12

Di sotto, nella cappella Cristodulo, Max León udì le esplosioni. Sentì il rimbombo nelle pareti e nel pavimento. Aveva la vista annebbiata, la lingua e le labbra intorpidite dal narcotico: il diborano che Serpentia Lotan gli aveva somministrato attraverso le unghie.

Max si voltò verso la figura offuscata della bellissima figlia del reverendo. Distinse i lunghi capelli neri. «Che succede?». Alzò lo sguardo verso il soffitto e sentì un’altra esplosione. «Ci hai teso una trappola». Barcollò verso di lei. «Ci hai portati qui per ostacolarci».

Si portò la mano alla cintura per prendere il revolver. Sentì che gli mancava l’aria nel petto, una profonda asfissia.

La giovane e attraente Serpia, con i suoi grandi occhi neri e le ciglia lunghe, prese una grossa spranga di ferro appoggiata alla parete: l’attizzatoio dell’incensiere. Camminò lentamente per la cappella facendolo ondeggiare.

«Non hai forza, Max León. Il glucosio nei tuoi muscoli si sta esaurendo».

Gli altri cinque responsabili della diplomazia, tutti esperti di sicurezza e spionaggio, erano paralizzati. Avevano gli occhi persi sul soffitto e dalla bocca gli colava della schiuma che si accumulava agli angoli delle labbra. Erano distesi per terra. Uno di loro, il congolese Claude Ubamba, aveva gli occhi bianchi e ingrossati, simili a due palle di lardo.

«Cosa ci hai fatto?», chiese Max a Serpentia. Sentì le mani pizzicargli dall’interno. Avvertiva come delle scariche elettriche. Il prurito iniziò a diffondersi alle braccia, gli sembrava di avere dei chiodi nella carne.

Lei rise come una bambina malefica.

«Max León, mi hai sempre desiderata. Credevi che non me ne accorgessi?». Gli accarezzò i capelli. Gli sfiorò la guancia con la bocca leggermente aperta. «Anche tu mi piacevi. Ma adesso sei un terrorista. Grazie a te il presidente Trump potrà inviare le sue truppe nel tuo Paese. Gli hai offerto un pretesto. Tu sei la cellula dello Stato Islamico in Messico».

«Cosa ci hai dato?», insistette Claude Ubamba. «Cosa sono queste esplosioni?». Guardò il soffitto.

La ragazza indicò verso l’alto e applaudì.

«Non sono niente, idiota. Sono fuochi d’artificio». Sembrava divertita. «Fa parte dell’evento. Dovresti saperlo. Il tuo ambasciatore era uno degli organizzatori». Dopodiché gli mise l’attizzatoio in bocca e glielo spinse in gola.

Sfondarono la porta con un calcio. Da quel piccolo arco di roccia entrò il capo di Max León: il bruno ambasciatore messicano Dorian Valdés. Era agitato. Lo seguivano nove poliziotti greci.

«Vieni con me, Max». Si mise a sparare. «C’è appena stato un attentato di sopra». Corse verso di lui, lo prese per un braccio e lo trascinò fuori.

«Anche tu vieni con me!», abbaiò rivolto a Serpia. La afferrò con forza per il braccio. Lei fece resistenza, ma gli uomini dell’ambasciatore furono più veloci e le legarono le mani. «Prendete gli altri. Stanno scaricando la colpa su di loro».

La ragazza corrucciò il volto come se fosse sul punto di piangere. «Cos’è successo, ambasciatore?», chiese mentre correva, trascinata da Dorian Valdés, ex comandante della polizia e adesso ambasciatore in Grecia. «Mi dica, Sua Eccellenza. È tutto a posto?».

L’enigma dell’ultima profezia
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