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Era Abaddon Lotan.
Clara Vanthi e Max León deglutirono. Lotan applaudì di nuovo. Camminava davanti a loro, sotto la statua di Yah-Mes. Ne guardò la faccia.
«Pensavo che non sareste arrivati a nulla. Siete stati eccellenti», sorrise. «Molto meglio di mia figlia!», e con un sogghigno indicò di nuovo la bellissima Serpia Lotan, con il mascara sciolto dalle lacrime.
Dietro di lei si avvicinarono lentamente, armati, tredici soldati; uno di loro, in prima fila, teneva nelle mani guantate la mitragliatrice di Max León, la fx-05 Xiuhcóatl verde, il serpente di fuoco. Era King Burger, il suo ex sottoposto di centodieci chili.
«Mi dispiace, Max».
«Dove sono Isaac e gli altri?», chiese lui in tutta risposta.
«Dov’è la mia fonte J?», domandò Abaddon Lotan. «Tiratela fuori da lì sotto». Guardò il sedile di Mosè: un cesto di pietra.
Max osservò la statua: la mano di Yah-Mes.
«Non vedo smeraldi».
«Il problema è che questa tomba è vuota», gli disse Lotan.
«Che cosa?»
«Non c’è alcun corpo in questa tomba. Il sarcofago è vuoto. Questa tomba non è mai stata usata. È “inutilizzata”. È pronta per il volontario che voglia occuparla». Rivolse un sorrisetto a Max. «Questi disegni sono rimasti incompiuti. A cosa pensi sia dovuto?».
Max scosse la testa.
«Non appena Akhenaton morì, questa città fu bandita. Ne fu ordinata l’evacuazione. Esistette come città per tredici anni soltanto. Dopo che fu svuotata, tutti dovettero lasciarla, anche quelli che stavano decorando questa tomba. Anche Mosè. Non ha mai avuto la possibilità di occupare la propria tomba. Il suo corpo dev’essere altrove. Settecento anni dopo questa evacuazione, un sacerdote egizio di una nuova generazione, chiamato Sonchis de Sais, consigliere del futuro faraone Necao, parlò con un greco, l’arconte di Atene Solone, amico di Talete di Mileto, e gli disse che era esistito un regno leggendario di pace e amore: Atlantide, quella che tutti conosciamo come leggenda. Ora sappiamo cosa sia stata davvero questa Atlantide: Amarna. Furono i tredici anni di questa rivoluzione di Akhenaton e Yah-Mes, durante i quali il mondo cambiò, e cambiò per sempre, fino a oggi, dove viviamo nella sua memoria, con le religioni monoteiste a farle eco. Tuttavia gli antenati di Sonchis de Sais, di Seti I, avevano cancellato dai registri l’episodio di Amarna».
Max inarcò le sopracciglia.
«Be’, lei è sveglio, ma se fosse come dice, e in questa tomba non ci fosse niente, perché starebbe qui con noi a perdere tempo? Il Documento J deve essere qui. Lei ne è la dimostrazione, maledetto terrorista. Il Documento J è proprio qui, dentro questa statua.
Abaddon Lotan scoppiò a ridere.
«Max León, Max León… Il tuo capo ti ha selezionato per la tua intelligenza e ha scelto bene. Dorian Valdés era amico del massone Carlos Vázquez Rangel ed entrambi erano amici del grande papa Paolo VI. Erano tutti massoni e mi riferisco anche a Paolo VI. Puoi anche non crederci, ma quel pontefice era massone. Ti hanno scelto. Pensi che sia un caso che tu sia qui, oggi, a indagare su questo mistero della Bibbia, sull’origine del mondo? Perché tu?», ghignò. «Ti sembra un caso che il tuo capo, l’ambasciatore, ti abbia protetto da quando sei entrato in polizia? Non è perché non hai talento, anzi. È proprio perché ce l’hai. Sei stato scelto. Ti hanno scelto».
«Chi? I massoni?».
Max fu preso da un ricordo. Vide l’anello del suo capo.
«Porco diavolo… e questo che significa?»
«La tua nascita è stata normale, Max León. Non fraintendermi. Sei stato scelto già da giovane. Ti scelsero per i tuoi talenti. Però in definitiva ti scelsero. Esiste una profezia massonica».
«No, no. Profezia massonica?», e si rivolse a Clara.
«È l’uomo con la testa di leone, Max León. Ha molti altri nomi: Aion, lo Zurvan del mitraismo. Il leone, il leontocefalo. Per lui tu sei il nuovo nato».
«Oddio… il nuovo nato? È tutta… massoneria?».
Lotan lo afferrò per i polsi: «Max León, ci sono molte persone che stanno pensando a te in questo momento, per darti energia. Sei molto importante per loro. Tutta questa forza che hai, la stai ricevendo da loro: da questa preghiera collettiva di migliaia, milioni di massoni in tutto il mondo. È diretta a te, Max León, per renderti potente. Lo senti, vero?»
«Sta dicendo che sono una specie di messia?». Max scosse il capo, incredulo. «Sa? Sono nato con un problema all’udito: non sento le cazzate, e questa mi sembra la più grande mai detta finora».
«Maitreya è solo uno dei nomi del nuovo nato». Lotan guardò la statua. «Il concetto del nuovo nato che verrà alla fine dei tempi c’è in tutte le culture. In India si chiamava Kalki, “l’uomo del cavallo e della spada”. Ricordi? Appare in Apocalisse 19:21».
«Porco diavolo…».
«Ebbene sì, è Kalki. Distruggerà il demone Kali alla fine del periodo cosmico Kali Yuga, quello che stiamo vivendo. È un mito di origine indù. Si presume che Kalki sia la decima incarnazione dell’anima cosmica del dio Visnù, creatore dell’universo. Maitreya, a sua volta, è la versione buddista di quello stesso mito. Maitreya è la ventinovesima reincarnazione di Buddha: la fine dei tempi. Nella versione persiana di questo stesso mito, il redentore si chiama Saoshyant, il “re dei re”, il sahanshah, colui che governerà la terra. Gli islamici lo chiamano Mahdi, che distruggerà il falso messia, o Al-Masih ad-Dajjal, e regnerà nove anni prima dello yawm al-qiyamah, il giorno della risurrezione».
«Lei è decisamente malato. Secondo me passa troppo tempo su letture esoteriche».
«Sei stato scelto per essere uno di loro, Max León», sorrise Lotan.
Max deglutì.
«Cosa intende dire?»
«Il tuo capo ti ha selezionato fin dall’inizio per essere il Maitreya». Il suo sorriso brillava nel buio. «Ma tu non sei il nuovo nato, sei solo quello che aprirà la strada, come fece Giovanni Battista. Per quanto riguarda invece Creseto Montiranio, il suo vero nome è sempre stato Dioniso. Creseto Montiranio significa “segreto del monte dell’Iran”, vale a dire il vulcano Damavand. È la montagna dell’Anticristo. La montagna dell’Apocalisse. Tu e lui eravate destinati ad incontrarvi, a nascere e a morire su quella montagna. E così sarà».
«Sempre peggio», disse Max a Clara. «Aiutami».
Lotan gli sorrise. Dalla tasca interna estrasse una piccola torcia a raggi infrarossi che puntò sul soffitto.
«Suppongo che tu abbia già visto questo. Sono i resti del pigmento egizio. Il soffitto si riempì di stelle fosforescenti. È la radiazione infrarossa. Le fa brillare. È la cuprorivaite, il blu egiziano. Sono gli echi dell’età del Bronzo. Queste stelle, però, non corrispondono a quelle del cielo che vediamo oggi. Sono l’emisfero settentrionale siderale di quattordici milioni di anni fa».
Max strabuzzò gli occhi.
«…quattordici milioni di anni…?»
«Vale a dire che non c’era ancora l’uomo». Alzò gli occhi. «Dio deve aver mostrato qualcosa di veramente sconvolgente a questi due individui, Akhenaton e il suo migliore amico, Yah-Mes. Ma cosa? E, dettaglio ancora più importante, cosa c’entra quella rivelazione con te e con lei?». Si rivolse a Clara Vanthi. «Gena, per favore, tira fuori quello che c’è lì dentro». Indicò la scultura di Yah-Mes.
«Non so come si apre», rispose lei.
«Gena…?», si stupì Max.
Lotan spense la torcia.
«Il suo nome è Gena Eden. Si trova qui dall›inizio dei tempi». Andò dietro la statua e, con forza, premette in una scanalatura. Lentamente estrasse un oggetto pesante.
«Se io o il mio faraone avessimo visto Dio e se Dio mi avesse detto qualcosa di importante, qualcosa che potrebbe cambiare il futuro del mondo, io l’avrei nascosto nella mia stessa tomba, al posto del mio corpo; soprattutto se sapessi che la città sarebbe rimasta sepolta per tremila anni».
Sfilò faticosamente l’oggetto metallico marrone scuro. Era unto di un olio verdastro. Tutti rimasero in assoluto silenzio.
«L’ultrastruttura», sussurrò Abaddon Lotan. «La composizione dell’universo», si compiacque. Soppesò con delicatezza il pesante rotolo di rame. Oscillando, il materiale scricchiolava come una molla cilindrica, ammortizzata dalla lubrificazione dell’olio, che colava dai lati.
Max León si girò verso Serpia Lotan, che lo fissava senza espressione sotto i suoi capelli neri. Lotan sorrise a Max.
«Dopo una vita passata a leggere gli scritti di Albert Einstein, cercando di capire qualcosa, sono finalmente arrivato ai due paragrafi che spiegavano tutto, e che hanno a che fare con questo, con il Documento J», gli sorrise.
«Einstein, adesso?», chiese Max León mentre, alla fine, osservava il Documento J nelle mani del reverendo: quella struttura cilindrica uscita dalla tomba vuota di un ministro giudeo dell’età del Bronzo: Mosè.
«“Secondo la relatività generale, il concetto di spazio privato di tutto il contenuto fisico non esiste”», e Lotan sorrise di nuovo. «“Il concetto di particelle o punti materiali […] può solo apparire come una regione di spazio limitata in cui la forza del campo o la densità di energia è particolarmente elevata”. Albert Einstein, 1950».
«Eccellente», commentò Max. «Cosa diavolo significa? Adesso sei un maledetto scienziato?»
«Significa che la materia non esiste». Sempre sorridendo, indicò in giro. «Tutto ciò che siamo sono onde o vibrazioni di qualcosa chiamato “spazio”, che in realtà non esiste. Siamo lo spazio stesso. Siamo il vuoto quando cerca di essere qualcosa». Quindi si rivolse alla figlia. «Siamo il pensiero di Dio. Mostragli la sequenza».
Con estrema cautela, Serpia Lotan girò il foglio che aveva tra le mani. Sul retro c’erano delle lettere.
(TCTA)n(TCTG)n(TCTA)3TA(TCTA)
3TCA(TCTA)2TCCA TA] (TCTA)n)
[D21S11 —21q11.2 - q21]
Serpia disse allora a Max e Clara: «Questa è la sequenza del gene D21S11». Si rivolse a Clara. «È quello che hai tatuato sulla pelle, lo stesso di Akhenaton e sua madre, Tiy. Il rapporto di Donald Yates ha rivelato che l’allele D21S11 è un marcatore autosomico del popolo ebraico. Lo studio di Picornell, Tomas, Castro e Ramon riportò che “negli ebrei, il locus D21S11 domina l’allele 29 – come nella mummia di Yuya”. Yuya era il nonno di Akhenaton. Oggi ritengono che Yuya sia il Giuseppe della Bibbia. Ciò dimostra che la base della storia di Mosè è vera e, pertanto, lo è anche la base della Bibbia. Lo stesso Akhenaton era ebreo. Tu sei la discendente vivente del faraone. L’intelligence ti ha trovato su GENYSYS per via dal tuo gene. Ecco perché ti hanno selezionato, proprio come Max. Ti hanno addestrato, per questo lavorarono con te, ecco perché sei una e sei molte allo stesso tempo».
Clara sgranò gli occhi.
«Consegnatemi quel rotolo», disse allora a Serpia e a suo padre.
Lotan si accigliò.
«Comunque», disse a Clara, «quello stesso allele del cromosoma 21 lo hanno anche gli attuali abitanti del Libano e della Siria, nonché i palestinesi: non solo gli ebrei. Sono lo stesso popolo. Libanesi, siriani, ebrei, Fenici, antichi Apiru. Sono la stessa razza: gli antichi Cananei. Le attuali divisioni sono artificiali. Sono state create da Nabopolassar di Babilonia insieme al figlio, per metterli in guerra l’uno contro l’altro. E quella guerra continua ancora oggi. Fomentata dagli Stati Uniti».
Max fece tre passi verso di lui.
«Dammi quel rotolo. Noi porremo fine a questa dannata guerra. Facciamo conoscere questo rotolo. Il mondo saprà cosa diceva in origine la Bibbia. Scommetto che in questo rotolo non si parla di sterminare i popoli vicini».
Lotan si portò il documento J dietro la schiena. Abbassò gli occhi.
«Gena Eden», disse a Clara, «ora lo sai. Tu possiedi i geni di Tadua, cioè Davide, che era della famiglia di Tiy. Appartieni al ramo di Yishaya».
Clara inclinò la testa.
«Prego?». E guardò Max.
Lotan disse: «Isaia 11:1 dice: “E un ramo uscirà dalla casa di Davide e lo spirito di Dio si poserà su di esso”». Sorrise a Clara. «Tu sei quel ramo. Sei il gene apiru. “E una stella apparirà nel cielo, e questa stella annuncerà il suo ritorno”», declamò con gli occhi rivolti alle stelle.
«Un momento…», gli disse Clara, «si riferisce al Messia…?».
Si strofinò le esili braccia nude.
«Mi riferisco a Gesù Cristo», rispose Abaddon Lotan. «Egli stesso rivelò a Matteo: “Allora un segno apparirà nel cielo […] e tutte le tribù della terra vedranno il figlio dell’uomo, il suo ritorno”. Matteo 24:30».
Clara scuoteva il capo.
«Si riferisce alla fine dei tempi? All’Apocalisse? È questa la fine dei tempi?»
«In realtà questo è l’inizio dei tempi, non la fine», dichiarò Lotan sempre con il sorriso sulle labbra mentre camminava nel buio davanti alla statua di Mosè, con il Documento J dietro la schiena. «Gesù disse che il tempo precedente era finito e che sarebbe tornato. Forse Gesù stesso era il Documento J. Ma è stato crocifisso e non l’abbiamo ascoltato». La fissò. «L’epoca della guerra è finita. Quello era il mondo precedente. L’Apocalisse si è compiuta. Ora tu sei l’inizio. Questo è il motivo per cui voi due siete insieme. Tu aprirai la porta. Il canale verso Dio sarà aperto di nuovo. Faciliterai il suo ritorno».
Max indicò Lotan.
«Non ci posso credere. Si sente bene o è impazzito? E per tutto questo tempo la credevo un figlio di puttana!».
«Io non sono il reverendo Abaddon Lotan», disse l’uomo a quel punto. Non sono nemmeno “reverendo”». Si strappò il colletto sacerdotale. «Sono un sosia. Un Doppelgänger. Un doppio fisiognomico. Il reverendo Lotan è in cella, nel palazzo delle Nazioni Unite. Sono un infiltrato nell’operazione Gladio. Lavoro per l’ambasciatore Moses Gate».
Max afferrò Clara per il polso e sorrise:
«Non ti sembra un po’… pieno di cloni…?».
E sul soffitto cominciarono a risuonare i passi dei soldati.