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«Dallo stile si è dedotto che era una donna».

«Una donna?»

«Tuttavia, a parte la data non si sa altro di lei: né chi era, né come le venne assegnato il lavoro di coordinare tutta la redazione della “Grande fusione del VII secolo a.C.”, a cui lavorarono tra i venti e i quaranta scribi. Possiamo solo dedurre che fu tutto pagato da Babilonia».

«Porco diavolo, veramente?», chiese Max León allo slavato e intrepido John Apostole che, insieme alla bella ed esotica Serpia Lotan, di malumore com’era, procedeva nel caldo e buio tunnel di Efeso, sotto al battistero, tra le ragnatele e gli orrendi disegni sulle pareti.

John Apostole disse a entrambi:

«Insisto: l’unica cosa che a oggi si sa di R, della Redattrice, è che tutta quest’opera di falsificazione la pagò Babilonia».

Serpia negò con la testa. «Ma che ne sai tu, feccia?!», gli sputò in faccia. «Hai le prove?».

John Apostole si asciugò la saliva sulla guancia con la manica della giacca.

«Lo vedrai, mia cara: tutto l’Antico Testamento è una macchina di propaganda contro l’Egitto. Non te ne sei resa conto? Era proprio ciò che volevano i Babilonesi prima e i Persiani poi! L’Egitto ha sempre rappresentato un nemico da sconfiggere per qualsiasi potenza dell’Asia. Oggi tutto il pianeta crede alla versione per cui i faraoni egizi furono quanto di peggio fosse mai esistito nell’universo, quando invece lo erano tutti gli altri. Grazie, Nabopolassar; grazie, Nabucodonosor; grazie, Ciro; grazie Artaserse. Bel lavoro, ragazzi. Ci hanno manipolato tutti. Bell’uso della religione. Eppure non c’è niente di certo».

«A che ti riferisci?»

«A questo». E puntò la torcia contro uno dei tanti orribili disegni sulla parete, che il sacerdote Creseto Montiranio vi aveva dipinto: un orrendo mostro marino con le corna ai lati della testa.

«Questo è il Leviatano», indicò in alto. «Arrivi a leggere quelle lettere? È il segreto del tuo stesso cognome». Serpia Lotan aguzzò la vista.

«“Leviatano. Giobbe 3:8, Giobbe 21:1, Salmo 104:26, Salmo 74:14 e Isaia 27:1”. Sono cose che conosco già. So chi è il Leviatano. Che c’entra con il mio cognome?».

Apostole le torse il braccio. Con i suoi grandi occhi, la donna continuò a leggere: «“Serpente veloce, serpente tortuoso, drago marino. È Lotan, il mostro marino dei Fenici. Il Leviatano è falso”». Strabuzzò gli occhi. «No… “Lotan”?».

Cadde un silenzio assoluto.

Serpia, a bocca aperta, guardò prima Max León, poi di nuovo John Apostole. Cominciò a fare no con la testa.

«Lotan?».

John Apostole le sorrise.

«Sì, amica mia. Il tuo cognome. È falso, proprio come te. Si tratta del nome che fu assegnato a tuo padre dai servizi segreti: Lotan. È una mostruosa divinità fenicia. Fu integrato nella Bibbia e oggi lo si invoca come Leviatano».

La bella donna guardò di nuovo il mostro, la “creatura marina”, una sorta di terribile e gigantesco mollusco. Lo osservarono tutti e tre e ne ebbero paura, compreso Max León.

John Apostole afferrò Serpia per il braccio.

«Sei parte del demonio», le disse. Poi puntò la torcia sul disegno successivo. «E questo cos’è, maledetta? Leggi!».

Max León bloccò John afferrandogli il bicipite.

«Lasciala. A essere cortesi non si è meno valorosi». E, con grande forza, slegò la bella assassina sotto lo sguardo incredulo di Apostole.

«Come vuoi, però non c’è dubbio: la droga che ti ha dato sta facendo ancora effetto».

Tutti e tre guardarono il disegno seguente: un umanoide gigante con corpo di elefante e occhi demoniaci.

«Questo è Behemot», spiegò Serpia Lotan. «Il mostro del caos. Versetto di Giobbe 40:15-24».

«Adesso leggi cosa scrisse qui il sacerdote che è appena morto a Patmos», le disse John Apostole.

Serpia Lotan cominciò a leggere.

«“Behemot, mostro del caos nella Bibbia. Terrorizza milioni di persone. La sua origine è Mot, divinità fenicia della morte. Importata nella grande fusione del VII secolo a.C., per mezzo della Redattrice R”».

Serpia deglutì. Max León inarcò le sopracciglia.

«Porco diavolo…», si rivolse a John Apostole. «Erano tutte creature fenicie?»

«Maledetto Montiranio…», sussurrò Serpia Lotan tra sé e sé e sorrise. Poi, con fare civettuolo, guardò Max León. «Sta rivelando tutto, vero? Per fortuna ci siamo solo noi a vederlo, che non siamo nessuno. E moriremo presto, perlomeno voi».

Max deglutì.

«Che cosa vuoi dire?»

«Stanno per arrivare gli uomini di mio padre per uccidervi», disse al canuto John.

«Tu lo sapevi?», le chiese Max. «Tuo padre ti aveva detto che alcune parti della Bibbia sono menzogne?».

La bella Serpia osservò le pareti. «In aramaico bihmoot significa semplicemente “rinoceronte”».

John Apostole spostò la luce della torcia in avanti. Sulla parete apparve un terzo disegno: un nugolo di insetti disegnato da Creseto Montiranio con colori azzurri. Alla luce ultravioletta della torcia di John, che aveva sostituito quella più debole del cellulare, i colori diventarono fosforescenti.

«Questo è Abaddon, lo Sterminatore», sorrise Serpia Lotan.

Max sgranò gli occhi.

«No… tuo padre…?».

Serpia camminò sotto il disegno. Osservò il dettaglio degli insetti. Avevano tutti volti umani in miniatura. Sorrise e sussurrò dolcemente a Max e John Apostole: «Abaddon è l’angelo degli abissi, dello Sheol, del Tartaro. Un esercito di locuste dal volto umano incoronate, con capelli di donna». Accarezzò i propri. «Ma adesso guardate cosa ha messo lassù Montiranio», e indicò il cartello.

Max León lesse: «“Abaddon, lo Sterminatore. Versetti biblici Giobbe 26:6, Giobbe 28:22, Giobbe 31:12; Salmo 88:11, Proverbi 15:11 e 27:20. Apocalisse 9:11. Abaddon è il dio fenicio delle piaghe: Reshef. Importato nel VII secolo nel corso della fusione della scriba R”».

Max chiuse gli occhi.

«Diavolo… allora è vero… sono tutte bugie?».

L’affascinante donna dai capelli neri e dai grandi occhi scuri sorrise.

«È vero, Max León. Anche il dio fenicio Eshef, mostro delle piaghe, si è infiltrato nella Bibbia conservando perfino il nome fenicio. Appare in Giobbe 5:7, Deuteronomio 32:24 e Cronache 7:25. Qui appare come un nipote di Efraim», si voltò verso John Apostole. «La scriba dimenticò o forse non cercò neanche di cambiarne il nome fenicio, quello con cui lo adoravano nel Nord», sorrise.

Entrambi videro, sotto il nugolo di insetti, le lettere mal scritte dal sacerdote Creseto Montiranio.

I Greci lo chiamano “Apollyon”, un dio greco, più conosciuto come “Apollo”, che scaglia frecce.

Apocalisse 9:11

«Perché tutti questi mostri fenici sono ancora nella Bibbia ebraica? Perché nessuno li ha tolti?», domandò Max León, rivolgendosi a tutti e due.

«Si stava cercando di unire Israele alla Giudea, per creare di nuovo una nazione unica», rispose John Apostole, senza smettere di guardare Serpia. «I sacerdoti che operarono la fusione non volevano perdere la fedeltà degli abitanti del Nord. In un modo o nell’altro dovevano conservare le loro divinità e i loro mostri e questa fu la maniera più semplice: integrandoli». Si voltò verso la bella Serpentia Lotan. «È la stessa cosa che sta facendo oggi tuo padre per il governo degli Stati Uniti. Per questo si fa chiamare Abaddon Lotan. Non è così?», e le puntò la pistola alla testa.

La donna sorrise.

«Ti faremo scuoiare, Cerinto».

«Ma che stai dicendo?»

«Tu sei il falso profeta».

Venti metri più indietro, dall’alto del battistero, si calò nel tunnel un uomo di razza bianca, slavato, con la testa ricoperta di capelli biondi, occhi azzurri e una giacca di pelle scura, lunga fino alle caviglie. Impugnava una lunga arma senza la sicura con la quale spostava le ragnatele man mano che veniva avanti.

Sussurrava tra sé e sé nel suo accento britannico.

«Quello che sta qui dentro non è John Apostole, ma un maledetto impostore», e si portò la radio alla bocca. «Sto arrivando dal mio doppione, dal mio “sosia”», comunicò. «Il vero John Apostole non è lui. Sono io». Puntò il revolver avanti a sé. «E oggi ti uccido, maledetto impostore di merda». Detto questo cominciò a sparare.

A cinquecento metri di distanza, sull’elicottero, il potente reverendo Abaddon Lotan, consulente del presidente Donald Trump, sorvolò la costa turca e parlò nella sua ricetrasmittente.

«Non ucciderli. Lasciali in vita, anche il messicano. Li tortureremo per quattro giorni nella tomba di Cerinto». Chiuse con delicatezza l’auricolare. Si voltò indietro, verso l’agente americano Ken Tarko, che sorrideva. «Assicurati che questa registrazione la ascoltino a Washington».

«Certo».

In quel momento venti elicotteri neri dell’esercito della Turchia affiancarono il loro.

L’enigma dell’ultima profezia
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