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Trenta metri più in alto rispetto al punto in cui ora si trovava Clara, duemilaseicento anni prima la giovane scriba Radapu di Rumah era stata legata con le mani dietro la schiena; uno straccio annodato stretto alla nuca la imbavagliava, e anche le caviglie erano legate con delle corde. Due guardie babilonesi la spingevano reggendola per le braccia. I suoi sandali di fibra strascinavano per terra.

Mentre proseguivano verso la sala del concilio del palazzo reale di Giudea, in cima al monte Sion, il sangue le colò sulle gambe e finì sul lucido pavimento di pietra lastricata.

«Sei pronta a conoscere re Giosia?», le chiese con un ghigno l’assassino di suo fratello, l’enorme guardia babilonese Tarkullu. Il suo volto era nascosto dalla maschera di bronzo a forma di aquila anzu.

I portoni si aprirono davanti a loro. Quattro soldati giudei gibbor hayil spostarono le lance per aprirgli il passaggio. Dentro c’erano alcuni uomini: Safan, il segretario supremo del re; Chelkia, il sommo sacerdote di Giudea; altri quattro ministri.

Per la prima volta nella sua vita Radapu vide il sovrano del suo paese: Giosia, figlio di re Amon. Era giovane. Dietro di lui c’era il figlio maggiore: il ribelle Eliakim. Radapu trascinò sulle mattonelle i piedi insanguinati.

Il sommo sacerdote la guardò dall’alto in basso, disgustato. Disse al re: «Questa è la profanatrice che ha cercato di distruggere i tesori del tempio. Crediamo che dovrebbe essere lapidata nel cortile. Racconta molte bugie, poiché è indemoniata. Ma grazie a questa invasata abbiamo trovato un tesoro incredibile nelle fondamenta del tempio». Indicò l’enorme rotolo di pergamena che il segretario anziano Safan reggeva tra le mani ossute.

Safan si avvicinò al re e sollevò il grosso reperto. Nel fare questo gesto, del liquido color caffè colò dal rotolo che odorava di curcuma indiana bruciata.

Il re aggrottò le sopracciglia e piegò la testa di lato.

«Cos’è quello?»

«È un miracolo», rispose Safan. «Chelkia l’ha rinvenuto nei sotterranei del tempio. Questo manoscritto è rimasto lì sepolto per molti secoli. È la rivelazione di Dio a Mosè, avvenuta settecento anni fa». Si commosse mentre porgeva la pergamena al sovrano. «Questo è il manoscritto che non era mai stato ritrovato finora. È la parola di Dio, la vera parola di Dio. Sono le leggi del vostro governo, sire».

Re Giosia deglutì.

Anche Chelkia deglutì. “Nessuno deve trovare il vero manoscritto”, pensò.

L’enigma dell’ultima profezia
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