del tempo è depressa. Gli episodi di euforia, quando capitano, sono i più problematici per la sua vita quotidiana: in quei momenti non è cosciente di aver bisogno di continuare a prendere le medicine. Né riesce a preoccuparsi della sua sicurezza personale.»

Kate si ricordò la scena di cui erano stati recentemente testimoni lei e Bernie nella villa di Hyde Road. «Di recente Cassandra è per caso fuggita dalla Hawthornes?»

Leila Jones la guardò negli occhi. «Questa non è una struttura blindata, dottoressa Hanson. Monitoriamo i nostri ospiti da vicino quando soggiornano qui da noi e avvisiamo le famiglie quando nella comunità si verificano dei problemi.»

Il che significa che Cassandra stava vivendo a casa sua quando l’abbiamo vista, l’altro giorno? Kate prese altri rapidi appunti, sentendo salire la preoccupazione. «Quindi usate farmaci per mantenere stabili le sue condizioni?»

Leila Jones annuì. «Soprattutto litio.»

Kate e Joe si scambiarono un’altra rapida occhiata. «Va sempre bene se incontriamo la signorina Levitte oggi, signora?» domandò lui.

La donna gli rivolse un ampio sorriso. «Rimarrebbe delusa se non lo faceste. Si è data una gran pena per voi. Vi accompagno da lei.»

Seguirono la donna e attraversarono una porta che dal retro della casa portava a un giardino circondato da mura. Su un lato c’era un basso edificio di mattoni. Mentre li guidava in un piccolo atrio piastrellato in terracotta, la donna parlò a voce bassa. «Vi prego di ricordare che si stanca molto facilmente.»

Una porta si aprì e Kate riconobbe la donna in piedi sulla soglia. Era la ragazza dello schizzo di Nathan Troy. La donna alla finestra del salotto di casa Levitte. Cassandra Levitte, il viso bianco come un cencio, con macchie viola scuro sotto gli occhi, i capelli biondi tirati indietro. Kate notò che si era messa un po’ di mascara e di lucidalabbra. Quando parlò, la voce era quasi infantile e del tutto atona. «Vi andrebbe un tè con una fetta di torta?»

Mentre Leila Jones se ne andava, Kate e Joe entrarono nel piccolo appartamento ordinato in cui li aspettava un tavolo apparecchiato con tazze di porcellana, dolcetti e biscotti. Quando si furono seduti e Cassandra ebbe portato l’occorrente per il tè, Kate le sorrise e disse, a voce bassa: «Le va bene se ci diamo del tu?». Ottenne in risposta un timido cenno di assenso. Scelse con cura le parole che pronunciò in seguito. «Io e Joe lavoriamo insieme. Lui è un poliziotto.» Rimase in silenzio per qualche secondo, per dare tempo a Cassandra di elaborare le informazioni. «Dobbiamo farti alcune domande e io vorrei prendere nota delle tue risposte, perché potrebbero essere importanti. Ti va bene?»

«Sì. Sono felice che siate venuti questa settimana. La scorsa settimana stavo molto male.» Non si capiva se fosse consapevole o meno del fatto che Kate avesse assistito a quell’episodio a casa sua. «Prima non riuscivo a dormire. Troppo da fare… Non ho dormito per una settimana intera.» Aggrottò la fronte. «Ho speso tantissimi soldi. Papà era davvero arrabbiato.»

Kate la assecondò. «Per che cosa hai usato quei soldi?»

«Non lo so… Sono… andati. Scomparsi. Penso che il mio ragazzo ne abbia spesi un po’.»

Kate sentì crescere la curiosità, ma mantenne un tono tranquillo. «Il tuo ragazzo.»

«Era molto carino… Non so come si chiama.»

Kate pensò al velato riferimento di Buchanan alla promiscuità di Cassandra ai tempi dell’università, ma stava anche pensando a come fare a orientare la conversazione verso lo scopo della loro visita. Fu Cassandra a farlo per lei. «Leila ha detto che dovrei parlarvi. Del mio amico Nathan.» Kate e Joe notarono ora una ruga sulla fronte pallida. «Adesso sto facendo la brava, prendo le medicine… per me è difficile ricordarmi le cose. Nathan se n’è andato. È stato tanto, tantissimo tempo fa.»

«Puoi parlarci di lui?» domandò Kate. Nessuna risposta. «Era tuo amico.»

Una serie di emozioni contrastanti attraversò il viso di Cassandra a una velocità tale che Kate non fu in grado di riconoscerle tutte. «Un buon amico. Certe volte andavo a casa sua… Non mi piaceva quel posto. Gli altri ragazzi…»

Quando vide che non diceva altro, Kate lanciò una rapida occhiata a Joe e poi provò con una domanda diretta. «Ci puoi raccontare com’era invece quando Nathan veniva a trovarti?»

Kate vide i grandi occhi grigi della donna perdersi nel vuoto. «L’unica volta che mi ricordo è quando ero malata. Papà era arrabbiato e si sono rotte delle cose che sono rotolate in giro e poi mi hanno mandata a letto e poi sono andati via tutti.»

La penna di Kate volava sulla pagina. Sollevò lo sguardo verso il viso assente di Cassandra. «E l’ultimissima volta che Nathan è venuto a casa tua? Te la ricordi?»

Il viso si fece triste e la donna scosse la testa. «No… Quella volta. Mi piaceva Nathan. Era il mio amico del cuore.»

Kate annuì mentre scriveva. «Ci è stato detto che anche lui ti voleva bene.»

«Lui mi parlava… parlavamo entrambi.» Poi il volto di Cassandra subì un cambiamento improvviso e sorprendente. Apparve impaurita, il suo corpo si irrigidì tutto. «No, no… io non parlavo. Parlava lui… Io no… Io no.»

Rallentando ogni movimento, Kate si chinò in avanti, fissando il viso angosciato della donna. «Cassandra, parlare non è una brutta cosa. Può essere una cosa buona da fare.» La sua interlocutrice sembrava ancora sconvolta, così Kate cambiò argomento. «Prendevi le medicine quando tu e Nathan eravate amici?» Un cenno di assenso. «Sai che medicine erano?»

Cassandra fece di sì con la testa. «Era litio. Lo prendo ancora. Certe volte il dottore mi dà una medicina diversa, ma non mi ricordo come si chiama.»

Kate scelse le parole con cura. «È mai capitato che Nathan prendesse le tue medicine, Cassandra? Magari per sbaglio?»

Lei scosse la testa. «No. Nathan non prendeva niente. Pensava che facesse male e comunque lui era forte e felice… e poi… poi è caduto sul pavimento e… si sono rotte delle cose e sono rotolate in giro e… ho bisogno di sdraiarmi.» Guardò Joe, con le palpebre pesanti. «Se fossi ancora davvero malata ti chiederei di sdraiarti con me. Ma adesso non sono malata in quel modo, quindi…» la sua voce si affievolì in un sussurro «non te lo chiederò.»

Kate e Joe si alzarono. Sarebbero tornati un altro giorno. Cassandra li accompagnò alla porta. Mentre si avvicinavano, Kate si accorse di un oggetto appeso proprio lì: un grande disco di vetro blu scuro di circa dieci centimetri di diametro, legato a un gancio con un cordino azzurro. Al centro del disco c’erano altri cerchi concentrici: uno bianco, un altro turchese e, all’interno di quest’ultimo, al centro esatto dell’intero oggetto, un punto nero e lucente. Kate si avvicinò. «Che oggetto notevole.»

«No! Non toccarlo. Non devi prenderlo!»

Kate si voltò verso Cassandra. «Non lo farò. Te lo prometto.» Ora il respiro di Cassandra si era fatto affannoso e il tenue colorito stava abbandonando il suo viso, come se qualcuno avesse appena premuto un interruttore. La pelle si era fatta giallognola a chiazze grigie, le ombre viola vi spiccavano nette. Kate inspirò l’odore intenso dello stress. «È molto importante per te, vero?»

Lo sguardo di Cassandra passò da Kate al disco e poi tornò indietro. «È la mia vita» sussurrò, afferrandosi la bocca con le mani.

Kate diede un’altra rapida occhiata alla decorazione. «Dove l’hai preso?»

Una nuova ondata di emozioni le attraversò il viso. «Ha un nome. Un nome strano… Non me lo ricordo» bisbigliò mentre, con gli enormi occhi sbarrati e le pupille dilatate, sollevò una mano per toccarlo ma si fermò poco prima di arrivarci. «Lui… protegge… Ne ho un altro qui.» Cassandra girò il risvolto della camicia e videro una minuscola perlina con gli stessi colori fissata su una spilla d’oro. «E un altro… in camera mia.»

Kate osservò il disco appeso alla porta. Quella specie di occhio al centro sembrava guardarla minaccioso. «Quindi è una sorta di ciondolo?»

«No. È un a-mu-le-to.» Cassandra lo disse come fanno i bambini quando imparano una parola nuova. «La notte lo prendo da lì e lo stringo in mano. È riposante. Sicuro.»

Kate era confusa. «Conosci bene la Hawthornes, Cassandra. Sei stata qui molte volte. La signorina Jones e tutte le altre persone di qui si prendono cura di te. Tu li conosci e ti fidi di loro, no?» Quando la donna annuì, Kate indicò il disco di vetro. «Perché hai bisogno di questo?»

«Voi non capite. Non potete. L’Occhio mi difende. Senza, io… io morirò.» Rimase in silenzio, poi disse: «Mi dispiace».

«Ti prego, non chiedere scusa» disse Kate. «Dove l’hai preso?» chiese una seconda volta.

«Non so dove… è arrivato dall’Oriente. È un segreto.»

Il sospetto che Henry Levitte avesse abusato della figlia si sollevò di nuovo nella mente di Kate. Guardò la donna tormentata, sentendosi ancora più afflitta. «Non va bene tenere dei segreti, Cassandra, soprattutto se riguardano qualcosa che non fa stare bene…»

«No.» Con quell’unica parola pronunciata piano, Cassandra aprì la porta per far uscire Joe e Kate. Poi la richiuse.

Tornarono nell’ufficio di Leila Jones e Kate descrisse la decorazione di vetro. «Ho pensato di dirglielo perché quell’oggetto sembra consolare Cassandra ma anche spaventarla allo stesso tempo. Non sono certa che abbia una qualche rilevanza per la terapia.»

Leila Jones annuì e prese un appunto. «L’ha portato qui già in passato, è una specie di fissazione. Normalmente non effettuiamo perquisizioni all’arrivo dei nostri ospiti, quindi non sapevo che lo avesse ancora. Però grazie per avermi avvisata. Chiamerò il nostro psichiatra e gli chiederò consiglio su come gestire i bisogni di Cassandra nelle prossime ore.» Si alzò e si avvicinò agli ospiti, tendendo loro la mano. «Grazie per essere venuti. Era importante per Cassandra, sapete.»

Kate si voltò. «Quanto pensa che rimarrà qui?»

Leila Jones la studiò e ne colse l’angoscia. «Come ho detto prima, questa non è una struttura blindata. Non possiamo impedire ai nostri ospiti di andarsene o dimettersi da soli, ma finché resterà qui con noi sarà al sicuro.»

La donna li accompagnò alla porta principale e li guardò entrare nella Volvo. Una volta tornata alla scrivania del suo ufficio, prese il telefono.

Niente di umano
titlepage.xhtml
index_split_000.html
index_split_001.html
index_split_002.html
index_split_003.html
index_split_004.html
index_split_005.html
index_split_006.html
index_split_007.html
index_split_008.html
index_split_009.html
index_split_010.html
index_split_011.html
index_split_012.html
index_split_013.html
index_split_014.html
index_split_015.html
index_split_016.html
index_split_017.html
index_split_018.html
index_split_019.html
index_split_020.html
index_split_021.html
index_split_022.html
index_split_023.html
index_split_024.html
index_split_025.html
index_split_026.html
index_split_027.html
index_split_028.html
index_split_029.html
index_split_030.html
index_split_031.html
index_split_032.html
index_split_033.html
index_split_034.html
index_split_035.html
index_split_036.html
index_split_037.html
index_split_038.html
index_split_039.html
index_split_040.html
index_split_041.html
index_split_042.html
index_split_043.html
index_split_044.html
index_split_045.html
index_split_046.html
index_split_047.html
index_split_048.html
index_split_049.html
index_split_050.html
index_split_051.html
index_split_052.html
index_split_053.html
index_split_054.html
index_split_055.html
index_split_056.html
index_split_057.html
index_split_058.html
index_split_059.html
index_split_060.html
index_split_061.html
index_split_062.html
index_split_063.html
index_split_064.html
index_split_065.html
index_split_066.html
index_split_067.html
index_split_068.html
index_split_069.html
index_split_070.html
index_split_071.html
index_split_072.html
index_split_073.html
index_split_074.html
index_split_075.html
index_split_076.html
index_split_077.html
index_split_078.html