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Duemilaseicento anni prima il vecchio e imponente Simonide di Amorgos, orbo da un occhio, saltò giù nel pozzo, finendo direttamente nell’acqua fredda della galleria e schizzando da tutte le parti. Subito afferrò per i capelli corvini il servo persiano Tistar di Anshan.

«Sbrigati, maledizione! Pensi che abbia tutta la vita?», e fece roteare in aria la lancia scura. Si misero a correre lungo l’angusta uscita del condotto e Simonide cominciò a cantare.

«Nella lancia è il mio pane nero! Nella lancia è il mio vino di Ismaro! E bevo appoggiato alla lancia!».

Il giovane Tistar, uno dei servi della fortezza, gli indicò l’apertura verso la rigogliosa cascata d’acqua che scrosciava dall’uscita: «Questa è la galleria sei! Conduce direttamente alla Cisterna ciclopea. Io ci sono stato ed è lì che portano i sacerdoti ribelli. Li seppelliscono tutti affinché non rimanga traccia del lavoro degli scribi».

Simonide lo mise in guardia.

«Non ti preoccupare». Lo tirò per i capelli. «Il problema dei soldati sono le armi». Sorrise. «Non sanno usare la testa. Noi greci, invece, sì».

«Tu non sei un soldato?»

«No. Sono un artista. Un poeta». Gli rivolse un altro sorriso sdentato. «Il milesio vuole tutta la fama per sé, ma anch’io ho avuto i miei momenti di gloria», aggiunse poi parlandogli all’orecchio. «E ho avuto donne di tutte le razze esistenti: la cagna, la volpe, la scimmia e la maiala». Poi, a occhi chiusi, lo tirò con tutta la forza che aveva. «Andiamo, buono a nulla! Non possiamo impiegarci un’altra vita, dobbiamo farlo adesso!».

Prese a spingerlo nel buco di uscita, da cui entrava l’acqua. Tistar quasi annegò. «E lasciami, maledetto, sei peggio dei Babilonesi!».

Simonide lo costrinse a uscire.

«Solo i buoni a nulla piangono! Sei un vigliacco della malora? Una femminuccia, un accidenti di maiale?». Lo prese a sculacciate. «Sei nato da una porca! Se un maialino da latte che strilla tutto il giorno, sempre alla ricerca delle calde mammelle di sua madre per diventare un giorno grasso, sudicio e mostruoso come lei!».

Si abbassò a sua volta nel buco, spingendo l’altro a testate e sgusciandovi dentro come un serpente.

«Andiamo, maledizione! Quella volta lassù dev’essere la chiusa della Cisterna ciclopea». Sputò, poi si rialzò e guardò verso l’alto con il suo unico occhio. La galleria era molto più ampia e curva rispetto al tunnel di Ezechia.

Avanzò quasi correndo, trascinando nell’acqua Tistar che rischiava di affogare e imprecava in persiano.

«Il fuoco e Airyaman Yazad scioglieranno le montagne e il metallo fuso formerà un fiume sulla terra! E i demoni faranno sì che tu e tutti gli uomini finiate dentro quel metallo fuso!».

Sott’acqua, Tistar si contorceva, agitava braccia e gambe.

«Maledetto! Un giorno la Persia invaderà la Grecia e tutti voi sarete nostri schiavi!».

«Sì, certo», rispose l’altro, spingendolo ancora più giù.

Sopra di loro, dodici soldati babilonesi con le dure lance di bronzo avanzavano battendo a terra i pesanti calzari chiodati. Con le lance appuntite spingevano gli anziani farisei, nudi e in ginocchio, verso l’imponente ingresso della Cisterna ciclopea.

«Forza con la catena! Cominciate a girare i paioli di qirtu!». E li afferravano dagli anelli che avevano al collo. Il qirtu non era niente di meno che la pece bollente.

Quattro soldati, con i guanti ferrati, cominciarono a colpirli in pieno viso.

«Preparatevi a morire nella pece bollente, vecchi maledetti! Come osate oltraggiare l’autorità di Nabopolassar di Babilonia?! Mettetevi quel maledetto giogo al collo, come ordinano i nuovi rotoli!».

«Kalù sugu! Prendete i vecchi! Kalù iamuttu persu parasu!».

Dall’altra parte del corridoio, la cisterna fumava di quell’impasto bollente che già conteneva i corpi di diciotto scribi. Un macchinario, con sonori scricchiolii, cominciò a tirare i sacerdoti verso la cisterna per gettarli nella pece.

Cigolando, gli ingranaggi circolari li sollevarono a grappolo, verso la parete di roccia, martoriando loro le gambe sulle scalette.

Quelli cercarono di gridare, ma erano soffocati dagli anelli intorno al collo e incatenati dietro le spalle.

Da sotto, il soldato Pallisut, con il suo guanto chiodato, afferrò per il collo l’esile capo dei farisei, il vecchio Kesil Parus, e gli sorrise.

«Ora entrerai a far parte di questa montagna, uomo disobbediente. Mai opporsi al signore di Babilonia. È lui il tuo dio ed è dio quello che ha il potere». Poi lo obbligò con la forza ad assentire con il capo.

Quindi gridò ai dodici compagni, sei dei quali erano già sopra: «Girate più in fretta quella ruota! Più forza con quella maledetta catena! Fateli cadere tutti nel pozzo adesso! L’ambasciatore Alpaya vuole che tra un’ora non ne resti più nessuno!».

Sotto, attraverso le sottili reti del tetto, Simonide ascoltò tutto e tappò la bocca al compagno persiano. Rimasero entrambi in silenzio, immobili, a guardare in su. Con grande cautela continuarono a sguazzare in avanti, nella corrente fredda della galleria sei, verso la parete della cisterna.

«Questa è una “zada”», disse Simonide a Tistar, indicando le crepe nel muro. «La zada è la fessura della roccia. C’è un modo per farle saltare in aria».

«Che intendi fare, greco? Che vuoi fare?».

Simonide si toccò la cintura e trovò la pasticca dura di salnitro. La sganciò delicatamente dal cinturone e la mostrò a Tistar: una brillante e arancione pasticca di salnitro e ambra.

«Facciamo saltare in aria questo luogo maledetto».

«No! Simonide, non lo fare!».

«Non piagnucolare, maialetto!». Lo colpì in faccia con la pasticca, tanto da farlo barcollare in acqua. «È l’unico modo per distruggere il male che sta invadendo questo luogo! Se si distrugge tutto, il male scompare!».

«Sei pazzo?», disse l’altro, e cercò di trattenere il vecchio per le braccia muscolose.

«In un modo o nell’altro, ben presto ci ritroveremo tutti a bruciare tra le fiamme dell’Ade. Che sia ora o dopo fa lo stesso. Però questi babilonesi ricopriranno per intero la cisterna per nascondere tutte le prove!».

Da sotto, attraverso le fessure del tetto, sentirono gridare il sacerdote Kesil Parus. «Il trono! Andate al trono! La vera storia della Giudea è dentro il trono!».

Il vigoroso Simonide, con la pasticca esplosiva in mano, rimase di stucco. «Hai sentito?», chiese al giovane Tistar.

Attraverso la grata la voce continuava. «Non fate che se la porti via Hilkiyahu! Non lasciatela in mano ai Babilonesi! È la vera storia della Giudea! La cancelleranno!».

L’enigma dell’ultima profezia
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