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«Fu proprio allora che la Bibbia venne alterata», disse frettolosamente l’ambasciatore Dorian Valdés al suo assistente Max León. Gli spiegò rapidamente tutto ciò che sapeva. Gli fece salire le scale di pietra trascinandolo per il braccio.

«È la Bibbia stessa a fissare questo momento. Si trova nel libro Secondo Re, versetto 22:8. Dice: “Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safan: ‘Ho trovato nel tempio del Signore il libro della legge’. Chelkia diede il libro a Safan, che lo lesse…” e poi lo portò a re Giosia. Chelkia creò quel manoscritto apportando delle modifiche rispetto alla fonte originale. I suoi manovali invecchiarono la pergamena in un forno e utilizzarono della curcuma indiana per farlo sembrare antico. Quel documento divenne la versione ufficiale della Bibbia. È il Pentateuco Deuteronomio. Oggi è la base del credo di tre miliardi e mezzo di esseri umani. Il testo originale fu distrutto. Era quello che noi chiamiamo Fonte J, o Documento J. Oggi sappiamo dov’è nascosto. L’ambasciatore Moses Gate è la chiave dell’enigma. Lui e i suoi scavi presso il monte Sion».

Max era ancora sotto l’effetto del diborano somministratogli da Serpia. Il composto tossico gli circolava nel sangue, gli procurava una flocculazione di cefalina nel cervello e gli gonfiava le cellule cerebrali. L’ambasciatore lo trascinò su per le scale e lo spinse fino alla terrazza ad archi del complesso.

«Ti accuseranno, Max. Non lasciare che ti distruggano».

Entrambi percepirono l’odore di bruciato, l’olezzo rivoltante del silano, chiamato anche tetraidruro di silicio. Udirono altre esplosioni.

«Si è appena verificato un attentato», disse Valdés a Max. «Oggi tu e io non siamo più l’ambasciatore e il suo consigliere politico. Oggi tu e io torniamo a essere ciò che siamo sempre stati: un comandante della polizia investigativa e il suo migliore investigatore nella sezione omicidi. Hanno appena assassinato l’uomo che oggi avrebbe cambiato il futuro, perché aveva intenzione di svelare la verità sulla Bibbia. Questo è il motivo per cui tu e io siamo qui stasera. Siamo stati scelti: siamo qui per il mosaico di Isaia 7:15 che papa Paolo VI consegnò al presidente Echeverría nel 1968. Quel versetto è cruciale per gli esploratori del monte Sion. Questo mosaico contiene la chiave per aprire la botola dell’età del Bronzo e trovare la Fonte J».

Uscirono sulla terrazza, nell’aria gelida in cui persisteva l’odore della polvere da sparo. Serpentia Lotan li seguì. Corse anche lei, sconvolta, e strillò: «Aspettate! Dove andate?». Mentre avanzava si dibatté nel tentativo di slegarsi i polsi.

Il comandante Valdés corse tra le esplosioni verdi, coprendosi il volto con le braccia.

«Vieni, Max!». Osservò per terra i corpi che fremevano tra gli spasmi, con le viscere fuori dalla carne, sanguinando dalla bocca. «Come hai potuto permettere che succedesse tutto questo?».

Max gli corse dietro. «Io…». Scosse la testa. Aprì gli occhi il più possibile, per cercare di tornare in sé. Le immagini continuarono a essere sfocate ancora per mezzo minuto.

Seguì il suo comandante, il quale urlò nella ricetrasmittente: «Mandate immediatamente le squadre mediche. Ci sono circa duecento feriti con ustioni. Fate scendere quel maledetto elicottero!».

Un proiettile gli sfiorò la tempia. Sentì gli spari che provenivano dalla direzione in cui c’era il palco. Si gettò per terra. «Sta’ giù, Max!». Gli strattonò un braccio e indicò davanti a loro: «Ci sono due maledetti cecchini lì di fronte».

«Chi sono?»

«Non lo so. Ti avevo chiesto di indagare». Riprese l’avanzata. Nascondendo la testa contro il petto, marciò al passo militare di mezza falcata.

La bella Serpentia Lotan li seguì, anche lei avanzando come un soldato, circondata dai militari greci portati dall’ambasciatore.

«Slegatemi, maledetti!».

Gli altri quattro uomini delle ambasciate la seguirono: Steve Bower dall’Inghilterra, Bubal Kehara dalla Namibia, Joao Sierra dal Brasile e Robin Gerarde dall’Australia.

Dorian Valdés osservò i feriti che strillavano e piangevano.

«Non temete», urlò loro. Sollevò in aria la sua Mendoza HM4S, nera e lucida; poi la rimise giù. «Tra pochi minuti arriveranno almeno venti paramedici. Ve lo prometto». Guardo davanti a sé, verso il palco.

Avanzò. Altri due razzi di diborano e silano esplosero oltre le loro teste. Le fiamme verdi dispersero una sostanza simile ad acido, uno spray di gocce minuscole.

Il muscoloso Bubal Kehara si portò le mani sul viso e gridò: «I miei occhi! I miei occhi!». Prese a strapparsi la pelle. Il suo volto si stava deformando.

«Vieni, Max», proseguì Valdés. «Adesso l’unica cosa che conta è vedere se possiamo ancora salvare l’ambasciatore Moses Gate. È la sola cosa che conta. Lui è il Documento J».

La bella Serpia Lotan avanzò furtivamente dietro di loro, spaventata. Si portò indietro i capelli per vedere meglio. «Tutto questo è opera dello Stato Islamico», disse.

Nel piccolo auricolare che aveva all’orecchio sentì la voce di suo padre: «Non separarti da questi due idioti. Fanno parte della cospirazione. Resta incollata a quei due messicani. Dobbiamo estorcergli con la tortura il significato del passaggio di Isaia 7:15. Dovesse costarti la vita».

L’enigma dell’ultima profezia
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