14

In quello stesso punto del canale, duemilaseicento anni prima, un’altra donna della stessa età di Clara, ma con la pelle olivastra e i capelli neri e ricci, gattonava nell’acqua.

Sussurrò a sé stessa: «Sə-ma‘- Yah-weh wə-ḥān-nê-nî Yah-weh hĕyêh- ‘ō-zêr lî… Signore, abbi pietà di me. Aiutami, ti prego».

Chiuse gli occhi un istante. Poi guardò davanti a sé e continuò a strisciare nell’acqua gelata. Cercò di distinguere qualcosa nel buio più totale. Sentì la sua stessa voce.

Davanti a sé riconobbe la sagoma di suo fratello; anche lui scappava.

La scrivana sentì una mano sulla testa. Un artiglio. La afferrò per i capelli e le diede uno strattone all’indietro, nell’acqua. Poi la trascinò sulla superficie di pietra affogandola nel canale.

«Tehu, karkittu Yahud-im! Ahazu ahu issenis!», le gridarono i soldati. «Tu vieni con noi, maledetta sgualdrina di Yakudu! Prendete anche suo fratello. Tutti gli scribi che hanno realizzato la pergamena dovranno essere sepolti nella pece. Non possono sopravvivere, visto ciò che sanno».

Con la bocca che entrava e usciva dall’acqua, la donna strillò tra il gorgoglio: «Mathokas! Mathokas!».

Un altro uomo prese suo fratello. Lo afferrò con un gancio da bestiame e lo tirò per il collo. L’anello aveva degli spuntoni di ferro.

«Il sacerdote vuole vederli prima che li ricopriamo con la pece nella cisterna profonda. Dovranno dirgli tutto ciò che sanno».

Trentasette metri più in alto si ergeva il castello di pietre scure di re Giosia, posto in cima all’altura conosciuta come monte Sion. Nel suo sinistro ufficio sotterraneo, il sacerdote Chelkia osservò tutte le persone lì riunite. Era un uomo grasso, corpulento e villoso fino all’ombelico; portava un mucchio di gioielli.

Fece sistemare tutti i presenti in cerchio perché potessero guardare lui al centro. Un sorriso gli curvò le labbra.

«Come voi sapete, ho ritrovato un oggetto molto antico». Distese il braccio verso uno dei suoi aiutanti, il quale gli porse con molta attenzione un vistoso cilindro di legno chiuso da entrambi i lati, tenendolo sollevato. Dall’oggetto gocciolò acqua sul pavimento.

Chelkia lo prese tra le mani. Disse ai sacerdoti di Giudea: «Ieri ho ritrovato la pergamena che si trova in questo contenitore». Sorrise. «I miei uomini stavano facendo degli scavi nel tempio per completare le ultime ristrutturazioni».

Nel silenzio generale, sollevò il cilindro di legno sotto la luce delle torce. Chiuse gli occhi.

«Questo manoscritto è stato lì sepolto per troppo tempo. Qualcuno lo nascose perché in futuro fosse ritrovato».

Tra i sacerdoti che lo osservavano, un uomo si alzò appoggiandosi ai suoi due bastoni. Aveva novant’anni, era emaciato e portava la barba lunghissima.

«Cosa state dicendo, Hilkiyahu?».

Chelkia lo guardò con odio. Passeggiò per il centro della sala trascinando i sandali dorati. Era alto e robusto. Fece oscillare il cilindro per aria.

«Quello che sto dicendo, Kesil Parus, capo della fazione che mi si oppone in ogni cosa che decreto, è che molti secoli fa qualcuno, re Acaz probabilmente, nascose questo tesoro nelle fondamenta segrete del tempio perché in futuro venisse riportato alla luce. E oggi io l’ho ritrovato. Si trova qui». Lo sollevò in alto con gran veemenza. Dai lati del cilindro gocciolò un liquido scuro, color caffè, che odorava di curcuma. «È un manoscritto antico. Contiene le vere parole di Mosè. È probabile che questa pergamena conservi l’inchiostro originariamente usato da Mosè e la sua calligrafia. Questa è l’autentica rivelazione di Dio».

Rivolse al gruppo un gesto di fastidio. Li osservò a uno a uno con i suoi occhi lucenti. Aveva di fronte i settanta sacerdoti delle città di Giudea: Anatoth, Rumah, Libnah, Beth-El.

Dal suo posto, l’anziano Kesil Parus lo guardò perplesso. Egli era a capo della corrente dell’opposizione, il partito che riuniva i cosiddetti farisei. Scosse la testa.

«Mi sembra molto strano…», sussurrò a Hilkiyahu, leader del partito dei sadducei, o nobili.

«Cos’è che vi sembra strano, Kesil Parus? Avete intenzione di contestarmi ancora una volta, qui davanti a tutti, come avete sempre fatto? Io sono il sommo sacerdote».

L’enigma dell’ultima profezia
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