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Sotto, nella camera due, John Apostole portò la mano al minuscolo auricolare e si girò verso Max León.
«Continui pure. Stava dicendo qualcosa, ambasciatore, prosegua», disse sfiorando la piccola fibbia color oro della cintura, slacciandola.
Immerso nel fango fino alle caviglie, l’ambasciatore Moses Gate si girò verso Max León e tutti e tre udirono le grida provenienti dall’altra parte del muro.
«Marcisci, Gate!». Era la voce di Abaddon Lotan. «Butterò giù questa maledetta parete!», e ricominciarono i colpi dei martelli pneumatici e dei trapani contro la pietra.
«Il problema di Lotan è l’odio», affermò Moses Gate parlando ai due giovani. «Non odiate mai voi, non perdete il vostro tempo così. Il mistero superiore è tutto. Il mistero stesso del cosmo, l’enigma di Dio. Se mai Dio ha stabilito un contatto con l’uomo, questo è la Fonte J». Puntò la piccola torcia sulla mappa dell’Egitto. A formarla erano cristalli piccoli e antichi, come in un enorme mosaico. «Tutti questi geroglifici egizi sono la spiegazione di quanto stiamo vivendo, il vero segreto della Bibbia». Sfiorò la mappa con le dita. «Tutto ciò che state vedendo in questa camera, in questo palazzo, ha fatto un tempo parte dell’Egitto. La Giudea e Israele sono state parti dell’Egitto. Tutta questa terra lo fu, ma questo non si dice né si dirà mai ai bambini quando si insegna loro la nascita della Bibbia. Bisogna mantenerli nella menzogna».
L’antica mappa di fronte all’altrettanto antico trono di legno apparve sotto il fascio di luce.
«È questo il segreto del mondo. Questa è la mappa dell’Egitto durante la XVIII dinastia. Quattro faraoni sono stati cancellati del tutto dalla storia egizia, e a farlo furono i loro successori. Perché?». Li guardò entrambi.
I due giovani si guardarono a loro volta. John Apostole si strinse nelle spalle ed entrambi scossero la testa.
«L’esistenza di questi quattro faraoni rimase totalmente sconosciuta fin quando non fu riscoperta nel 1887, per puro caso», riprese l’ambasciatore. «Una donna trovò una cavità che risultò essere il tunnel verso la città antica più enigmatica: Amarna». Indicò l’antico Nilo.
«Tutto quello che vedete colorato di verde e rosso era l’Egitto della XVIII dinastia, e cioè il Nuovo impero egizio. Oggi tutti gli storici lo sanno, ma non lo dicono alla gente perché contraddirebbe quello che il mondo sa dell’origine della Bibbia».
«Non capisco, qual è il problema?», chiese Max León guardando la mappa. Gate sorrise.
«Guarda bene. Ti sei accorto che, nel 1350 a.C., epoca della XVIII dinastia, quella in cui, secondo la cronologia biblica visse Mosè in Egitto, tutto quello che è oggi Canaan, compresa la Fenicia, Israele, la Siria, l’antica Giudea, erano parte del Nuovo impero egizio?»
«Lo vedo, sì», guardò Moses Gate, «Ma ribadisco: non vedo il problema».
«Tale assetto si mantenne per trecento anni, dal 1500 al 1200 a.C., mentre la Bibbia dice che gli Ebrei erano schiavi in Egitto e che Mosè salvò il suo popolo dalla schiavitù quando attraversò il mar Rosso e “uscì dall’Egitto” verso la Terra Promessa. In poche parole, la Bibbia afferma che bastò loro attraversare il mar Rosso per uscire dall’Egitto. Come è possibile se tutto faceva parte dell’Egitto?».
Max osservò la mappa con attenzione.
«Oddio…». Si portò una mano sul capo. «Porco diavolo».
«E non basta: in Numeri 13:22 e 13:33 si riporta che la Terra Promessa, cioè questa, nella valle dell’Ebron, quando Mosè inviò le sue dodici spie per sondare chi fossero gli abitanti, era occupata da giganti che si chiamavano nefilim, alti tre metri. Dicono perfino che, accanto a quei giganti, anakim o nefilim, “ci sembrava di essere come locuste, e così dovevamo sembrare a loro”. In nessun punto di questo passaggio si parla di egizi che vi avrebbero vissuto come coloni, che avrebbero controllato queste zone a partire dalla conquista portata a termine da Tutmosis nell’anno 1500 a.C., come dimostrato dagli scavi archeologici; né si dice che questo palazzo fu in realtà un forte egizio chiamato Shen, che nella lingua egizia significa “periferia” o “circonferenza” o “fortezza”, da cui derivano le parole Sion e Tsiyyon, come puoi leggere tu stesso qui». Si girò di scatto verso il trono e lo indicò. «Qui dice: “Abdi-Heba, governatore egizio di Urusalima”. Urusalima era Gerusalemme, capitale del governo egizio in questa regione».
Max León si girò verso John Apostole.
«Tu lo sapevi?»
«Proseguite», disse John pulendo la sua fibbia. «Continuate», e alzò gli occhi verso le grida di Abaddon Lotan sul soffitto, verso il frastuono dei martelli pneumatici. Si sistemò all’orecchio il minuscolo auricolare, assentendo con il capo. «Sì, sì. Non credo ci siano problemi». Girò lo sguardo su Max in tono di burla. «Voi continuate pure».
Da sopra cadde della polvere di roccia. Moses Gate riprese a parlare a Max.
«Le prove del passato egizio in questa regione sono innumerevoli. Si trovano qui a Gerusalemme, in tutta Canaan, nell’odierno Libano e in Siria, anch’esse provincie egizie in quel periodo. La Stele Bet Shean, che prende il nome del governatore egizio di quella città, Bitsanu, nell’edificio 100; la Stele di Tutmosis I, a nord dell’Eufrate, al confine tra Egitto e Assiria; gli obelischi egizi di Biblos, che era Fenicia; le due sfingi a Hatzor; il sarcofago nella valle di Jezreel, vicino Megiddo, scoperto durante gli scavi per i gasdotto INGL-Ramat Gavrel, a Tel Shadud, con lo scarabeo d’oro che porta il sigillo del faraone Seti I; l’amuleto con il nome di Tutmosis III che la piccola Neshama Spielman trovò sul monte del tempio». Indicò a nord. «È stato tutto occultato. Gli archeologi lo sanno, ma non lo vogliono raccontare! Nessuno vuole parlarne, è una storia proibita».
Max León sgranò gli occhi.
«Mio Dio…».
Moses Gate proiettò dalla propria torcia un video sul muro.
Apparve una sala con delle piante, due sedie, un uomo alto seduto, dal viso forte, amabile, i capelli brizzolati e la barba corta. Di fronte a lui c’era una donna bionda: guardava dritto in camera come se parlasse con l’ambasciatore, Max León e John Apostole. La sua voce usciva dal piccolo apparecchio di Moses Gate.
«Buongiorno, sono Luisa Corradini, giornalista del quotidiano argentino “La Nación”. Ci troviamo a parlare con il noto professore Israel Finkelstein, direttore dell’Istituto di archeologia dell’università di Tel Aviv, sulla sponda centrale di Israele», gli sorrise. «Per la maggior parte degli archeologi biblici del mondo, il professor Israel Finkelstein è la figura di riferimento indiscussa nella ricerca della verità sulla Bibbia. Il suo illuminante libro Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito, scritto insieme all’altrettanto acclamato collega Neil Asher Silberman, ha fatto sorgere un’estrema controversia, avendo messo in discussione la veridicità della Bibbia stessa. Benvenuto, professor Finkelstein».
Nel silenzio della grotta, il professore rispose al saluto.
«Buongiorno».
Max León si girò verso John Apostole.
Lentamente, l’archeologo si chinò sul tavolo e disse alla giornalista argentina: «Per secoli, i lettori della Bibbia hanno dato per scontato che tali scritture fossero una rivelazione divina, cioè che provenissero da Dio e, allo stesso tempo, rappresentassero la storia esatta del mondo. Le autorità religiose, quelle ebraiche quanto quelle cristiane, hanno presunto che i cinque libri di Mosè, il cosiddetto Pentateuco, furono di fatto scritti da Mosè stesso, poco prima della sua morte sul monte Nebo».
La giornalista inclinò il capo.
«Invece… non è stato così?», chiese a occhi sgranati. Il professore riprese a palare nel silenzio.
«Alla fine del XIX secolo, molti investigatori cominciarono a dubitare che Mosè fosse davvero intervenuto nella redazione della Bibbia».
«Cioè?»
«Arrivarono alla conclusione che la Bibbia sia stata il prodotto non di Mosè, ma di scrittori che vissero molto tempo dopo di lui, in particolare nel VII secolo a.C., durante il regno di Giosia».
Max León abbassò gli occhi a terra.
«No… è stato creato tutto dalla Redattrice R? Mosè non è mai esistito?».
Sul muro, la piccola torcia dell’ambasciatore continuava a proiettare il suo video. La giornalista Luisa Corradini chiese ancora: «Sta dicendo che Mosè non è esistito?», deglutì.
Israel Finkelstein strinse appena le labbra: «Dal XVII secolo in poi, gli esperti hanno cominciato a chiedersi chi avesse scritto la Bibbia. La prima vittima delle indagini investigative fu proprio il personaggio di Mosè, che presentava un mucchio di contraddizioni».
«Contraddizioni?». La giornalista si sistemò sulla sedia.
Max León guardò John Apostole.
«Contraddizioni?»
«Sono subito da te…», rispose quello, toccando l’auricolare e guardando verso il soffitto.
«Ascolta questa roba, accidenti! Non essere stupido!». Lo afferrò per il bavero. «Si parla del Documento J!».
«Come era possibile, si chiesero gli esperti», continuava intanto il professor Finkelstein, «che fosse Mosè l’autore del Pentateuco quando l’ultimo di questi cinque libri, il Deuteronomio, descrive il momento e le circostanze della sua morte?».
La giornalista si irrigidì e rimase in silenzio. Il robusto archeologo tracciò un arco sul tavolo e continuò: «I fedeli delle tre religioni che derivano dalla Bibbia ebraica – ebraismo, cristianesimo e Islam – sono praticamente la metà della popolazione mondiale, vale a dire tre miliardi e mezzo di esseri umani. A tutti è stato detto che il Pentateuco in quanto tale fu rivelato a Mosè quando si ritirò sul monte Sinai ed entrò in contatto con Dio in cima alla montagna sacra, situata per la precisione nella penisola del Sinai, a est dell’Egitto, cioè durante l’Esodo, nei quaranta anni di peregrinazione dei cinquantamila ebrei fuggiti dalla schiavitù dell’Egitto in cerca della Terra Promessa. Al giorno d’oggi, però, sono sorti dei dubbi perfino sull’Esodo stesso e sulla sua effettiva esistenza».
La giornalista scosse la testa, incredula.
«No, no, no… sta forse dicendo che… non accadde? L’Esodo non c’è mai stato?»
«Negli archivi egizi, che documentano tutti gli eventi amministrativi del regno dei faraoni, non c’è traccia della presenza degli Ebrei sul territorio in più di quattro secoli. La Bibbia sostiene che furono schiavi in Egitto per quattrocentotrenta anni. Perché non ci sono le prove?»
«Quindi, non lo sono stati? Non sono mai stati in schiavitù in Egitto?»
«In quel periodo molti dei luoghi menzionati in quella parte della Bibbia neanche esistevano».
La donna strabuzzò gli occhi.
«Quali, per esempio?», chiese.
«Le città di Pitom e Ramses, che sarebbero state costruite dagli schiavi ebrei prima di lasciare l’Egitto, nel XV secolo a.C. non esistevano. La teoria dell’Esodo, dal punto di vista scientifico, non regge», le rispose l’archeologo storcendo il naso.
«Quindi l’Esodo non è mai avvenuto?», insisteva Luisa Corradini.
«Dal XVI secolo a.C., l’Egitto aveva costruito in tutta la regione di Canaan una serie di fortezze militari perfettamente amministrate e attrezzate. Tutto il territorio di Canaan faceva parte dell’Egitto. Dalla sponda orientale del Nilo fino alla più isolata popolazione cananea, nessuno sfuggiva al loro controllo. Una massa di quasi due milioni di israeliti in fuga nel deserto per quarant’anni avrebbero dovuto attirare l’attenzione delle truppe, non crede? Tuttavia, non c’è neanche una stele di quell’epoca che faccia riferimento a questa popolazione».
In due riquadri laterali dell’immagine apparvero altri due archeologi. A sinistra Ze’ev Herzog, sempre dell’università di Tel Aviv, che somigliava all’attore hollywoodiano Michael Keaton, parlò rivolto allo schermo con espressione serena.
«Gli Ebrei non sono mai stati schiavi in Egitto. Non sono mai emigrati nel deserto, non hanno mai conquistato la Terra Promessa né la tramandarono alle dodici tribù». L’immagine scomparve.
«Professore, però…», riprese la giornalista rivolta a Finkelstein, «Perché nelle scuole di tutto il mondo si continua a raccontare ai bambini questa versione come se fosse quella vera? Da dove derivano, allora, gli israeliti?».
L’archeologo disegnò uno schema nell’aria.
«Da più di settant’anni gli archeologi di vari Paesi stanno esplorando, anche in spedizioni congiunte, tutta la penisola del Sinai, questo grande deserto, in cerca di tracce dell’Esodo. Quella migrazione di migliaia di persone avrebbe dovuto lasciare qualche traccia da riportare oggi alla luce, ma non ce ne sono».
«Cioè? Da lì non passò nessuno?»
«Non esiste nulla che si possa ricondurre a quella peregrinazione quarantennale. È come se non fosse mai avvenuta».
«Un momento… non c’è la minima traccia? Se l’è portata via il vento?»
«Il vento non porta via le pietre. Dove dormì tutta questa gente? Dove cucinò? Dove seppellì i propri morti? Siamo riusciti a individuare resti di abitazioni di quaranta o cinquanta persone, non di migliaia. Non si tratta quindi di un “Esodo”. Forse quella moltitudine in fuga descritta nel libro omonimo non ha mai effettuato soste per dormire, mangiare o riposare; in ogni caso, non esiste il minimo indizio del loro passaggio nel deserto. Non ci sono tracce».
«Mio Dio…». La giornalista non aggiunse altro, restando a occhi chiusi per qualche secondo prima di procedere con le domande. «Non c’è proprio nessuna traccia? L’Esodo è falso…? Quindi in questo caso… neanche Mosè è reale? È tutto inventato?».
I due rimasero in silenzio per qualche istante. Poi la donna riprese la parola: «Riassumendo…», e si sistemò sulla sedia, «gli Ebrei non hanno mai conquistato la Palestina? Non vi arrivarono mai dall’Egitto? È tutta una menzogna? Da dove arrivarono quindi gli Ebrei?».
Il professor Israel Finkelstein fece una smorfia e distolse lo sguardo.
«Non ci sono arrivati dall’Egitto. Erano lì, in Palestina. Ci sono sempre stati ed erano i Gebusei, i padroni della fortezza. Nei registri di Babilonia, Egitto e Assiria vi si fa riferimento come agli Apiru».
La giornalista sgranò gli occhi.
«Che cosa? E allora chi fu il popolo vinto da Davide quando conquistò la fortezza?», scosse il capo.
Israel Finkelstein, il più illustre archeologo biblico del XXI secolo, abbassò gli occhi a terra prima di rispondere.
«Dottoressa Corradini, nel racconto dell’Esodo contenuto nella Bibbia, scritto molti secoli dopo gli eventi che narra, si fa riferimento a luoghi celebri come Bersheba e Edom. Edom non esisteva all’epoca di Mosè. A quel tempo la regione si chiamava Ydwma o Udumu. E non esisteva nemmeno Bersheba. A esistere, invece di Bersheba, più a nord, era Giltu o Qiltu, amministrata da un governatore del faraone, un reggente o viceré di nome Suwardata. Come lo sappiamo? Grazie alle lettere di fango ritrovate ad Amarna. Si tratta di comunicazioni ufficiali tra il faraone e il suo reggente nel territorio di Canaan, oggi conservate al British Museum. Tuttavia, nel racconto dell’Esodo non si fa accenno ad alcuna battaglia tra gli Ebrei e un re di Edom. Edom non esisteva all’epoca. A Edom non c’era nessun re contro cui lottare. Quei luoghi comparvero molto tempo dopo, non al tempo dell’Esodo, bensì quando si scrisse davvero la narrazione, ovvero la Bibbia, vale a dire nel VII secolo a.C. Per questo si parlò di questo territorio come abitato da giganti».
La sua interlocutrice rimase scioccata.
«Oddio, quindi… la storia del mondo come la si conosce è falsa? È stato scritto tutto in un secondo momento?».
L’uomo inclinò la testa verso di lei.
«Alla fine del VII secolo a.C., in Giudea si registrò un fermento spirituale senza precedenti, una vivace agitazione politica»
«Agitazione politica?»
«Un’eterogenea coalizione di funzionari di corte sarebbe stata responsabile del confezionamento di una saga epica composta da una collezione di racconti storici, ricordi, leggende, racconti popolari, aneddoti, predizioni e antichi poemi».
«Caspita… L’hanno creata queste persone? Scrissero la Bibbia? Si riferisce al re Giosia?»
«Questa magistrale opera di letteratura, per metà composizione originale e per metà adattamento di versioni precedenti, ha attraversato aggiustamenti e migliorie prima di formare il fondamento spirituale dei discendenti del popolo ebraico e di innumerevoli comunità sparse nel mondo. La redazione avvenne durante il regno di Giosia e il sacerdozio di Chelkia, all’epoca in cui presero il potere i sadducei, e dello scontro con i farisei».
La giornalista rimase in silenzio e lo guardò negli occhi.
«Perché avrebbero inventato la storia della schiavitù in Egitto? Perché una storia tanto complessa come questa?».
Nella parte bassa dell’immagine si aprì un riquadro: il giornalista Josh Mitz, del quotidiano «Haaretz», fece il proprio intervento.
«La realtà è che non c’è prova, in assoluto, del fatto che gli Ebrei furono tenuti schiavi in Egitto. Sì, esiste una storia contenuta nella Bibbia, ma si tratta di una fonte neanche lontanamente ammissibile dal punto di vista storico. Sto parlando di prove reali, resti archeologici, registri statali e fonti primarie. Di tutto questo non esiste nulla. È difficile credere che seicentomila famiglie (vale a dire circa due milioni di persone) abbiano attraversato l’intero Sinai senza lasciare neanche un frammento di ceramica con scritte ebraiche». Fissò la telecamera. «Continuiamo a ricordare di generazione in generazione, di anno in anno, gli Egizi come nostri crudeli schiavisti e una schiavitù che non c’è mai stata». Si avvicinò alla camera. «La verità è che non ci sono prove, in assoluto, del fatto che gli Ebrei siano mai stati ridotti in schiavitù in Egitto».
Il trapano sul soffitto penetrò la roccia.
«Ti taglierò la lingua!», gridò attraverso la crepa il reverendo Abaddon Lotan. I frammenti di pietra caddero sopra Max León mentre l’elegante ambasciatore Moses Gate, senza perdere la calma, diceva: «Nel corso del VII secolo a.C. vi fu una guerra mondiale, tra Babilonia e l’Egitto. È questa la guerra da cui proveniamo tutti noi. Gli Ebrei non furono schiavi in Egitto, è tutto falso. Fu un’invenzione dei Babilonesi. Fu il loro modo di manipolare noi Ebrei e farci odiare l’Egitto. Propaganda. Strumentalizzazione. Funzionò così bene che oggi la gente continua a odiare quel faraone, pover’uomo, che invece non fece nulla di male».
Max León deglutì.
«Accidenti, e io che volevo credere in qualcosa». Serrò la mascella. «Allora… se non c’è stato un Esodo… se non c’è stata una rivelazione sul Sinai… allora… non esiste nessun Documento J? Si supponeva che questo Documento J fosse quello dettato da Dio a Mosè sul monte… Sinai. Non c’è una versione originale della Bibbia? Mosè non è mai esistito?»
«La Bibbia oggi conosciuta fu scritta dal sacerdote Chelkia, colluso con Nabopolassar di Babilonia e suo figlio Nabucodonosor, e fu una magistrale opera di propaganda psicologica, all’interno di una guerra di manipolazione politica per distruggere l’Egitto e manipolarci ancora oggi, noi cittadini attuali del mondo. Un Mosè, però, è esistito».