37

Dall’altra parte della montagna, il faraone d’Egitto Necao II scrutò le truppe davanti a sé. Stava sul suo gigantesco carro da guerra, simile a un mostruoso scarabeo. Costruito con legno nero e lucido, si muoveva su venti grandi ruote corazzate in ferro e aveva tredici aperture per ogni lato.

Il faraone osservò il suo esercito muoversi verso il basso, diretto verso l’imbuto tra i burroni di Aruna e Yokneam. Oltre quei sentieri discendenti si trovava un’enorme valle con un fiume: la tenebrosa valle della città di Megiddo, di dominio degli abitanti Yahu, gli Ebrei. Un esercito di questi locali lo aspettava laggiù per fermarlo: l’esercito di re Yoshi-Yahu, Giosia.

Il potente Necao si rivolse al giovane figlio, il principe Psammetico, dal cranio lucido. «Mi avevi detto di aver negoziato personalmente con la gente del posto. Che diavolo succede?». Indicò le truppe giudaiche.

Suo figlio gli mise davanti i sottili fogli di papiro. «Ho qui le firme e i sigilli del figlio di Yoshi-Yahu. Mi sono accordato con lui tramite Sonchis di Sais perché lasciassero liberi i passi per questo burrone».

«Allora ti hanno ingannato».

Il faraone studiò le truppe di re Giosia. In un sussurro, iniziò a raccontare a suo figlio: «Miglia di anni fa Thutmose III il Grande, tuo antenato, passò per questo stesso burrone. Era una notte come questa, i suoi eserciti marciavano per combattere contro la più grande confederazione di tribù asiatiche che il mondo avesse mai visto. Queste si erano vendute a Barattarna, re dei Mitanni, un regno potente che ormai esiste solo nella memoria».

Nel silenzio circostante, con le luci dell’esercito che si riflettevano nei suoi occhi, Necao disse al giovane Psammetico: «Oggi Barattarna è Nabopolassar, insieme a quel mostro di suo figlio Nabucodonosor. Adesso lui è tuo nemico. Ha comprato gli Yah». Guardò dinnanzi a sé. «Tu affronterai questa nuova minaccia. Oggi gli Yah hanno deciso di morire per Nabopolassar di Babilonia. Nabopolassar ha comprato i capi di tutti questi popoli con gemme di agata di Persia».

Necao si affacciò allo spiraglio aperto sul lato del carro e si rivolse al messaggero che cavalcava al loro fianco. «Invia di nuovo Sonchis di Sais dal re degli Yahu. Digli che vada a parlargli un’ultima volta e che gli offra la pace. Che dica a re Yahu che non ho niente contro di lui, né contro il suo popolo, ma che questa notte devo impedire a Nabopolassar di colpire Harran. Harran è la capitale di Assiria; se cade davanti a Babilonia, se Nabopolassar se ne impossessa, questa stessa notte sorgerà nel mondo un potere nefasto. E devasterà tutto, incluse queste terre. Persino l’Egitto. Forse potremmo respingerli a Karkemish, ma Harran non deve cadere. Digli che stanotte devo impedire la caduta di Harran. Se non accetta questa seconda offerta, che Sonchis di Sais spari in cielo i suoi razzi di heka».

Il messaggero partì a gran velocità, pregando in silenzio. In sella al suo cavallo, trottava sulle rocce scoscese, verso il carro del nerboruto diplomatico Sonchis di Sais. Egli era il sommo sacerdote della dea egizia Neith, la dea segreta del Nilo, della guerra e della creazione dell’universo.

Sul suo calesse, il faraone sospirò. «Annientare questi Yahu non significherà niente per noi», mormorò a suo figlio Psammetico. «Sarà solo una perdita di tempo. Ma il tempo che perdiamo oggi è tutto. E i Babilonesi lo sanno». Stritolò lentamente uno scarabeo nella mano. «Se perdiamo Harran a nord, sull’Egitto scenderà l’inferno. Adesso tutto dipende da Sonchis di Sais e da quanto riuscirà a negoziare con il capo degli Yahu, che tu avresti dovuto trasformare in nostro alleato. Oggi il futuro del mondo può cambiare, figliolo».

L’enigma dell’ultima profezia
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