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A metà del tempo – nell’età del Ferro, VII secolo a.C. – mentre avanzava nel pantano di fango e sangue umano sul suo gigantesco trasporto di legno, il re Nabopolassar di Babilonia, tronchesi alla mano, continuava a tranciare i gomiti al giovane imperatore assiro Ashur-Uballit II.
«! Abbu-abbu puhizzaro! Ecco cosa fecero i tuoi antenati ai miei antenati!», e proseguì con la sega. «Ecco ciò che il tuo antenato Ashur-Uballit I fece al mio antenato Burnaburiash, capo di Karduniash!».
Lì accanto, la bella Radapu, legata mani e piedi, continuava a gridare. Di fronte a lei, il figlio di Nabopolassar, massaggiandosi il pene con la polvere magnetica, diceva: «Sarò il demonio per te, donna del deserto. Quando sarai morta e genererai nelle profondità dell’Irkallu, tu e io governeremo con il tuo esercito di morti che avranno il mio seme!».
Radapu, divincolandosi, si girò di scatto verso il greco.
«Il tuo piano è fallito, maledizione!». Chiuse gli occhi.
Tra le lacrime, Talete le sorrise.
«Non sottovalutare mai un greco, men che meno un fenicio», e si girò verso l’entrata degli stanzini.
Radapu riaprì appena gli occhi.
«Ma di che parli?».
Dalla porta vide arrivare due piedi: due sandali inzaccherati di sudore e sangue.
«È successo qualcosa!», disse a tutti la persona che era appena entrata. «Sta succedendo qualcosa, amato padre! Vengono per uccidervi!».
Era Nabu-Suma-Lisir, figlio minore dell’anziano Nabopolassar.