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«Era la malaria», spiegò Clara Vanthi a Max León, nell’oscurità della Tomba 3. Accarezzò il disegno con un dito: le gambe di Akhenaton, deformi come quelle del suo collaboratore più amato, Yah-Mes. «Si chiama Plasmodium falciparum. È un virus che è stato rilevato sui resti di Akhenaton e di suo figlio Tutankhamon, nel museo del Cairo. Fu l’epidemia che non solo pose fine alla XVIII dinastia d’Egitto, ma anche all’impero ittita e all’intera età del Bronzo. Viene chiamata “il collasso dell’età del Bronzo”. È la piaga dell’Esodo, la stessa che appare nella Bibbia».

«Come dici?».

Clara continuava a correre, nel buio, con la sua torcia, nelle viscere di quella tomba profonda.

«Ora capisci cos’è realmente successo e come ha deformato la storia. La storia di base era vera. Un Mosè esisteva davvero, ma non era nemico del faraone, bensì suo amico. Un Esodo ci fu davvero, ma non di migliaia di persone, solo di un centinaio che fuggì dalla persecuzione del generale Horenheb e del sacerdote Ptah-Mes contro coloro che avevano continuato a credere nel dio di Akhenaton. E in realtà si diffuse una terribile epidemia demoniaca che sterminò i nemici di Mosè e del suo faraone: il plasmodio, che è stato geneticamente rilevato nelle ossa di quel tempo: i geni STEVOR, AMA1 e MSP1; ma il primogenito del “faraone malvagio” che appare nella Bibbia, che morì per questa piaga divina, in realtà era il primogenito del re ittita Suppiluliuma: Arnuwanda. Il vero faraone malvagio della Bibbia è Suppiluliuma, che non era faraone; e per coincidenza è, di fatto, l’antenato di Nabucodonosor di Babilonia e, in generale, di gran parte degli Ariani».

«Mio Dio… Perché tutti questi nomi modificati?»

«A causa del trascorrere dei secoli. A quei tempi non c’erano computer né hard disk. Il grande collasso dell’età del Bronzo fu come un ritorno al tempo delle caverne. Furono tre secoli di oscurità, di barbarie. Tutto ciò che era accaduto prima rimase sepolto nel passato. Le storie rimaste erano leggende. I popoli sopravvissuti ricostruirono ciò che poterono attraverso i miti. Ti avevo già detto che Davide era Tadua; Saul fu il Governatore Lab’aya. Il figlio di Saul, Ish-Baal, è in realtà Mut-Baal, il figlio di Lab’aya. Tutto questo è stato scritto da David Rohl e anche da Paul Lindberg. E naturalmente Aton è, come puoi immaginare, Adonai, nome ebraico di Dio, chiamato anche Yahweh, derivato dalla parola egiziana IW, che significa “io” ed “esisto”», e toccò il geroglifico sul muro ai piedi di Yah-Mes.

I W

“IO” “I” (M17) (G43) “ME” “ME”

«La parola Aton significa proprio questo», proseguì Clara. «Io sono colui che sono, cioè quello che Dio disse di essere a Mosè, nella parte più vera di tutta la Bibbia: “Eh’je fer eh’je”, le cui iniziali in ebraico sono YHWH. In egizio è ATUM, TUM e TEN, origine del nome Aton.

T (E) N

“ESISTE (X1) (N35) “ESISTENZA”

«Incredibile…». Max continuò a camminare di buon passo dietro Clara. «Ma allora… l’Esodo c’è stato davvero?».

Clara si fermò e lo guardò.

«Sì, c’è stato. È realtà. A guidare l’Esodo fu esattamente Yah-Mes». Ne sfiorò il ritratto sul muro. «Il nome Yah-Mes significava praticamente “nato in Yah”, nome egizio della Giudea. La Città Luna era Yah-Uruk, Gerico. Yah-Mes e Akhenaton entrambi avevano la famiglia in Giudea. La madre di Akhenaton, Tiy, e suo padre Yuya erano apiru. È questo il segreto del gene D21S11, come lo scoprì lo studio JAMA nel febbraio del 2010. Erano entrambi giudei».

«Oddio… un faraone giudeo…?!».

Sulla parete Max sentì che le figure cominciavano a muoversi. Vide carriaggi, cavalli, centinaia di persone in fuga che correvano per le strade.

Fuori, tra quelle urla, Yah-Mes – Ahmes, Amoses – con il collo squartato dai quattro ganci, gridava tamponandosi le ferite.

«Venite con me! Di qua!». E con il bastone del Faraone indicò il disco del sole, alla base della parete nord. «Andiamo, andiamo! L’uscita è di qua, verso le Tombe Nord!».

Quattro ore dopo, sotto le stelle della Via Lattea – allora chiamata Yaharu, o Aaru, “la via celeste” – il giovane ministro di governo, con le vesti strappate, intrise di sangue, attraversò il deserto, seguito da qualche centinaio di perseguitati, aiutato da Aarum.

Lentamente trascinava i piedi sulle rocce. Si chinò sulla sua canna smaltata nera, i cui intarsi di cristallo risplendevano nell’oscurità della notte, riflettendo le stelle.

Si fermò per un momento.

Alzò gli occhi verso il cielo infinito.

Alle sue spalle arrivò il suo fedele amico Benenima.

«Tutta questa gente ha fame».

Ahmes, Amoses, si girò, guardo i quattrocentoventi fuggiaschi che lo seguivano. Donne, bambini. Alcuni in lacrime.

Benenima gli disse: «Ora sei tu la loro guida», sorrise. «Cosa facciamo?».

Il giovane Ahmose si rivolse all’orizzonte, a nord. Sul viso soffiava il vento freddo del mar Mediterraneo.

Pian piano, si avviò verso la distesa d’acqua.

«Fu quello il vero Esodo», disse Clara Vanthi a Max León.

Arrivò in fondo alla caverna. Nella penombra apparve una figura gigantesca: una scultura. Clara riprese: «Questo che vedi qui è Mosè, Yah-Mes. Nessuno lo sa. Tre miliardi e mezzo di persone tra cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei e islamici sono totalmente all’oscuro dell’esistenza di questa scultura e del fatto che rappresenti Mosè, il più emblematico di tutti i profeti. Oggi lo sappiamo solo noi».

Con la torcia fece luce nel buio.

«Questa statua è Mosè?»

«È il Mosè realmente esistito».

E Clara, torcia alla mano, si avvicinò alla statua.

«Sai cosa significa questo, Max León?»

«No. Cosa significa?»

«Sotto questa seduta di roccia deve esserci il tesoro di tutti tesori del mondo. Se Yah-Mes ha scritto da qualche parte ciò che lui e il suo il faraone videro su questa montagna, che è il vero Hor-Ib, “cuore del sole” in egizio, cioè il monte Horeb della Bibbia, allora quel messaggio del suo Dio è scritto qui, sotto questa roccia. È il documento J».

Nella penombra, con i riflessi della torcia contro le pareti, Max si godette il colore degli occhi di Clara Vanthi.

«Hai detto di essere stata un’altra persona nel passato. Lo credi davvero o è solo un trucco da isterica per attirare l’attenzione?».

Clara si avvicinò alla parte posteriore della statua.

«Sono stata tante persone, Max León. Però in fondo siamo sempre tutti la stessa persona», sorrise. «Siamo ricorrenze, cicli di Poincaré attraverso l’ultrastruttura. Lo stesso è successo a te. Per questo siamo qui adesso. Siamo come le bolle in una bibita gassata. Ogni bolla fa di fatto parte di una colonna verticale, che proviene da una singola fonte. Ogni bolla pensa di essere “sé stessa”. Pensi di essere ripetuto, ma tu sei quella gente che esisteva in passato». Sorrise di nuovo. «Il contatto avviene attraverso l’ultrastruttura, non nello spazio-tempo».

«Porco diavolo. Mi affascina, ma mi spaventa anche».

Clara lo fissò: «Ti sei mai chiesto cosa faresti se scoprissi di essere l’Anticristo o Azi-Dahhak?».

Max scosse la testa.

«No, no… Di solito non sento le cazzate, ma questa è bella grossa».

Clara si aggrappò alla roccia.

«Aiutami a scoprirlo. Il presidente sta arrivando». Si girò verso l’ingresso della galleria da dove erano entrati. «Se si impossessa della Fonte J, siamo perduti. La deformerà o la farà a pezzi. Lo sai com’è». Riuscì a distinguere le persone che si stavano avvicinando, silhouette armate.

Con loro arrivò anche John Apostole. Si avvicinò a Max. Gli puntava la sua minuscola Taurus Curve alla testa.

«Avanti, Max! Rimuovi quella roccia! Non finirà come duemila anni fa. Forza!».

L’enigma dell’ultima profezia
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