80

Nell’anno 608 a.C., la bella mora Radapu, scriba di Rumah, a terra, vide l’imponente e muscolosa guardia babilonese Tarkullu sollevare il suo maglio di ferro sul capo di Talete di Mileto.

«Attento! È il babilonese che ha ucciso mio fratello! Ti ucciderà! È uno dei figli di Nabopolassar, fratello di Nabucodonosor!».

L’alto levriero Anubi, dietro la sua maschera di bronzo dorato insanguinata, sferrò un violento colpo alla testa di Tarkullu con la sua lancia, gridando in egizio: «!».

Tarkullu stramazzò in ginocchio, sanguinante, poi si accasciò ai piedi di Radapu. La scriba e Talete si guardarono. L’uomo si tolse la maschera da levriero.

Era magro, la testa rasata dipinta con lunghe frange dorate fin dietro la nuca, come fossero ciocche di capelli: era il figlio del faraone.

«Iw Itn Psamtk Para-Nefer NebTaw Nekaw. Sono Psammetico Para-Nefer Kheper-Ra, figlio del faraone Necao». Si guardò a destra e a sinistra.

Nella sala calò il silenzio assoluto. Radapu sentì nelle narici l’odore della lozione di papiro del principe egizio, che le sorrise.

I soldati del faraone si occuparono di sganciare dal soffitto il principe giudeo ereditario Eliakim. Lo calarono giù dalla colonna liberandolo dalle catene.

«Khe-Bi! Psamtk mes-mes!».

Lo trascinarono ai piedi del principe Psammetico.

Il fratello minore Shallum, neosovrano di Giudea, dalle grandi orecchie da topo spaventato, continuava a gridare, a terra, protetto dalle sue guardie kuribu. Gridava verso il grasso cadavere di sua madre inchiodato alla parete.

«Mamma! Mamma!».

Con i grandi ganci metallici heka-nekhakha, i soldati egizi lo tirarono su per il collo.

«Non sei più re! Ora il re è lui!», e con un gesto deciso delle lance indicarono il fratello maggiore, il principe Eliakim, insanguinato e tremante. «L’impero egizio ti incorona re».

I ganci taglienti degli egizi lacerarono la carne di Shallum che continuava a invocare la madre. Lo gettarono da parte, trascinandolo sul pavimento di piastrelle lucide, insieme al cadavere della madre, con le palpebre gonfie e inzuppato di sangue.

«Hai tradito il tuo stesso popolo», dissero al giovane ventitreenne. «Hai permesso che ti ungesse uno straniero. Ora un altro sovrano straniero nomina re tuo fratello, figlio del primo matrimonio»

Il timoroso segretario reale Safan, nascosto dietro una delle sette colonne, si mise a piangere in silenzio e a pregare sprofondando nel buio.

«Signore Dio, perdonami. Non lasciare che mi torturino!». Cadde in ginocchio. «Perdonami per averti chiamato Elyon, per averti chiamato Anat, per aver detto che presiedi un consiglio di divinità».

A quel punto il principe Psammetico ordinò a gran voce: «Uniu Zet-Nefer! Liberate questa bellissima donna!».

I soldati falco, con le enormi tenaglie dette Stp-n-r, cominciarono a troncare gli anelli di ferro intorno al collo dell’affascinante Radapu che, praticamente nuda in mezzo alla sala, rimase in piedi davanti al faraone egizio.

Talete di Mileto si appartò sul fondo.

Psammetico mise la donna sopra il giovane dai lunghi capelli neri, Eliakim, che era a terra, tremante, sanguinante dalle piaghe delle catene, nudo, il respiro affannoso per i colpi ricevuti.

Psammetico si chinò su di lui. «Il tuo inferno è terminato». Gli mise sopra il corpo della donna. «Nel nome di mio padre, il faraone Necao d’Egitto, fratello mio, io ti incorono re della tua grande nazione. Ora hai il potere su questa terra, e questa donna tornerà alla vita come segno di tale rinascita».

Di lato, due muscolosi nubiani dalla pelle scura versarono sul capo di Eliakim due getti di liquido caldo dai riflessi dorati e al profumo di loto da panciuti vasi di cristallo.

Il liquido colò sulla testa di Eliakim per guarirlo, lungo i capelli scuri dalle ciocche insanguinate. L’elisir rosso era come olio nei suoi occhi, sulle guance, sul collo.

«Il tuo nome da ora in poi sarà Ren-a-Osir», gli sussurrò Psammetico con un sorriso, «perché è Dio stesso che ti ha nominato».

Il fratellastro minore, Shallum, incatenato al collo gli gridò: «Ti prego, Eliakim! Non lasciare che mi portino via! Sono tuo fratello!».

I soldati lo trascinarono indietro, sul pavimento, accanto al cadavere della madre Halmutal.

«Portatelo alla grata!», gridarono. «Preparatelo alla schiavitù!».

Eliakim aprì gli occhi e, su in alto, tra le luci sfumate, distinse il candelabro di fuoco a sette bracci.

«Tornerà tutto come prima», gli sussurrò Psammetico e chiuse gli occhi. Eliakim guardò il fratellastro.

«Lasciatelo in vita, è mio fratello».

L’imponente principe Psammetico, con la bella Radapu tra le braccia, sussurrò: «Fratello mio, hai dimostrato compassione e sei sempre stato mio amico. Da questo palazzo tu, Ren-a-Osir, condurrai per il faraone d’Egitto una guerra di giustizia contro Nabopolassar di Babilonia, l’oppressore del mondo. In questo momento, Nabopolassar e suo figlio stanno distruggendo Karkemish, il nostro ultimo baluardo al nord, in Siria, e sta mettendo in difficoltà mio padre». Indicò la finestra. «Ora ho bisogno di te, fratello mio, ho bisogno del tuo aiuto per fermare questa guerra. Questa tua terra ora è una frontiera. Mi aiuterai? Sarai mio amico e mio fratello contro Babilonia?». Nel chiedere ciò, adagiò la bella scriba nuda tra le forti braccia di uno dei suoi schiavi nubiani.

Nel buio Eliakim fissò Psammetico, tra i rivoli di sangue che gli offuscavano la vista. Alle sue spalle scorse anche gli enormi occhi brillanti di un uomo cobra, verdi come l’acqua.

Deglutì.

Psammetico riprese: «Il segreto per distruggere l’Assiria, cento anni fa, fu la Giudea. Ora possiamo ripetere la stessa impresa, tu e io, e distruggere insieme Babilonia che è la nuova Assiria». Gli si avvicinò. «Lo farai con me, fratello?». Lo fissò negli occhi. «Il resto dell’impero babilonese lo divideremo tra le due nazioni: Giudea ed Egitto. La tua nazione avrà l’impero più grande mai sognato dai suoi predecessori».

Eliakim si guardò intorno e prese fiato lentamente.

«Como posso appoggiarti?».

Il grosso ambasciatore Sonchis de Sais, consigliere egizio del principe Psammetico, gli si mise davanti con eleganza.

«Fingi una ribellione contro Babilonia. Fungerai da esca per far infuriare Nabopolassar e suo figlio e attirare qui le sue truppe. Fai sapere a Nabopolassar che smetterai di pagare le imposte a Babilonia e lui sarà costretto a lasciare Karkemish. Fai in modo che venga infuriato a cercare te, insieme al figlio Nabucodonosor, con tutti i suoi eserciti, per castigarti insieme al tuo popolo. Questo fece cento anni fa il tuo antenato Ezechia e, quando l’imperatore Senaquerib arrivò da lui rabbioso, subì il colpo di Stato da parte nostra nella sua stessa capitale dell’Assiria. È questo che faremo di nuovo, solo che adesso toccherà a Babilonia».

«Vuoi che metta in pericolo il mio popolo?».

Psammetico gli si avvicinò.

«Quando Nabopolassar e suo figlio arriveranno qui con tutte le loro truppe, noi faremo il colpo di Stato là, nel cuore del suo impero: a Babilonia. Sarà uno dei suoi figli a rovesciarlo, è già tutto organizzato. Tutto quello che sta accadendo è un ambizioso piano, la cui prima mossa è partita tantissimo tempo fa. Anche la mia comparsa qui oggi rientra nello stesso piano: tu sarai l’elemento di distrazione».

«Ecco il traditore», disse a Psammetico uno dei suoi uomini, gettandogli ai piedi il corpulento sacerdote Chelkia, con il volo insanguinato e un occhio pesto.

Psammetico gli sorrise.

«Sei tu la feccia umana che ha venduto il proprio paese a Babilonia?»

«Io vi servirò», implorò Chelkia sputando pezzetti di carne. «Ho tanto da offrirti: tutti i segreti di questo paese», sorrise. «È il tesoro più grande di Giudea: la sua storia, e la sua storia ha a che vedere con la stessa storia dell’Egitto e direttamente con voi, con le vostre origini».

Il giovane Psammetico inclinò il capo.

«Le mie origini?».

L’occhio intatto di Chelkia luccicò. Silenziosamente, si voltò verso il mastodontico trono dorato, il Megathronos.

«La storia d’Egitto è stata deformata per mano di faraoni precedenti a vostro padre, perché non veniste a conoscenza delle vostre origini. Furono cancellati ben quattro faraoni».

Il principe egizio si avvicinò al sacerdote.

«Ma di che parli? È demenza la tua?»

«La lista di Abydos dei faraoni egizi la registrò il vostro antenato Seti i, settecento anni fa. Da questa lista vennero cancellati quattro faraoni saliti al trono dopo Amenofis III e prima di Hrenheb. C’è un buco di un secolo».

Psammetico strinse gli occhi a fessura.

«Com’è possibile?».

Scosse il capo, ma Hilkiyahu riprese: «Sei stato cresciuto in modo che non ti rendessi conto di questo buco. I tuoi predecessori modificarono il proprio passato per nasconderti la parte più importante delle tue origini». Di nuovo si voltò verso l’enorme trono dorato: il kuribu dalle sei ali. «In questo secolo di buco visse un faraone che fu cancellato dai registri, affinché non si sapesse mai della sua esistenza. Ne proibirono il nome per via di quello che fece, in modo che non fosse possibile risalirvi, né ripetere quanto fatto da lui. Perché da lui discendete. Da lui discendiamo tutti quanti. Lo chiamiamo “Il faraone cancellato”».

«Il faraone cancellato?». Psammetico sgranò gli occhi e tornò a guardare la bella ragazza mora a terra, la scriba seminuda. Lì accanto vide il suo sandalo di fibra consumato e desiderò calzarglielo al piede.

Tornò a parlare con Chelkia.

«Chi è questo mio antenato? Come mai questa verità la conoscete voi e non mio padre?».

Il grosso sacerdote si alzò da terra e si tolse la polvere dal petto con delicatezza.

«La risposta è lì». Indicò il trono. «Lì dentro c’è scritto il passato di tutti i popoli. Il tuo faraone cancellato è il nostro contatto con Dio».

L’enigma dell’ultima profezia
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