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Più giù, mentre le raffiche di vento di montagna sferzavano la sua pelle nuda, la bella Radapu, con indosso solo i suoi poverissimi sandali di fibra, discendeva tra rocce e rovi per poi fermarsi di fronte alle truppe di Nabucodonosor. Lo guardò dall’alto.

«Che vuoi fare, allora, vigliacco?».

Nabucodonosor si trovava in cima al suo gigantesco trasporto Tahhak, una balena di legno con otto grandi ruote, tre lunghi colli e tre teste alte nel cielo, ognuna delle quali guardava verso il basso con gli enormi occhi spalancati e tre bocche aperte.

Dietro Radapu avanzò Talete di Mileto che, senza smettere di guardare in su verso il muscoloso Nabucodonosor, le porse la lancia.

«Ti servirà. Te la manda Simonide. È la sua lancia della fortuna. Ti chiede di usarla».

Radapu si rivolse a Simonide, il robusto settantaquattrenne che la guardava con il suo occhio solo. Si protese verso di lei, la donna gli sorrise.

«Simonide…».

Il mercenario le alzò il pugno.

«Della razza di donne ce n’è solo una che conta: l’ape! E tu lo sei. Di tutte le api sei la regina!».

Radapu tornò a guardare in su verso il Tahhak, verso Nabucodonosor.

«Sarai un codardo, escremento di Babilonia? Scendi ora! Affrontami! Hai paura di me? Non sono più la donna debole che stavi per violare alla periferia di Karkemish. Sono venuta a vendicare la morte di mio fratello», e brandì in aria la lunga lancia nera e lucente di Simonide di Amorgos.

Divaricò i piedi per trovare stabilità tra le rocce. Gli scarabei si fecero da parte.

Sopra il suo mezzo di trasporto, il robusto Nabucodonosor si tolse le cinghie dal petto.

«Datemi la più letale delle nostre armi. Scenderò. Non mi faccio spaventare da una donna. Gilgamesh sconfisse la dea Ishtar in persona. Che nessuno intervenga. Che tutto l’esercito della Giudea veda come punisco questa schiava. Le strapperò la carne della faccia in un colpo solo. Battezzerò con il suo sangue questo nuovo dominio. Dopo, voglio che entriate nella città e che inizi la carneficina. Entrate dalle mura». Indicò le rocce. «Fate scorrere il sangue. Radetela al suolo. Che tutto sia sangue!», gridò. «Chi sopravvive sia messo con il bestiame. Legateli vivi, incatenateli. Li deporterò come schiavi a Babilonia e su queste migliaia di schiavi costruirò il mio governo».

In basso, Radapu afferrò la sua lunga lancia.

“Questo non succederà… Non succederà…”, si ripeteva a occhi chiusi. “Mathokas. Ti amo. Sono sempre con te. Lo sarò sempre”. Li riaprì. “Figlia del faraone, affronta il nemico di tuo padre e del tuo popolo. Oggi distruggerai Babilonia”.

L’enigma dell’ultima profezia
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