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A trecento metri di distanza verso ovest, dentro un claustrofobico condotto metallico dell’aria condizionata, l’esile analista Moshe Trasekt, raggomitolato come un serpente, piangeva. Si appoggiò al tubo che si ripiegò verso il basso con un rumore abominevole. Moshe sentì l’aria fredda colpirgli il viso. Si erano portati dietro un piccolo schermo che era ancora collegato all’immenso server.

«Non capisco perché mi stai facendo questo, maledetto figlio di puttana», imprecò contro l’amico, il biondo e atletico Isaac Vomisa, che continuava a gattonare nel condotto.

«La chiave di tutto è nel piccolo amuleto che abbiamo già visto, quello del museo di Aleppo, l’amuleto di gesso Arslan Tash 1». Ripensò a Baal-Hadad, il dio fenicio delle tempeste. «Ricordi l’iscrizione? “Kirit elene ilit, elim aser-Kirit elene wukele bene elim…”. È aramaico antico».

«Non me ne frega un cazzo. Voglio uscire di qui. Io non sto scappando da nessuno! Riportami nel mio ufficio!». E batté contro le pareti di metallo, piangendo. «Io non sto scappando da nessuno! Non voglio perdere il mio posto di lavoro!».

Isaac continuò con la storia dell’amuleto.

«Non fare rumore! Credi che gli importi qualcosa se non stai scappando? Ti avrebbero sedato o ucciso, il tuo lavoro l’hai già perso! Se raccogliamo altre informazioni, se andiamo a fondo e risolviamo tutto, abbiamo ancora una possibilità».

Moshe Trasekt lo maledisse. Gli mancava il suo ufficio; indagando su quanto era accaduto ore prima nell’isola di Patmos aveva solo eseguito gli ordini. Chi era quell’uomo canuto con lo sguardo cattivo? Cercò di ricordarlo come capo della sezione, ma invano. Noè Robinson. Era tutto confuso allora. Tuttavia risentì la voce del muscoloso Isaac Vomisa.

«Quello che dice qui significa: “Un patto eterno è stato stipulato con noialtri. L’eterno, El-Olam, dio dell’universo, ha stretto un patto con noi. L’eterno e la sua sposa celeste, Asherah, la dea madre e anche con il gran consiglio di tutti gli dèi». Tornò a girarsi verso Moshe. «Questo è politeismo. Sono gli dèi fenici, ma qui compare Alyon, Elene, la divinità che compare come dio ebraico nella Bibbia».

«Questo già lo so, accidenti! Quel reperto è stato rinvenuto al Nord! Perché ti sembra tanto strano che parli di più divinità?».

Isaac Vomisa strinse l’amuleto nel pugno e si girò con cautela in avanti.

«Il consiglio degli dèi è la struttura suprema dell’intera agenzia dei servizi segreti. Non ci hai pensato?». Si girò verso Moshe. «Perché credi che si chiami Magen veLo Yera’e? “Il difensore che non deve essere visto, lo scudo che non si vede”».

«Non so di cosa stai parlando. Ora anche i servizi segreti?».

Isaac chiuse gli occhi.

«Come esercizio mentale stai a zero. Hai preferito non pensare, non usare il cervello».

«Che intendi dire?».

Isaac gli puntò un dito sulla testa.

«Per tutta la vita hai avuto qui dentro un maledetto cervello, che ti ha donato Dio, però hai deciso di non usarlo. Dio stesso te l’ha fabbricato, in un atto di inspiegabile generosità! Sei solo uno spreco di neuroni, accidenti!». Gli sbatté la testa contro le pareti metalliche con un frastuono che si udì anche in basso. «Hai voluto dogmi per non dover pensare mai, per non consumare energie mentali, per restare intelligente quanto una conchiglia!».

Lo colpì in pieno viso.

«Al mondo ci sono due tipi di persone: quelli che vogliono dogmi e quelli che vogliono la verità! Tu vuoi una maledetta struttura fissa per aggrappartici come un corallo, per non dover indagare! Ma se le cose stanno così, perché diavolo sei entrato in un’agenzia di intelligence? Preferisci restare attaccato alla roccia come una stupida ostrica, invece di usare il cervello e cambiare il futuro!».

Moshe, irritato, si asciugò il sangue dal naso con il polso e restituì il colpo a Isaac.

«Torno alla mia scrivania in questo preciso istante!». E prese a gattonare al contrario, lungo il tubo, che si piegava scricchiolando. «Tutto questo è un incubo, stavo bene fino a poche ore fa! Non so neanche se è tutto vero o se sto solo sognando!».

Anche Isaac iniziò a indietreggiare per raggiungere Moshe, facendo scricchiolare il pavimento di metallo.

«I dogmatici cercano dogmi! Noi che vogliamo la verità dobbiamo indagare! Vieni con me e lo faremo insieme». Lo tirò per i capelli.

«Sei pazzo! Sei posseduto dal demonio! Stai distruggendo la fede e io di certo non ti asseconderò!».

«Io ho fede! Credo in Dio, maledetto decerebrato! Ma quella del pigro non è fede, è indolenza e blasfemia, perché Dio ha creato il tuo cervello e tu lo stai sprecando. Preferisci credere a quello che ti hanno imposto altri, a dei bugiardi che stanno deformando lo stesso Dio! Ti sembra fedeltà a Dio questa? Sei al servizio di uomini che distorcono la Bibbia! Dio ti vomiterà e ti schiaccerà come una maledetta ostrica che si crogiola nella sua bava». Lo afferrò alla nuca e lo spinse giù. «Incontreremo Dio andando alla sua ricerca, con il cervello che Egli stesso ci ha dato proprio per trovarlo. Vieni con me!». Indicò avanti, verso l’oscura profondità. «Lì ci sono gli archivi segreti dell’intelligence. La vera storia di Israele e della Giudea e di come si è formato tutto questo. C’è il segreto della Bibbia!».

Al piano di sotto, qualcuno indicò verso l’alto.

«Mi è parso di sentire dei rumori. Dubito che si tratti di un gatto».

«Sono qui sopra. Ascoltate tutti, si stanno spostando». Puntò il dito verso il soffitto: verso il ventre del condotto metallico.

Le altre guardie, con i ferri ricurvi come ganci, cominciarono a colpirlo.

«Bene, bene, traditori! Uscite da lì subito! Profanatori!».

«Maledizione!», gridò Moshe Trasekt. «Io non ho fatto niente! Non sto scappando da nessuno! Questo idiota mi ha sequestrato. Sono l’analista del mese!».

Sotto di loro, il canuto militare Noè Robinson, direttore generale dell’archivio Dilmun-1, con i suoi grandi occhi da rospo e l’espressione amara, guardò verso l’alto e si portò la radio alla bocca.

«Ce li abbiamo», sussurrò ai soldati. «Ora sì», sospirò. «Iniettate quei maledetti barbiturici e infilategli la testa nelle buste di plastica».

L’enigma dell’ultima profezia
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