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A nord, di fronte alle mura di Gerusalemme, ai piedi del palazzo di roccia di Sion, proprio di fronte alla monumentale torre della vecchia cisterna – la Cisterna ciclopea o Cisterna gebusita – la bella Radapu, di nuovo seminuda per provocare Nabucodonosor, gli andò incontro di fronte a tutte le truppe, indossando solo la sottile retina nera cerata a coprire le parti intime.
«Ti credi uomo?», gridò a Nabucodonosor. «Sei solo un vigliacco! Ti sfido qui, ora, a combattere con me, una donna, a mani nude, affinché i tuoi uomini vedano che non sei altro che un bambino codardo, perché non puoi battermi!», e così dicendo alzò in aria la sua unica arma: un pezzo di legno. «Non sei altro che un verme uscito dal cadavere di tuo padre!».
Dietro di lei, nel palazzo, tutti applaudivano e la acclamavano.
«Radapu! Radapu! Radapu!».
Intanto, nel buio della sala di governo, seduto sul suo trono di oro massiccio, tra le sei ali dorate del cherubino babilonese, e in mezzo alle due teste del kuribu, il giovane re Joaquim accoglieva un visitatore: un ragazzo vestito di stracci, che odorava di accattonaggio.
Si avvicinò a lui strisciando, piangendo.
«Maestà, è il figlio del sacerdote Chelkia», dissero le guardie. «Vuole parlare con voi prima che la città cada nelle mani del re Nabucodonosor».
Joaquim si alzò.
«È Geremia. Lo riconosco». Sgranò gli occhi. Il viso del giovane era imbrattato di fango. Si issò a fatica in piedi, con un rotolo tra le mani, bagnato anch’esso, e gridava.
«Re, prendete questo libro! L’ho appena scritto per voi! Si chiama Kinot, Meguilat Ejá, Le Lamentazioni! Avete disobbedito a Dio! State condannando la Giudea! Non state obbedendo a Nabucodonosor di Babilonia!».
Il re guardò l’ambasciatore del faraone Necao: il robusto e imponente sacerdote egizio Sonchis de Sais, con la testa rasata; strisce verdi decoravano il suo cranio, come ciocche di capelli.
Sonchis scosse la testa. Joaquim ordinò alle sue guardie: «Prendetelo».
«Prendete questa pergamena!», gridò il giovane straccione. «“Felice sarà chi muore di spada, ma non chi morirà di fame! Le nostre donne cucineranno i loro figli per mangiarli, il giorno in cui si indebolirà la figlia della mia gente!”», pianse.
Joaquim allungò la mano verso la pergamena.
«E dici che questo ti è stato rivelato da Dio?».
Lo prese con cura tra le mani e lo srotolò.
Geremia gli sorrise.
«Questa è la parola di Dio, maestà. Avete ancora tempo di redimervi. Arrendetevi a Nabucodonosor. Porgetegli il collo, in modo che possa mettervi il suo giogo. Sottomettetevi a lui. Pagategli i tributi».
Il re strinse il rotolo tra le dita.
«Sembra interessante…», annuì. Poi, con un gesto violento, lo scagliò nel fuoco.
«Arrestate questo traditore dalla Giudea! È un agente di Babilonia, proprio come suo padre!».
«Marcirai nell’abisso, Joaquim!», gli gridò allora Geremia. «La tua punizione è stata adempiuta, o figlia di Sion! Dio punirà la tua iniquità!».
Joaquim si voltò verso la moglie Nehushta.
«Anche tu sei con loro, come tuo padre?». Poi si voltò verso il potente Elnathan ben Akbor. Lì a sorridergli c’erano i figli del segretario reale Safan, Ahikam e Gemariah, il nipote di Safan, Gedolia, con i suoi anelli di agata di Babilonia.
Le guardie afferrarono Geremia per le braccia.
«Forza, andiamo. Sta’ calmo».
Lo portarono via. Il vigoroso Ahikam, figlio di Safan, gli corse dietro e gli sussurrò all’orecchio: «Non preoccuparti. Ti proteggeremo. Mio figlio Gedolia sarà nominato governatore qui, sotto il comando di Babilonia. La Giudea sarà d’ora in poi una provincia di Babilonia».
Il fratello di Ahikam, Gemariah ben Shaphan, sussurrò a Geremia dall’altra parte: «Farò in modo che il tuo scriba Baruch legga al popolo ciò che hai scritto».
In quel momento l’imponente Sonchis de Sais, ambasciatore del faraone d’Egitto, si avvicinò al re Joaquim.
«La ragazza laggiù ha chiesto che nessuno intervenga. Affronterà il re Nabucodonosor in una lotta corpo a corpo. Chi vincerà manterrà il palazzo».
Joaquim scosse la testa e abbassò lo sguardo sulle lastre lucide.
«Quale altra scelta ho?»
«Le truppe del mio faraone Necao stanno arrivando. Sono là fuori, nascoste nel Tyropoeon». Si voltò verso la finestra. «Vi spalleggerà con quindicimila uomini. Non appena Nabucodonosor ucciderà la ragazza inizieremo l’attacco. Qui si terrà la battaglia campale più grande che si sia mai vista dalla disfatta di Karkemish».
Joaquim chiuse gli occhi.
«Al momento siamo nelle mani di una donna», assentì. Si voltò verso la colonna dove solo poco tempo prima era stato appeso, sanguinante, insieme a quella donna coraggiosa.
Prese delicatamente Sonchis per un braccio.
«Va’ da lei. Cerca di starle vicino. Non deve morire».
Sonchis passò accanto alla regina e la rassicurò.
«Andrà tutto bene. Psammetico non permetterà che suo padre perda questa terra. È la zona di controllo tra Africa e Asia». E uscì.
Il re Joaquim sentì un vetro nel collo, nel muscolo sternocleidomastoideo.
«Maestà», disse una voce. «Questo è un dono del re di Babilonia. Tra pochi minuti entrerà in questo castello, in questa stanza, e appenderà a quella colonna tuo figlio, per strappargli il diritto al trono, proprio com’è successo a te, e strappargli le viscere ancora vivo. Poi Nabucodonosor nominerà un nuovo re per questa zona».
Joaquim sentì il cristallo girargli nella carne, recidere la trachea.
«Joaquim! Joaquim! Joaquim!», gridò sua moglie e, come una leonessa, si scagliò contro suo padre. «Cosa vogliono fare? Stai anche tu dalla loro parte? Cosa vogliono fare a mio figlio?».