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Trenta metri più in alto, nella sala del trono, l’affascinante bionda Clara Vanthi armeggiava con il suo enorme cacciavite d’acciaio: mettendo nell’operazione tutte le sue forze, eccitata come se stesse facendo sesso, riuscì a penetrare la fessura tra la seduta di metallo dorato e il grande trono d’oro. Mentre si agitava, i capelli si spostarono scoprendo il numero tatuato sul collo: D21S11.
«Aiutatemi!», gridò ai nove uomini di Abaddon Lotan. Un perplesso Hussein Zatar, osservandola dall’alto della sua statura con gli occhi sgranati, si rivolse ai suoi “terroristi”.
«Musaeadatuh! Aiutatela! Fate leva con i bastoni!».
Ai lati dell’imponente trono, tra i due braccioli – due grosse zampe di leone coronate da gigantesche teste babilonesi della divinità kuribu, il “cherubino”, guardiano cosmico del re Nabopolassar e incarnazione del dio Marduk, “il grande vitello solare” – la stessa copertura della seduta cominciò a cedere verso il basso con un gran frastuono.
Il viso di Clara si illuminò.
«Sì, sì, sì…», gongolava sfregando i denti tra loro. «Questo sarà chiamato il Ritrovamento Clara Vanthi».
Poi un liquido scuro come caffè colò sopra l’oro.
Abaddon Lotan deglutì.
«Che cosa c’è lì dentro?», domandò a Clara, spingendo da parte i suoi stessi uomini con una spallata.
«Toglietevi, fatemi vedere». Strabuzzò gli occhi e sorrise. Gonfiò il petto e prese Clara per le spalle.
«Che cosa c’è lì dentro? Vedi qualcosa? È arrivato il grande momento». Le portò le labbra all’orecchio. «Vedi qualcosa lì dentro?».
Con estrema dolcezza, Clara rimosse il pesante coperchio di oro massiccio e lo depositò tra le mani di Hussein Zatar.
Abaddon Lotan si avvicinò all’oscuro e terribile buco nero.
«Che c’è qui dentro? Portate le torce!».
Lungo le pareti dorate il fango continuava a scorrere verso il basso, verso l’interno, verso la verità.
«Le torce, accidenti! Fate luce!», gridava Lotan.
Al loro fianco, anch’egli titubante, si avvicinò il giovane agente biondo Ken Tarko, con la torcia della sua SIG Sauer P320 scura e argentata. Il potente fascio di luce scese nel sacro buco che sembrava senza fondo. Clara infilò le mani nel vuoto, palpando l’interno del Megathronos.
Poi chiuse gli occhi e sorrise tra sé. Aprì la bocca in estasi.
«Oh, Signore…». Sotto i polpastrelli tastò l’oggetto estraneo, infangato. Le palpebre le fremettero e inclinò la testa. «Non ci posso credere…». Era ansiosa, in tensione.
Abaddon Lotan la scrollò per le spalle.
«Che cos’è, accidenti!? Cos’è? Tira fuori quello che c’è lì dentro!».
Alle loro spalle comparve il terzo gruppo di soldati, con Moshe e il suo prigioniero: l’analista Isaac Vomisa. Il biondo Ken Tarko lo guardò come se fosse spazzatura, poi abbaiò ai soldati: «Legate questi tre agenti!», indicando Max León, John Apostole e anche Isaac Vomisa, che era a terra.
«Issateli alle colonne, che si dia inizio al martirio! Sarà l’olocausto per Azi-Dahhak, el Aryaman! Questo dev’essere il protocollo di questa grandiosa scoperta. Non vi perdonerò mai per quello che mi avete fatto sull’isola di Patmos, maledetti!».
Max León sputò a terra il suo stesso sangue e si rivolse a John Apostole.
«Non mi pare che la storia di Davide e Ioab finisse così».
«Infatti. I Gebusei hanno perso».
«Nessuno può battermi», dichiarò Max. «Non hai ancora visto come va a finire questa storia. In me scorre il sangue di Huitzilopochtli».
«Che cosa?».
Serpia Lotan, sempre bella con i suoi lunghi capelli neri, cominciò a strillare e piangere e a inveire contro Max.
«Non hai nemmeno usato quella tua stupida mitragliatrice! Ti sentivi un grand’uomo con quell’affare, tutto emozionato, neanche fossi Sylvester Stallone in Rambo! Invece sei solo un moccioso, un girino, un aborto umano! Non sei nessuno!».
In quel momento, dietro Isaac Vomisa, si avvicinò alle spalle di Abaddon Lotan il capo della sicurezza Kyrbu Firesword, con la sua chioma arancione, gli occhi da vitello e il viso deformato dalla leontiasi ossea. Accanto a lui, Moshe Trasekt impugnò l’arma.
«Il presidente sta arrivando in aereo». Guardò l’orologio da polso. «Sarà qui tra meno di un’ora. Cominciamo a preparare il reperto». Alle sue spalle passarono i grani tubi di plastica blindati pronto a contenere il Documento J. «Lo trasferiremo all’Anello E del Pentagono. Lì verrà studiato e modificato personalmente dal presidente».
Poi Clara toccò con i polpastrelli qualcosa che la turbò.
«Un momento…».